Cessate le fregnacce - Putin continua la guerra, anche se i soliti noti diranno che vuole la pace
Christian Rocca - linkiesta.it
Mosca respinge la proposta di fermare le armi, e propone di incontrare gli ucraini a Istanbul, ma continuando a ucciderli. Zelensky risponde: «Ti aspetto lì». I volenterosi leader europei si coordinano con Trump, facendo crollare il fantomatico ponte atlantico che Meloni sperava di costruire. La premier resta col cerino dell’irrilevanza in mano, ma i suoi oppositori non avrebbero fatto meglio.
La notizia è che Vladimir Putin non ha accettato l’ennesima proposta di cessate il fuoco temporanea avanzata prima dagli americani e poi dai volenterosi europei, e già accolta da tempo dagli ucraini. Del resto se la Russia avesse voluto cessare il fuoco la guerra sarebbe finita da anni, anzi non sarebbe mai iniziata perché gli ucraini non hanno mai voluto invadere la Russia, hanno sempre e soltanto voluto mantenere la loro indipendenza, la loro dignità e la loro libertà di sentirsi democratici ed europei. Sono i russi che da secoli vogliono conquistare l’Ucraina, e non solo l’Ucraina, ma anche la Moldova, la Belarus, i paesi baltici, per non parlare della Georgia, fino ad arrivare alla Romania e alla Polonia e a diffondere il caos in Europa per indebolire il mondo libero che inesorabilmente attrae le sue ex colonie.
Ci vogliono occhi ben chiusi, eyes wide shut, per non riuscire a individuare la precisa paternità ideologica di questa guerra imperialista, oppure bisogna rimbambirsi con i talk show e le fregnacce di presunti esperti, giocolieri e mangiatori di fuoco, gli stessi che torneranno a spiegare anche questa volta che Putin vuole trattare la pace, proprio mentre ha espressamente negato di fermare le armi, continua a bombardare i civili ucraini e prova a prendere tempo ingannando l’opinione pubblica occidentale confidando sull’aiuto dei suoi utilissimi idioti.
Un signore che di nome fa Robert e di cognome Prevost, e che da qualche giorno è noto come Leone XIV, all’inizio della guerra aveva detto parole esatte in un’intervista in spagnolo: «Vengono fatte tante analisi, ma dal mio punto di vista si tratta di un’autentica invasione imperialista russa […] Si stanno commettendo crimini contro l’umanità. Dobbiamo chiedere a Dio la pace, ma anche essere più chiari […] nel riconoscere gli orrori della guerra e le malvagità che la Russia sta compiendo». E proprio ieri, nella sua prima domenica da Papa, senza le ambiguità del predecessore ha detto parole altrettanto semplici e chiare: «Porto nel mio cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino. Si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie».
Certamente Vance, Trump, Travaglio, Orsini, Caracciolo, Salvini e Conte hanno diritto alle loro opinioni, diverse da quelle del nuovo Papa e dei leader democratici del mondo, ma non hanno diritto ai loro fatti.
I fatti sono questi: c’è un aggressore imperialista, brutale e guerrafondaio che da oltre dieci anni non smette nemmeno per un giorno di uccidere i civili ucraini; e c’è un popolo che non vuole capitolare e che, oltre a difendere sé stesso, a costo di sacrifici incommensurabili difende anche la libertà europea.
Dieci o tre anni dopo, a seconda di quando si vuol cominciare a contare l’avvio della barbarie russa, Putin non ha raggiunto nemmeno uno degli obiettivi strategici che si era posto nel 2014, quando invase Crimea e Donbas, e sa bene che l’ultima finestra di opportunità per riuscirci è ora, adesso che alla Casa Bianca c’è un capo mandamento di un’altra cosca ma che come lui ragiona in termini di rapporti di forza e di interessi personali. Solo che, come avevamo immaginato qui a dicembre, la sua arroganza sanguinaria ha infastidito il vanitoso Trump, nonostante questi si fosse tanto speso per soddisfare l’avidità russa.
Tornato quindi di nuovo all’angolo, Putin è stato costretto ad annunciare in una stravagante conferenza stampa notturna di sabato, a uso e consumo del fuso orario di Washington, di essere pronto a incontrare gli ucraini il 15 maggio a Istanbul, senza però prima cessare di ucciderli con missili, droni e artiglieria. Una versione addirittura meno allettante della sua precedente e grottesca offerta di limitarsi a bombardare i civili, ma non le infrastrutture energetiche ucraine.
