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  • 19/01/2024 23:16

18 GENNAIO 1981 - LA MARCIA SU PISA DEI PARACADUTISTI

18 GENNAIO 1981 - LA MARCIA SU PISA DEI PARACADUTISTI A seguito di un'aggressione subita da due Paracadutisti della Brigata Folgore, che furono ricoverati in ospedale, qualche centinaia di camerati sfilarono lungo le vie della città, inquadrati in una solarità marziale, intonando gli inni della Brigata simbolo di unione e identità. All'altezza del ponte sull'Arno, i soliti gruppetti antifascisti cercarono di ostacolare il corteo, ma furono costretti, quelli che poterono, a darsi alla fuga. :-) Fu così che i "compagnucci", da quel giorno, non osarono mai più toccare un Parà.

I commenti

La Marcia su Pisa: il Racconto Completo

Era una domenica diversa, quella che i paracadutisti del 1° Battaglione del Centro Addestramento di Paracadutismo di Pisa ricordano ancora come "la domenica dei 400". Un evento che non nacque dal nulla, ma fu il culmine di una serie di tensioni, provocazioni e vendette incrociate che si consumarono nei giorni precedenti, cambiando per sempre i rapporti tra i militari e la città.

I FATTI CHE PORTARONO ALLA MARCIA

Tutto ebbe inizio un martedì sera, in piazza dei Cavalieri. Due giovani allievi si lasciarono andare a commenti pesanti nei confronti di una ragazza, notata per la sua disinvoltura. L'episodio non passò inosservato al suo fidanzato, un pugile conosciuto nella zona, che non esitò a intervenire. Il campione medio massimo toscano li affrontò senza esitazione, lasciando entrambi malconci.

L'affronto non poteva rimanere impunito. Due giorni dopo, sei parà decisero di restituire il colpo. Giovedì sera si ritrovarono in piazza Garibaldi per "dare una lezione" al pugile. Ma la spedizione si rivelò un disastro: ad aspettarli c'erano lui e una trentina di amici. Quattro di loro si dileguarono, ma i due rimasti, già umiliati, ricevettero un'altra dose di botte.

Tornati in caserma gonfi e mogi, i due cercarono di nascondere l'accaduto, evitando persino l'infermeria per non rischiare sanzioni disciplinari. La voce, però, si sparse rapidamente. Tra venerdì e domenica mattina, la tensione si alimentò nei corridoi della Gamerra, tra mensa, spaccio e camerate.

LA MARCIA PRENDE FORMA

Domenica pomeriggio, davanti all'ufficio di "Efos" (Roberto Bellini), uno dei personaggi più influenti tra i militari, si radunarono circa 200 tra allievi e parà. L'intento iniziale era chiaro: una spedizione punitiva. Tuttavia, Efos intervenne con fermezza, calmando i più agitati. La spedizione punitiva si trasformò in una marcia dimostrativa.

Il gruppo si mise in movimento, attraversando Pisa in una sfilata cadenzata. Partirono dai Bagni di Nerone, passarono per il ponte di Mezzo e arrivarono in piazza Vittorio Emanuele. Durante la marcia si alternavano canti militari e cori come "Boia chi molla". Nessuno indossava il basco, ma alcuni portavano il cinturone sotto il giubbotto.

Contrariamente a quanto riportato successivamente da alcune fonti, la marcia non vide scontri con le forze dell'ordine o atti di vandalismo. Non ci furono cacce all’uomo né vetrine rotte. La tensione era alta, ma l'evento si mantenne entro limiti controllati.

LA CONCLUSIONE

Quando il gruppo arrivò in piazza Vittorio Emanuele, le forze dell’ordine si fecero finalmente presenti: due gazzelle dei carabinieri, una volante della polizia e tre vigili urbani. Poco dopo, giunsero gli ufficiali e sottufficiali di servizio, circa venti in tutto, che dispersero la folla. Entro le 18:30, i paracadutisti erano già rientrati alla Gamerra.

