Medici e infermieri a lezioni di judo: la crisi del Ssn fa paura
AdnKronos
Medici e infermieri a lezioni di judo: la crisi del Ssn fa paura
La sanità italiana è in enorme difficoltà e le conseguenze, spesso, ricadono su chi ci lavora. Per questo, come avvenuto a Monza lo scorso ottobre, il Policlinico Umberto I di Roma ha organizzato corsi di judo per medici e infermieri.
Ormai le aggressioni sono all’ordine del giorno, imparare a difendersi è diventata una necessità.
Il “Corso di difesa personale per operatori sanitari” è coordinato dal maestro Adolfo Bei e dal campione di judo Michele Vannacci. Vi partecipano 5 istruttori e 18 allievi, fra medici e infermieri.
Anche in questo contesto è evidente il gender gap: sono donne ben 15 dei 18 partecipanti.
Il corso insegna a bloccare e stendere a terra un aggressore con l’aiuto dei colleghi, a sferrare colpi con la mano aperta per non fare e farsi male con i pugni chiusi, a liberarsi da una presa al polso o al collo, a difendersi con i calci anche quando si è caduti. Il fine è sempre quello della difesa, mai dell’attacco. Per questo, la regola aurea è scappare e chiedere aiuto, non appena possibile.
“Al pronto soccorso – racconta a La Repubblica un agente del posto di polizia – gli alterchi sono almeno due o tre al giorno. Qualche volta si arriva alle mani. Tre giorni fa un paziente ha spintonato un medico. Poco prima un ubriaco si era risvegliato, aveva scoperto che gli erano stati tagliati i vestiti e aveva dato in escandescenze. Molte chiamate arrivano da pediatria. I genitori perdono il controllo più spesso degli altri”.
Il precedente a Monza
Lungi dall’essere un problema solo della Capitale, le aggressioni a medici e infermieri sono ormai una triste realtà in tutto il Paese. Già a ottobre scorso, una soluzione simile è stata presa a Monza su iniziativa dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Monza e Brianza, d’intesa e in collaborazione con la Questura.
Il corso non insegna solo a difendersi fisicamente ma anche verbalmente. A dirigerlo è Danilo Brignone, appartenente alle Fiamme Oro della polizia di Stato, campione italiano di lotta, cintura nera di judo, allenatore di lotta e istruttore di arti marziali miste. Il commissario capo Alessandro Barone supervisiona i lavori.
Il primo a cercare una soluzione concreta alle violenze sempre più pericolose e diffuse è stato il presidente dell’Ordine Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Monza e Brianza, Carlo Maria Teruzzi.
Annunciando l’iniziativa in Questura, Teruzzi ha anche scritto una lettera a tutti i medici del territorio, partendo da due fatti di cronaca.
L’omicidio di Barbara Capovani e il caso a marzo 2024
Il primo caso citato dal presidente è stata l’aggressione mortale a Barbara Capovani, la psichiatra uccisa proprio un anno fa dal suo ex paziente Gianluca Paul Seung all’uscita dell’ospedale di Pisa.
Pare assurdo, ma a distanza di quasi un anno (l’aggressione a Capovani risale al 21 aprile 2023), un’altra aggressione si è verificata nei confronti di una dottoressa dello stesso reparto di psichiatria di Pisa. La donna è stata aggredita nella notte tra il 26 e 27 marzo scorso, presa a calci e pugni da una paziente ricoverata nel reparto di psichiatria. L’intervento di una pattuglia dei carabinieri ha scongiurato il peggio e la dottoressa è stata dimessa con sette giorni di prognosi.
Nella sua lettera, Teruzzi ha citato anche l’episodio che ha visto un medico del Policlinico di Milano assalito da un paziente seguito da un Cps brianzolo, ma i casi si moltiplicano con l’aggravarsi della crisi sanitaria.
Quante sono le aggressioni a medici e infermieri
I dati parlano chiaro. Secondo l’Inail le aggressioni a medici e infermieri sono 1.600 all’anno, più di 4 al giorno lungo tutta la penisola. Aggressioni che colpiscono anche le guardie notturne, che ricoprono un ruolo sempre più delicato. Nella lettera, riportata dal Resto del Carlino, Teruzzi ha evidenziato una tendenza preoccupante non solo nei numeri ma anche nella percezione di questi atti: “Le aggressioni verbali non sono quasi più denunciate, pur essendo motivi importanti di stress che possono portare persino ad abbandonare la professione. Di fronte a questo quadro allarmante, dobbiamo avere la possibilità di difenderci, di prevenire la violenza”.
La Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) rileva che circa il 68% degli operatori sanitari nel corso della vita è stato vittima di almeno un episodio di violenza. Numeri che, però, sono più alti per effetto delle omesse denunce.
Anche l’iniziativa brianzola evidenzia come le donne siano particolarmente esposte alle aggressioni: l’80% delle adesioni al corso di difesa deriva dalle donne.
L’ultimo rapporto Inail
La ricerca più recente sui casi di violenza contro i lavoratori sanitari in Italia è il rapporto dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (Inail) relativo all’anno 2022. In un solo anno ci sono stati 2.243 casi di infortuni sul lavoro causati da violenza, minacce e simili incidenti contro i lavoratori sanitari, +14% rispetto al 2021. Di questi, 1.584 casi hanno riguardato le donne (+15%) e 659 gli uomini (+12%).
Nel periodo 2020-2022, ci sono stati circa 6.000 casi di violenza nel settore sanitario e assistenza sociale, con un’incidenza del 41% rispetto a tutti i casi registrati nello stesso periodo nei settori Industria e Servizi.