Insomma, adesso Putin propone di tornare ai falliti colloqui turchi, quelli che ancora oggi provocano brividi di inconsolabile piacere ai putiniani italiani, che allora fallirono – nonostante la propaganda italo-russa si inventi chissà quali ragioni – perché la Russia pretendeva di annettersi un’ampia parte dell’Ucraina, comprese intere zone che non era riuscita a occupare, e contemporaneamente di neutralizzare militarmente il governo di Kyjiv, in modo da farlo cadere più serenamente e con più calma dopo qualche tempo.
La risposta di Zelensky al solito gioco delle tre carte di Putin è stato perfetta: siamo prontissimi anche noi a incontrarci, ma come hanno chiesto gli americani e gli europei, e come l’Ucraina ha subito accettato, intanto vanno sospese le ostilità. La prima reazione di Trump è stata più ottimista, ma meno baldanzosa del solito, viste le precedenti prese per i fondelli di Putin. Poi ha intimato agli ucraini di partecipare ai colloqui, anche solo per capire se Putin fa sul serio o no. Ma è evidente che Putin non faccia sul serio, come ha spiegato la famigerata portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, quando ha precisato che la proposta di Putin è chiara: prima si risolvono i motivi per cui è iniziata la guerra, e per Mosca si risolvono soltanto con la demilitarizzazione e con la limitazione della sovranità dell’Ucraina, cioè con la sua resa incondizionata, e poi si discute di far tacere le armi.
Zelensky, intanto, ha fatto sapere che andrà subito a Istanbul, e che aspetterà lì Putin, e con lui aspetterà anche il cessate il fuoco che richiedono Trump e gli europei, ributtando il cerino acceso nelle stanze del Cremlino, che ora non solo dovrà scoprire le sue carte in colloqui diretti con l’Ucraina, ma dovrà anche farli con Putin in prima persona per non spazientire Trump vista la disponibilità di Zelensky, e non potrà affidarsi al solito ministro Lavrov, o a inviati e mediatori addestrati a fare melina per guadagnare tempo.
Vedremo che cosa succederà ancora da qui al 15 maggio, probabilmente Putin riuscirà a fermare l’imposizione di ulteriori sanzioni europee e americane, minacciate ancora in questi giorni in caso di rifiuto di cessare il fuoco, dimostrando ancora una volta di saper manipolare l’occidente, ma la mossa di Zelensky, «ti aspetto a Istanbul», rimette Putin in difficoltà.
Di certo c’è che Giorgia Meloni ha perso un’occasione storica per lei e per l’Italia: personalmente ha sprecato l’opportunità di liberarsi una volta per tutte delle scorie nere di un passato (e di un presente) che non le consentono di risultare pienamente credibile agli occhi dei leader occidentali appartenenti alle tradizionali famiglie politiche socialiste, popolari e liberali; e per l’Italia ha sprecato l’opportunità di agire da protagonista assieme ai partner europei e ora anche degli americani. I quali, dopo i raggiri di Putin a Trump, per il momento agiscono in modo quasi coordinato e collaborativo con i volenterosi europei, fino ad aver costruito insieme la proposta di cessate il fuoco istantaneo di trenta giorni accettata dagli ucraini e rifiutata dai russi.
Il famoso ponte tra l’America e l’Europa che Meloni voleva costruire facendolo poggiare sul pilastro portante romano è stato dunque archiviato, e superato dal colloquio diretto tra leader europei e americani, assente l’Italia, come dimostra l’immagine dei volenterosi che a Kyjiv discutono con Trump collegato al telefono in viva voce.
Insomma, il tanto evocato ponte di Meloni non è mai esistito, semmai ricorda il ponte di Messina: un’opera che può piacere o no, ma che nella realtà non c’è, è solo chiacchiera.
C’è da dire che se al posto di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi ci fosse stata Elly Schlein sarebbe stato più o meno lo stesso, perché nemmeno la leader Pd sarebbe andata a Kyjiv con Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e Donald Tusk. E se ci fossero stati Giuseppe Conte o Matteo Salvini, al contrario, li avremmo trovati a fare il saluto militare nella Piazza rossa di Mosca, accanto a Putin e ai principali despoti mondiali.
Solo Antonio Tajani, Carlo Calenda e Matteo Renzi, per citare gli altri leader di partito, ma di partiti molto piccoli, avrebbero fatto parte dei volenterosi di Kyjiv (per pietà, qui non apriamo il file del perché costoro non stiano insieme).
Quindi il problema non è solo Meloni, sebbene Meloni sia a Palazzo a Chigi e per questo abbia la responsabilità di governo. Il problema è molto più grande. Il problema è l’Italia.
https://www.linkiesta.it/2025/05/putin-guerra-pace-cessate-fuoco/