La reazione delle autorità non tardò. Il ministro Lagorio impose una consegna collettiva immediata, mentre il sindaco di Pisa fu accompagnato fuori dalla caserma dal comandante della SMIPAR. La tensione si riversò sulle strade attorno alla Gamerra, dove le auto con targhe non pisane venivano spesso danneggiate con scritte come "Para SS".

GLI STRASCICHI

Il giovedì successivo, il generale Rubeo dichiarò fuorilegge la consegna collettiva, invitando tutti i militari a tornare in libera uscita. Tuttavia, le tensioni erano ancora palpabili. Quella sera, il ponte di Mezzo era presidiato: a nord dai carabinieri e a sud dalla polizia in tenuta antisommossa. Da una parte i paracadutisti, dall'altra i giovani della sinistra più estrema. Nonostante le provocazioni, non ci furono scontri fisici.

Per smorzare ulteriormente la situazione, il sabato successivo molti paracadutisti furono mandati in licenza. I responsabili principali degli eventi furono identificati: non erano i sergenti e sottotenenti inizialmente accusati, ma un altro sottotenente e due graduati con legami politici controversi. Furono trasferiti lontano, ponendo fine a quella stagione di tensioni.

CONCLUSIONE

La marcia su Pisa non fu una semplice dimostrazione di forza, ma un riflesso delle tensioni sociali e politiche dell’epoca. Nonostante le narrazioni divergenti, i paracadutisti mantennero un certo controllo, evitando che l'evento degenerasse in violenza incontrollata. Rimane nella memoria di molti come un episodio emblematico della vita militare e del rapporto, spesso conflittuale, tra la caserma e la città.

Mimmo para - 21/01/2025 21:20

La Marcia su Pisa: il Racconto Completo

Era una domenica diversa, quella che i paracadutisti del 1° Battaglione del Centro Addestramento di Paracadutismo di Pisa ricordano ancora come "la domenica dei 400". Un evento che non nacque dal nulla, ma fu il culmine di una serie di tensioni, provocazioni e vendette incrociate che si consumarono nei giorni precedenti, cambiando per sempre i rapporti tra i militari e la città.

I FATTI CHE PORTARONO ALLA MARCIA

Tutto ebbe inizio un martedì sera, in piazza dei Cavalieri. Due giovani allievi si lasciarono andare a commenti pesanti nei confronti di una ragazza, notata per la sua disinvoltura. L'episodio non passò inosservato al suo fidanzato, un pugile conosciuto nella zona, che non esitò a intervenire. Il campione medio massimo toscano li affrontò senza esitazione, lasciando entrambi malconci.

L'affronto non poteva rimanere impunito. Due giorni dopo, sei parà decisero di restituire il colpo. Giovedì sera si ritrovarono in piazza Garibaldi per "dare una lezione" al pugile. Ma la spedizione si rivelò un disastro: ad aspettarli c'erano lui e una trentina di amici. Quattro di loro si dileguarono, ma i due rimasti, già umiliati, ricevettero un'altra dose di botte.

Tornati in caserma gonfi e mogi, i due cercarono di nascondere l'accaduto, evitando persino l'infermeria per non rischiare sanzioni disciplinari. La voce, però, si sparse rapidamente. Tra venerdì e domenica mattina, la tensione si alimentò nei corridoi della Gamerra, tra mensa, spaccio e camerate.

LA MARCIA PRENDE FORMA

Domenica pomeriggio, davanti all'ufficio di "Efos" (Roberto Bellini), uno dei personaggi più influenti tra i militari, si radunarono circa 200 tra allievi e parà. L'intento iniziale era chiaro: una spedizione punitiva. Tuttavia, Efos intervenne con fermezza, calmando i più agitati. La spedizione punitiva si trasformò in una marcia dimostrativa.

Il gruppo si mise in movimento, attraversando Pisa in una sfilata cadenzata. Partirono dai Bagni di Nerone, passarono per il ponte di Mezzo e arrivarono in piazza Vittorio Emanuele. Durante la marcia si alternavano canti militari e cori come "Boia chi molla". Nessuno indossava il basco, ma alcuni portavano il cinturone sotto il giubbotto.