Il rapporto sottolinea che il 70% delle persone ferite erano donne, mentre sotto il profilo anagrafico il gruppo di età più colpito è tra i 50 e i 64 anni per entrambi i sessi. La situazione è particolarmente delicata per infermieri e OSS, le categorie più colpite dalla violenza, con un totale del 60% dei casi.
Come è diffuso il fenomeno lungo la penisola
Dal rapporto Inail emerge che le aggressioni agli operatori sanitari sono più frequenti al Nord. Quasi un’aggressione su tre, infatti, è avvenuta nel Nord-Ovest (17% in Lombardia e 8% nel Piemonte) e il 28% nel Nord-Est (14% in Emilia Romagna e 9% in Veneto).
Più distaccato il Mezzogiorno con il 22% dei casi (7% in Sicilia e 5% in Puglia), mentre il 19% delle aggressioni è stato registrato nel Centro Italia (9% in Toscana e 6% nel Lazio).
I tipi di aggressione
Delle aggressioni registrate nel triennio 2019-2022, circa il 59% ha provocato una contusione, il 22% una lussazione, distorsione e distrazione, l’8% una frattura e il 7% una ferita.
Gli aggressori colpiscono principalmente alla testa (13% faccia, 9% cranio, 4% naso), seguita da parete toracica (9%), cingolo toracico (8%), polso (7%) e colonna vertebrale/cervicale (6%).
Ad essere colpiti più frequentemente sono gli operatori in ambito psichiatrico o dell’emergenza/urgenza. In media le violenze hanno provocato un’assenza per malattia di 22 giorni e, nella quasi totalità dei casi, menomazioni micropermanenti.
Non solo ospedale e pronto soccorso: la terza categoria più aggredita è quella dell’educatore professionale che opera in strutture diverse come gli istituti scolastici, le comunità socio-educative e le case circondariali.
Il ruolo della crisi demografica
Tra le varie cause della crisi sanitaria italiana, preminente quella della scarsità di risorse e di personale nella sanità pubblica, vi rientra anche la crisi demografica e l’allungamento dell’aspettativa di vita. Sotto il primo profilo, con sempre meno nascite, ci sono anche meno giovani e, in prospettiva, meno lavoratori in ogni settore, incluso quello della sanità.
La denatalità, inoltre, rischia di compromettere il sistema di welfare perché ci sono e ci saranno sempre meno lavoratori e più pensionati. In questo contesto diminuisce il gettito fiscale del Paese, che poi è il pilastro su cui si basa qualsiasi prestazione pubblica.
Le fonti di approvvigionamento, focus sull’Irap
Ma su quali risorse si mantiene la sanità pubblica italiana? Sostanzialmente su:
Irap;
Addizionale regionale Irpef;
Entrate proprie del Ssn (per esempio i ticket);
In via residuale il bilancio dello Stato, il cui intervento è sempre più necessario proprio per colmare le carenze di gettito fiscale.
Come spiegato nell’approfondimento di Pagellapolitica in relazione al 2017-2019, quasi 1/5 delle risorse del Ssn proviene dall’Irap. E qui, ancora una volta, entra in gioco la crisi demografica.
Irap, infatti, sta per Imposta regionale sulle attività produttive. Quindi, se diminuiscono le attività produttive, diminuisce l’Irap. E in Italia le imprese sono sempre meno.
Come certifica l’Istat, nel secondo trimestre 2023 si è verificata una diminuzione delle nuove imprese pari al 3,7%. Le statistiche trovano conferma nell’ottavo rapporto di Confcommercio su “città e demografia d’impresa” dove si legge che in 10 anni (tra il 2012 e il 2022) sono sparite oltre 99 mila attività di commercio al dettaglio e 16 mila imprese di commercio ambulante.
Non solo: la diminuzione delle imprese è stata più veloce della crisi demografica. Infatti, nonostante la crescente denatalità, tra il 2010 e il 2022, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi ogni mille abitanti (un calo di quasi il 20% negli ultimi 10 anni).
Il calo delle imprese è proporzionalmente maggiore rispetto al calo demografico anche perché non conta solo quante persone ci siano in uno Stato, ma la loro età. Una popolazione più anziana genera meno consumi e, al tempo stesso, non costituisce domanda di lavoro. L’aumento dell’età media della popolazione italiana è il risultato del calo delle nascite contestuale all’innalzamento della speranza di vita. Un altro tassello della crisi sanitaria italiana.
Italia sempre più vecchia
Una popolazione più anziana, infatti, richiede più cure e quindi finisce per gravare maggiormente sul sistema sanitario. Una situazione che a volte si ritorce sugli stessi anziani come un boomerang. A lanciare l’allarme sono stati i geriatri sottolineando come spesso gli anziani vengano considerati “Troppo vecchi e costosi” per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. 4 anziani su 10 sono esclusi dalle cure migliori proprio per l’età. Questo stigma accorcia anche la vita aumentando il rischio di mortalità fino a 4 volte.
Gli ultimi dati Istat sulle prospettive demografiche italiane non mostrano un’inversione del trend, anzi la crisi demografica continua lentamente ma costantemente con le annesse conseguenze sul presente e sul futuro del Paese.
I medici e gli infermieri che si iscrivono a corsi di difesa personale sono forse l’emblema più lampante e desolante della crisi del Sistema sanitario nazionale.
Di tutti gli aspetti connessi alla Sanità Pubblica, si è parlato nel convegno “Salute e Sanità, una sfida condivisa”, organizzato dall’Adnkronos il 21 marzo scorso che potete approfondire qui.
Perché affrontare ora le sfide del Ssn significa è cruciale per allentare la tensione sugli operatori sanitari e garantire le cure gratuite a chiunque, anche a chi non è ricco. Proprio come previsto dalla Costituzione italiana.