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  • 17/10/2023 08:59

L’essere umano a un bivio: nuova coscienza animalista o distanza dalla natura?

Stiamo vivendo un’epoca in cui la consapevolezza sulla questione animale è cresciuta e

continua a diffondersi.

La concezione dualistica di matrice cartesiana, che ha segnato una netta distinzione tra gli

esseri umani e la natura, sta lasciando spazio a una visione che allarga la prospettiva

dell’etica.

Stiamo parlando del paradigma filosofico, ma anche scientifico, che vede gli animali come

creature dotate di una propria coscienza, capaci di provare ed esprimere sentimenti,

di intessere relazioni, di amare e soffrire.

L’etologia ha portato alla luce nuove e più approfondite conoscenze sull’intelligenza e la

sensibilità degli animali e questo vale anche per quelli considerati ancora come merci,

gli animali cosiddetti “da reddito”.

Per questo, se un tempo ormai passato, alcune consuetudini potevano trovare una

giustificazione e un senso dovuti alla mancanza di consapevolezza e informazione, oggi non

sono più giustificabili, se non in nome del profitto.

Ci si appella alla tradizione per giustificare il perpetrarsi di pratiche finalizzate

prevalentemente agli interessi economici, senza valutare il fatto che oggi le moderne

conoscenze e sensibilità stanno ribaltando la prospettiva antropocentrica.

Sono in costante aumento, infatti, le persone che decidono di “dare voce” agli animali in

vari modi, attraverso l’attivismo sul campo o scegliendo un’alimentazione vegetale.

Lo abbiamo visto sabato 7 ottobre a Milano, alla manifestazione indetta dalla

“Rete dei Santuari di Animali Liberi in Italia”, cui hanno preso parte quasi 20.000 persone,

alcune di loro scese in piazza per la prima volta, altre provenienti anche dall’estero.

Un evento imponente, indetto in seguito ai cruenti abbattimenti di 9 maiali ospitati al rifugio

“Progetto Cuori Liberi” di Pavia (una delle zone colpite dalla peste suina africana);

una mattanza che ha risvegliato molte coscienze ed ha acceso un faro sulle modalità della

filiera zootecnica, sotto lo slogan “cuori liberi, non prosciutti”.

Si è trattato di un risveglio morale mai visto prima nei confronti di animali considerati

esclusivamente come numeri, codici a barre, merci; è innegabile che sia in atto un cambio di

paradigma filosofico e di coscienza destinato ad allargarsi a macchia d’olio, che abbraccia i

temi dell’etica, dei diritti e dell’ecologia.

Non possiamo parlare di contrasto alla violenza per compartimenti stagni, senza considerare

anche quella perpetrata sulle altre specie e di conseguenza sulla biodiversità e sull’ambiente.

Tutte le forme di subordinazione e di abuso (il sessismo, il razzismo, lo specismo) sono

infatti legate dallo stesso filo rosso ed hanno una matrice comune.

Chi è impegnato nella tutela dei diritti in generale non può prescindere dal riflettere sul

trattamento riservato agli animali nella società odierna.

Perché se i cosiddetti “animali da affezione” godono ormai di tutta una serie di tutele sia

etiche che legali, lo stesso non vale per quegli individui destinati alla filiera alimentare come

per i selvatici.

Se da un lato dunque stare “dalla parte degli animali” è divenuta un’attitudine sempre più

diffusa e “normalizzata”, dall’altra è stata dichiarata una vera e propria guerra nei confronti

di alcune specie, come dimostra il recente emendamento governativo sulla caccia selvaggia

(secondo l’ONU il 48% delle specie animali e vegetali è a rischio estinzione).

Si tratta di un attacco mirato ad arrestare il cambiamento morale in corso, che descrive gli

animali come un nemico da subordinare, sfruttare, annientare.

La cultura della supremazia e del dominio si rafforza su più livelli nella società, esaltando

quelle caratteristiche legate alla competizione e alla sottomissione di quei corpi ritenuti

“diversi”.

C’è chi vive una vera e propria dissociazione che porta ad amare il proprio animale

domestico, ma a ignorare tutti gli altri.

I media documentano le atrocità degli allevamenti intensivi, ma si preferisce far finta che

questi luoghi non esistano. Eppure le zoonosi scaturiscono e si propagano con più frequenza

e velocità rispetto al passato, per il trattamento ingiusto e crudele che riserviamo agli esseri

senzienti.

La nostra società non è del tutto cosciente dell’ingiustizia profonda che ci circonda e della

sofferenza che cerca di occultare, a partire da quella degli animali.

Come affermava la filosofa americana Karen Warren ci riteniamo inaffondabili, proprio

come il “Titanic”, ma l’irrazionalità di un sistema così violento non può che condurci

all’autodistruzione.

Dovremmo fermarci a riflettere per comprendere la nostra interconnessione con la natura e

gli animali, che giudichiamo in base ai nostri codici e parametri, ma che dovremmo

rispettare nella loro diversità.

Stiamo parlando di individui che rappresentano il nostro lato più innocente e libero: ignorare

e persino odiare gli altri esseri viventi è un po’ come limitare e persino uccidere una parte di

noi.