Contrariamente a quanto riportato successivamente da alcune fonti, la marcia non vide scontri con le forze dell'ordine o atti di vandalismo. Non ci furono cacce all’uomo né vetrine rotte. La tensione era alta, ma l'evento si mantenne entro limiti controllati.

LA CONCLUSIONE

Quando il gruppo arrivò in piazza Vittorio Emanuele, le forze dell’ordine si fecero finalmente presenti: due gazzelle dei carabinieri, una volante della polizia e tre vigili urbani. Poco dopo, giunsero gli ufficiali e sottufficiali di servizio, circa venti in tutto, che dispersero la folla. Entro le 18:30, i paracadutisti erano già rientrati alla Gamerra.

La reazione delle autorità non tardò. Il ministro Lagorio impose una consegna collettiva immediata, mentre il sindaco di Pisa fu accompagnato fuori dalla caserma dal comandante della SMIPAR. La tensione si riversò sulle strade attorno alla Gamerra, dove le auto con targhe non pisane venivano spesso danneggiate con scritte come "Para SS".

GLI STRASCICHI

Il giovedì successivo, il generale Rubeo dichiarò fuorilegge la consegna collettiva, invitando tutti i militari a tornare in libera uscita. Tuttavia, le tensioni erano ancora palpabili. Quella sera, il ponte di Mezzo era presidiato: a nord dai carabinieri e a sud dalla polizia in tenuta antisommossa. Da una parte i paracadutisti, dall'altra i giovani della sinistra più estrema. Nonostante le provocazioni, non ci furono scontri fisici.

Per smorzare ulteriormente la situazione, il sabato successivo molti paracadutisti furono mandati in licenza. I responsabili principali degli eventi furono identificati: non erano i sergenti e sottotenenti inizialmente accusati, ma un altro sottotenente e due graduati con legami politici controversi. Furono trasferiti lontano, ponendo fine a quella stagione di tensioni.

CONCLUSIONE

La marcia su Pisa non fu una semplice dimostrazione di forza, ma un riflesso delle tensioni sociali e politiche dell’epoca. Nonostante le narrazioni divergenti, i paracadutisti mantennero un certo controllo, evitando che l'evento degenerasse in violenza incontrollata. Rimane nella memoria di molti come un episodio emblematico della vita militare e del rapporto, spesso conflittuale, tra la caserma e la città.

Mimmo - 21/01/2025 21:19

Non ho fatto mai politica, ma nel 1973 feci il servizio di leva a Pisa nei PARA' e quando uscivo dalla caserma, la popolazione ci insultavano, avevo 18 anni, e non li capivo del perché di tanto odio, ci comportavano bene, ed eravamo educati.
Tutti atleti, tutti bravi ragazzi, nessun fumatore.
La società è un vero disastro
La stragrande maggioranza di noi non si interessavano di politica e nemmeno sapevamo cosa voleva dire Fascismo, se non su qualche libro di storia.
Folgore

Antonio - 07/08/2024 14:42

Puniti al rientro in caserma, i prodi militi della folgore che parteciparono a quella scellerata iniziativa si resero a tutti gli effetti responsabili di diversi reati, contro il codice militare e contro quello civile. Oggi, alcuni temerari navigatori, per ragioni poco comprensibili si pongono in una situazione ai limiti, e - pur mantenendo l’anonimato - si assumono le loro responsabilità:
“Apologia di reato”
Il codice penale (art. 635 del c.p.) punisce questa condotta con la reclusione da sei mesi a tre anni. Invece, il codice (l'art. 414 del c.p.) punisce l'apologia di reato con la reclusione da uno a cinque anni e questa pena può essere aumentata se l'apologia è fatta con strumenti informatici o telematici.

