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  • 07/10/2025 22:11

I lati oscuri e poco chiari di Ernesto “Che” Guevara

Ernesto Guevara, detto “il Che”, resta una delle figure più ambigue del Novecento. Idolatrato come simbolo di libertà e giustizia sociale, ma ricordato anche come un uomo rigido, pronto a sacrificare vite e libertà in nome dell’ideale rivoluzionario. La violenza rivoluzionaria Dopo la caduta del regime di Batista, Guevara diresse la prigione della Cabaña, dove furono eseguite centinaia di fucilazioni. I processi erano sommari, spesso privi di prove concrete. Per lui, la giustizia legale era un ostacolo: la “giustizia rivoluzionaria” bastava. Quell’idea di purezza politica portò a un clima di paura e repressione. L’uomo nuovo e l’intolleranza ideologica Il Che credeva nella costruzione dell’“uomo nuovo”, devoto al collettivo e immune al desiderio individuale. Ma la sua visione era intrisa di moralismo e disprezzo verso chi non incarnava quell’ideale. Tra i gruppi emarginati, anche gli omosessuali: considerati “deviazioni borghesi” o “malattie da correggere”. Durante gli anni Sessanta, molti furono internati nei campi di lavoro forzato cubani (le UMAP), dove si cercava di “rieducarli” attraverso la disciplina e il lavoro. Pur non essendo solo responsabilità sua, il pensiero di Guevara contribuì a legittimare quell’intolleranza. Il fallimento economico Da ministro dell’Industria, Guevara impose una gestione collettivista e priva di incentivi materiali. L’idea era nobile, ma disastrosa: la produzione crollò e l’economia cubana si indebolì. Il Che ignorò la realtà umana dietro i numeri, convinto che la volontà rivoluzionaria potesse sostituire la competenza. Il rivoluzionario errante Dopo Cuba, tentò di esportare la guerriglia in Congo e in Bolivia. In entrambi i casi trovò solo disillusione e isolamento. Il Che morì in Bolivia nel 1967, fedele a un ideale che però non riuscì a trasformarsi in un modello di società funzionante. Un’eredità contraddittoria Guevara è ricordato come simbolo di coerenza e sacrificio, ma anche come un uomo che mise l’ideologia sopra la vita. Un rivoluzionario puro, sì, ma incapace di tollerare la libertà altrui. La sua storia resta un monito: l’utopia, quando diventa dogma, smette di liberare e comincia a opprimere. Rivoluzioni e Contraddizioni Controstoria Web

I commenti

Dopo la monumentale biografia Che. Una vita rivoluzionaria, pubblicata per la prima volta nel 1997 e ora riedita da Feltrinelli, riuscì quasi per caso a svelare, con l’imprevista confessione di un generale che poi venne arrestato, il luogo segreto dove i ranger boliviani avevano sepolto il guerrigliero argentino. E grazie a quella rivelazione oggi le spoglie del Che riposano nella città di Santa Clara, a Cuba. Jon Lee Anderson, californiano, classe 1957, giornalista del New Yorker, è uno dei più importanti studiosi di Ernesto Che Guevara. Nel suo libro rivelò anche che la data di nascita ufficiale del Che era sbagliata. «Nacque il 14 maggio e non il 14 giugno come ancora sostiene Wikipedia».

A cinquant’anni dalla morte, il 9 ottobre del ‘67, cosa resta del Che? È solo un volto spavaldo su una maglietta?
«La popolarità di Che Guevara ha avuto i suoi andirivieni, le sue oscillazioni in questo mezzo secolo. Dopo la sua morte divenne una figura pop e un simbolo di rivolta in tutto il mondo fino all’inizio degli anni Ottanta. Negli anni Sessanta e Settanta era un cliché, in America il suo poster stava nei dormitori dei campus. Poi la sua fama si affievolì. Tornò in gran voga alla fine del secolo scorso quando venne recuperato il suo cadavere a Vallegrande, in Bolivia, e poi con l’inizio del boom turistico di Cuba, e l’arrivo al potere di Hugo Chávez in Venezuela. Negli ultimi sei-sette anni è iniziata una nuova stagione di oblio ma credo che il Che, al di là dei coefficienti di vendita dei suoi gadget, sia ormai un archetipo universale come Icaro, è l’archetipo della ribellione e rimarrà il mito del guerrigliero universale per sempre».

Cosa pensa della relazione tra la verità storica e l’icona? Nel mito di Guevara emerge soprattutto la sua sfaccettatura più romantica, eroica, ma la sua personalità fu molto più complessa. Oggi, per esempio, c’è chi ricorda il suo ruolo nei processi sommari e nelle fucilazioni dopo la vittoria della rivoluzione a Cuba.
«Per me non c’è nessun lato oscuro. Guevara era un guerrigliero. Cosa vi aspettate da un guerrigliero? Per caso un guerrigliero è soltanto un poster? Una bella faccia? Che Guevara non era né Mandela, né madre Teresa di Calcutta. E qui c’è il paradosso del mondo consumista nel quale viviamo. L’iconografia del Che è molto superficiale, nell’immaginario è rimasto come un bel volto di eroe drammatico, ma lui visse in un mondo reale. Non in un mondo iPhone, dove la protesta attuale è un clic, un like o un I don’t like. Non era un mondo Facebook, era un mondo vero. E adesso si scopre che Guevara ordinò esecuzioni sommarie, che fucilò i suoi avversari. Con la vittoria della rivoluzione a Cuba nel 1959 vennero arrestati militari dell’esercito di Batista, funzionari dei servizi segreti, torturatori. Persone che, mentre Castro e Guevara erano sulla Sierra Maestra, si erano dedicati alla caccia dei simpatizzanti della guerriglia nelle città. E cosa facevano a questi simpatizzanti? Gli offrivano una Coca-Cola? No, li sgozzavano e li appendevano agli alberi. Che Guevara nel Forte della Cabaña guidò i tribunali speciali che condannarono a morte i funzionari del regime sconfitto».

Un aspetto controverso per un mito romantico.
«Certo. Ma va giudicato nel suo contesto. D’altra parte Che Guevara predicava l’uso della lotta armata per la conquista dell’utopia sociale sulla Terra, quindi nel mondo di oggi è certamente una figura controversa. Ma stiamo parlando del mondo della Guerra fredda. Quello fu il suo tempo».

Vent’anni fa si giudicava diversamente?
«Sì. Quando raccontai delle fucilazioni sommarie nella biografia nessuno alzò un sopracciglio. Oggi invece i mesi sanguinari di Guevara nella Cabaña sono una preoccupazione. È molto interessante secondo me perché rivela come ogni generazione osservi la Storia precedente con i suoi codici e tenda a giudicarla fuori dai contesti. Faccio un altro esempio: adesso si discute se Fidel Castro fosse omofobo e si ricordano le campagne contro gli omosessuali nei primi anni della Cuba rivoluzionaria. Ma in quell’epoca questo non era un tema. Tutti erano omofobi, tranne gli omosessuali ovviamente. La società occidentale si evolve, per fortuna, e noi oggi accettiamo come normali, giusti e sacrosanti i matrimoni gay. Ma da quanto tempo? Ancora dieci anni fa era inconcepibile. È inevitabile giudicare i personaggi del passato con le nostre percezioni di oggi. Ma è anche ingiusto e rischia di essere deformante».

frida - 09/10/2025 09:41

certo, una opinione con alcuni fatti reali storici

dino - 09/10/2025 09:35

La sua opinione non è assolutamente quella di tutti. Ha espresso un suo parere solo personale.

Anonimo - 09/10/2025 07:01

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