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  • 15/02/2023 17:16

La fuga dei medici dagli ospedali

«Sai, la cosa che mi ha fatto più male è stata la totale indifferenza con la quale l’Azienda ha accolto le mie dimissioni. Nessuno mi ha chiesto perché, dopo 17 anni di servizio in Pronto soccorso, ho deciso di gettare la spugna e di intraprendere il percorso per diventare medico di famiglia. Avranno pensato fosse solo una questione di stipendio… ma secondo te se il mio obiettivo fosse stato guadagnare di più avrei scelto l’emergenza-urgenza? Me ne sono andato perché arrivi a un punto in cui ti rendi conto di non poter andare più avanti in questo modo». Alessandro, 46 anni, di Firenze, è uno dei tanti medici dell’emergenza che ha deciso di licenziarsi. «È stata la decisione più dolorosa che io abbia mai preso. Ho amato profondamente la medicina d’urgenza, ma ho raggiunto un tale livello di stress che quando leggo i sintomi del burnout mi rendo conto di averli tutti, da anni. Perché oggi lavorare in Pronto soccorso significa sentirsi in dovere di andare al lavoro anche con qualche linea di febbre, consapevole che se ci si prende un giorno di malattia si impedisce al collega di andare a casa a riposare». «Il Pronto soccorso mi ha consumato. Noi non siamo macchine, non possiamo sopportare malati abbandonati sulle barelle in condizioni disastrose, senza avere la possibilità di prestare loro l’attenzione di cui hanno bisogno. Se ho 30 letti da controllare e sono da solo, devo scegliere se visitare o dare conforto. Non è umano, non è dignitoso: allora o diventi cinico o inizi a farti delle domande». «Siamo stritolati in un disastro organizzativo. I Pronto soccorso avrebbero bisogno di almeno il 50% di medici e professionisti sanitari in più rispetto ai numeri previsti, che non tengono minimamente in considerazione le possibili malattie, ferie, permessi, congedi. E dimenticando che l’attività nei Pronto soccorso non è programmabile come quella in ambulatorio, per cui dovremmo poter sempre contare su un numero adeguato di colleghi disponibili da chiamare in caso di necessità, altrimenti collassa tutto». «Ho provato a fare la mia parte dando sempre il massimo, ma dopo anni di sacrifici senza essere mai stato messo nelle condizioni di fare bene il mio lavoro ho capito che non si può svuotare il mare con un bicchierino». «Io sono anche riservista militare, e quando servo vengo chiamato dalle forze speciali. Un giorno un soldato mi ha detto “alla fine voi siete come noi, ma siete sempre in missione”. Solo che per noi medici che salviamo migliaia di vite non è prevista alcuna medaglia. Anzi, veniamo presi a calci e pugni e siamo sommersi di denunce. Allora poi non stupiamoci se i medici non vogliono fare questo mestiere: chi sceglierebbe questa vita devastata?». Per tutelare la salute di tutti, fermiamo la fuga di Ippocrate. Insieme

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