@redazione - 10/07/2024 23:45

ieri come oggi, quando si pensa alla Folgore viene una gran tristezza per questi ragazzotti truci e ignorati, dalle vite vuote e prive di qualsiasi significato. Poveracci: non sanno nulla, non capiscono nulla, non hanno nulla, non servono a nulla

anonimo - 10/07/2024 22:23

tutti folgorati… Nel cervello

anonimo - 10/07/2024 17:22

Dal diario di un Parà, la "marcia su Pisa"


"Poco prima dell’epifania del 1981, con la maggior parte degli ufficiali, sottoufficiali e graduati ancora in licenza si sparse la voce che due allievi del 12-4-80 la sera prima erano stati selvaggiamente picchiati, nei pressi di un famoso e malfamato bar di Pisa. Al pomeriggio il sottotenente P1 della Xª mi confermò l’accaduto dicendomi che a uno dei due allievi avevano dovuto asportare entrambi i testicoli in quanto completamente tumefatti. Alla sera lo stesso sten P1 mi chiese di radunare 7-8 parà fidati, con la massima discrezione, per effettuare, la sera dopo, una spedizione “punitiva” nei confronti dei frequentatori del famigerato bar ( è un dettaglio importante: la spedizione avrebbe dovuto essere mirata). Per quel che mi disse, l’idea della spedizione era nata nel loro gruppetto (P1, P2, F: la triade dei milanesi) di ufficiali di complemento e nessuno degli ufficiali effettivi ne sapeva nulla. Purtroppo i miei fratelli stretti, gli istruttori della Xª, erano tutti in licenza eccettuato il carissimo G che ovviamente avvertii (venendo a sapere con grande meraviglia che già sapeva tutto). Mi diedi molto da fare quel giorno, troppo da fare, e avvertii non meno di 10 parà del 9-3-80, raccomandando (parole al vento) la massima discrezione. Il punto di raduno prestabilito era nella piazzetta antistante Ephos (il fotografo) verso le 20, ovviamente in borghese.

Alle 19 eravamo già qualche centinaio (i giornali poi han detto 400, ma penso fossimo circa la metà) tutti in borghese ma tutti con i cinturoni sotto il giubbotto. A quel punto, vista l’incredibile massa, l’unico ufficiale presente, P2, da tutti riconosciuto come il nostro leader in quel contesto, decise, molto responsabilmente, che la spedizione non poteva più essere effettuata essendoci il rischio di fare un macello. Cominciò quindi a girare “l’ordine” di rompere l’assembramento e tornarsene in caserma, ma era troppo tardi, la miccia era innescata e alcuni di noi decisero di proseguire.