Essi non vogliono somigliarci, preservano purezza e integrità, nonostante tutto quello che

gli stiamo facendo; ma è la prospettiva empatica quella che può salvarci, uno sguardo nuovo

sul mondo e tutti i suoi abitanti.

Quello che portò la filosofa Val Plumwood a rispettare e salvare da morte certa il suo

“aggressore”: un coccodrillo.

Il rettile attaccò la scrittrice mentre si trovava in canoa, da sola, nel parco Kakadu in

Australia. Riuscì a salvarsi fuggendo a piedi, ferita, per alcuni chilometri.

Un incidente che fece scaturire profonde riflessioni nell’attivista australiana, in particolare

sul ruolo degli esseri umani nella catena trofica e sulla biodiversità.

Il racconto dell’incidente fu manipolato dai media come mezzo di propaganda contro chi si

batteva per la difesa dei coccodrilli, ma una volta uscita dall’ospedale la studiosa riuscì a

raccontare la propria versione e la sua scelta di non voler uccidere l’animale.

Una grande lezione di umiltà e di rispetto verso le altre creature che con noi condividono la

catena della vita.

Nella Giornata Internazionale della Pace, celebrata lo scorso 21 settembre, la scienziata

Jane Goodall ci ha ricordato come tutelare gli animali oggi equivalga a salvare noi stessi e il

futuro della Terra, sta a noi scegliere da che parte stare.

Elena Franceschini, volontaria e attivista LAV

I commenti

Animalismo è una concezione filosofica che non la "natura" e la "naturalità" non c'entra un fico secco.

Anonimo - 19/10/2023 01:34

Spiegare al signore qua sotto che non ha capito una mazza né di quel che sta scritto nell'articolo né della vita richiederebbe troppo tempo e ovviamente non servirebbe a nulla: lasciamo a lui gli insulti gratuiti sull'"idiozia" di chi vede le cose diversamente e le basse allusioni "cretinette", strumenti tipici di chi agli argomenti non può contrapporre altro che il livore dell'ignoranza manifesta.

Professorino...è arrivato il professorino donne! - 18/10/2023 18:06

Lei parte male con Cartesio... Ecco la sua affermazione:

"......La concezione dualistica di matrice cartesiana, che ha segnato una netta distinzione tra gli esseri umani e la natura, sta lasciando spazio a una visione che allarga la prospettiva dell’etica....".

La Vostra concezione per cui animalismo è uguale a "natura" è sballata. Altrettanto sballato è pensare che l'essere umano, per far parte della "natura" debba per forza essere animalista o simili.

Partiamo intanto dalla constatazione che l'uomo è ineluttabilmente parte della "natura". La specie umana si è evoluta in natura come tutte le altre specie ed è sopravvissuta, come tutte le altre specie, perché è stata capace di procurarsi il cibo. Ovviamente in natura non esiste l'animalismo, dato che tutte le specie sono in competizione tra loro e che c'è la predazione. Molte specie possono sopravvivere, essendo carnivore o onnivore, in modo esclusivo o non esclusivo, mangiando altre specie animali. L'uomo è sopravvissuto mangiando vegetali, ma anche cacciando e questo è stato il suo destino naturale. Posso dunque accettare che oggi l'uomo decida di sottrarsi al suo destino naturale smettendo di allevare, di mangiare carne e di cacciare, ma deve esser chiaro che ciò costituirebbe una scelta di tipo razionale e volontario e che con la "natura" non c'entra nulla. D'altro canto la caccia è perfettamente naturale, in quanto praticata da centinaia di specie di mammiferi, mentre più tipicamente umano è l'allevamento. Il tenere animali d'affezione infine non ha nulla di naturale ed il gatto castrato che si nutre di croccantini, come il cane che viaggia con il cappottino sul passeggino e il cui padrone raccatta i suoi stronzi con il sacchettino di plastica sono quanto di più innaturale possa esistere. Certi animali d'affezione vivono secondo gli intendimenti dei padroni, i quali suppongono di conoscere quale sia il loro bene, mentre magari, chi lo sa, il gatto di turno vorrebbe non essere castrato, pisciare da tutte le parti, fare risse continue con altri gatti e render pregne gatte in calore ad ogni piè sospinto!! Per concludere vanno aggiunte altre due cosette. La prima è che per produrre vegetali commestibili per miliardi di persone è necessario competere con gli animali. Il tonchio mangia il grano, così come il topo e l'uomo cerca di uccidere tonchi e topi per non morire lui di fame. Allo stesso modo se il cervo distrugge le colture è necessario difendersi dal cervo. L'illusione cretinetta che solo l'allevamento uccida animali è totalmente irrealistica. L'allevatore di api uccide i parassiti delle stesse, in caso contrario niente miele. L'ultima cosa è che anche le piante sono esseri viventi e su di esse vivono milioni di microrganismi che vengono da noi inavvertitamente ed inevitabilmente mangiati assieme all'insalata o ai pomodori. In sostanza l'animalismo oltranzista non ha senso.

Anonimo - 18/10/2023 01:21

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