Ancora una volta il tenente P2 dimostrò la sua stoffa e per limitare i danni decise che avremmo sfilato per il corso pacificamente cantando. Ovviamente le sfilate eran roba per morfine e dopo 20 metri eravamo tutti lì a marciare in file compatte perfettamente (ma naturalmente) ordinate tallonando a più non posso e cantando a squarciagola. Il repertorio delle canzoni della folgore finì ben presto e allora, per iniziativa di qualche ignoto si partì con “giovinezza” e altro, ma soprattutto scandendo continuamente il “boia chi molla …” seguito da “Folgore!” che lì nella strettezza del corso tra le case aveva un effetto paurosamente eccitante. Eravamo diretti verso la stazione, e il tallonare all’unisono, assieme al “passo” e al boia chi molla era impressionante (per me, figuriamoci per quei disgraziati dei Pisani che assistevano allibiti). Noi marciavamo e davanti a noi s’era formato un gruppo di giovani Pisani con vespini e motorette che di tanto in tanto ci urlavano “fascisti” e “bastardi” mantenendo un congruo numero di metri dal fronte dello schieramento. Via via che s’andava avanti però, questi minicentauri prendevano coraggio, puntavano il fronte in velocità, frenavano e facevano dietro front. In prima fila, abbastanza centralmente c’eravamo io, P2 ed il carissimo G il quale dei 3 era il più scalmanato. Oltretutto G era l’unico pratico di assembramenti in quanto ultrà del toro di quelli non proprio tranquilli (a sentir lui almeno, ma fino a quel giorno pensavo fossero chiacchere). Tutto procedeva abbastanza civilmente, finchè un Pisano idiota ed incosciente impennò la vespa a non più di una decina di metri. Io guardando l’impennata percepii con la coda dell’occhio la velocissima corsa di G verso il vespino ed un attimo dopo vidi il corpo del Pisano cadere all’indietro ed il vespino rotolare malamente verso di noi con G che urlava forsennatamente vicino al corpo a terra del pisano. Gli altri pisani in motoretta ed anche quelli a piedi fecero quello che non avrebbero dovuto mai fare, cominciarono a correre e a scappare. Le prime file dell’inquadramento (ovviamente le teste più calde tra noi) si ruppero istantaneamente, tutti a correre dietro a qualcuno che scappava. E allora anche li pisani pacifici cominciarono a correre e di conseguenza anche i più pacifici di noi (le terze quarte ,…, file) dietro a loro. Durò forse una decina di minuti (veramente non lo so, persi la cognizione del tempo), decine di civili in fuga furono rincorsi, agguantati, stesi e menati, senza mai infierire, tantevero che a parte lo sfigato della motoretta nessuno finì al pronto soccorso (per quanto si seppe dopo). La caccià proseguì per tutti i vicoli laterali del corso senza troppi danni a parte le insegne di una casa del popolo.

La vespa del pisano finì sul corrimano di un famoso ponte sull’arno, io la vidi, ma non so se poi finì per sempre nell’arno.

Finita la parapiglia, ci ritrovammo nuovamente uniti nel corso, solo che adesso avevamo 4 o 5 macchine dei carabinieri dietro e forse di più ma della PS davanti. Un ufficiale di PS, affiancato da un ufficiale dei CC, con il megafono in mano ci intimarono di tornare in caserma. Noi ci ricompattammo e ricominciammo a marciare felici e tranquilli verso la stazione; le macchine dei PS ci precedevano in retromarcia ed i soliti due ufficiali urlavano stronzate nel megafono sempre più perentoriamente in quanto stavano continuamente arrivando agenti e cc di rinforzo. Ad un certo punto minacciarono una carica, e tutti noi ridemmo che ci sentirono fino a Lucca (noi eravamo qualche centinaio, loro forse 40-50). Cinturoni in mano simulammo noi una carica e bastò solo la mossa per per farli scappare tutti e a zittire i megafoni. Arrivati in stazione con le sirene che urlavano davanti e di dietro, trovammo Ephos il fotografo amico, che preso il megafono dei due ufficiali ci chiese gentilmente di tornare in caserma. Il tenente P2 ordinò il dietro front e tornammo a casa nostra, la SMIPAR, perfettamente inquadrati.

Il giorno dopo fummo tutti consegnati in caserma a tempo indeterminato. I camerati rientravano dalle licenze (invidiosi) portando i ritagli dei quotidiani nazionali che parlavano di noi. Il comandante della SMIPAR ci fece un Cazziottone colossale avvisandoci che stava arrivando da Roma l’ispettore delle armi di Fanteria e Cavalleria, il generale di C.A. Alvaro Rubeo..

Quando arrivo Rubeo adunata generale, un’ora di cazziatone ancora più grande, che concluse con le seguenti parole:
“Ragazzi, se avessi avuto vent’anni, sarei stato con voi. Folgore!”

Ci fù allora il “folgore” spontaneo di tutta la truppa, spontaneamente gli AIP presero Rubeo sulle spalle (insomma gli fecero il seggiolino) e gli fecero fare un giro d’onore. (cose da non credersi!!!!)

La consegna finì, ci furono delle indagini di polizia e alla fine furono presi provvedimenti solo per il carissimo G, (propaganda punitiva per 3 mesi) che era stato l’unico ad essere stato riconosciuto da Z, un infame che stava tra noi.

Nei giorni successivi la giunta comunale chiese il nostro trasferimento altrove. Subito i commercianti di pisa, pizzaioli, osti e ristoratori chiesero al sindaco di ritirare la richiesta e così fu.

Al tenente P2 fu rifiutata la domanda di entrare in servizio permanente effettivo. Ancora oggi, con la mente serena e pacata di un adulto, credo che sia stato uno sbaglio non dare la possibilità a P2 di fare carriera nella Folgore, sarebbe potuto diventare un magnifico ufficiale. Quella famosa sera gli sono stato sempre vicino e ritengo che solo grazie a lui, la “marcia su Pisa”, non si sia trasformata in un macello.

Vi chiederete coma mai gli altri due sten, P1 ed F, organizzatori della spedizione siano completamente scomparsi dalla scena. Non pensate male di loro. Hanno svolto un ruolo fondamentale che non vi posso dire, altrimenti cercando tra gli ordini di servizio di quel giorno, ammesso che esistano ancora, sarebbero inequivocabilmente individuabili."



Nembo - 10/07/2024 17:16



da wikipedia





La Scuola Militare di paracadutismo è stata al centro di numerose contestazioni a causa di una marcia improvvisata nel centro di Pisa durante l'epifania del 1981. Tale marcia avvenne in seguito ad un episodio di malavita pisana, ovvero il pestaggio di due militari della Brigata in un bar della città; a causa di questo pestaggio i due militari furono ricoverati perché durante l'aggressione si ritrovarono sicuramente a fronteggiare più di due persone facenti parte di questa banda. A seguito di tale evento molti militari della Brigata (nell'ordine di centinaia) sia della Scuola che operativi, sia ufficiali che sottufficiali, decisero di vendicare l'aggressione dei commilitoni.



Durante le ore pomeridiane venne organizzata una piccola spedizione punitiva nei confronti della "banda" che aveva aggredito i due militari, ma in poco tempo fuori dalla SMIPAR erano presenti centinaia di paracadutisti in divisa. Gli ufficiali presenti (tra i quali non figuravano i vertici del reparto, che non erano a conoscenza dei fatti come poi si seppe) diedero ordine di inquadrarsi e spontaneamente, poiché non si trattava di un evento ufficiale, il reparto si mise in marcia verso il famigerato bar. I fatti riferiscono che si trattò di momenti assolutamente inattesi dalla popolazione: i parà iniziarono subito a calcare bene il passo e ad intonare i canti della Brigata oltre all'urlo di reparto[1]; si riferì di aver sentito anche canti fascisti, cosa che non fu mai smentita.



Giunti nei pressi del bar alcuni "coraggiosi" pisani a bordo di ciclomotori o a piedi iniziarono ad insultare il reparto mantenendosi però a debita distanza dalla formazione; in poco tempo, per qualche motivo, le righe si sciolsero improvvisamente ed i militari si lanciarono verso questi. Solo uno di questi richiese di essere portato al pronto soccorso date le ferite. Il reparto si ricompattò presto e continuò a marciare, ma a quel punto intervennero le forze dell'ordine. Alla richiesta di fermarsi, i paracadutisti diedero ben poca importanza, tanto da costringere la Polizia a richiedere l'intervento dei reparti antisommossa. Si riferisce che il reparto antisommossa decise di iniziare a caricare contro il reparto in marcia; alla vista di questo molti dei militari presenti si sfilarono il cinturone in dotazione e, mimando una controcarica, fecero arretrare i reparti della Polizia. Il reparto continuò a marciare e dinanzi a loro le pantere della Polizia poterono arretrare lentamente per evitare altri disordini con la popolazione. Ancora non è chiaro se fu grazie all'invito di un "amico" della Brigata o per il buon senso dei militari stessi, ma sta di fatto che dopo poco tempo il reparto rientrò sotto ordine degli ufficiali presenti in caserma.



Il giorno seguente non solo i vertici del Reparto ma anche l'ispettore delle armi di Fanteria e Cavalleria, Gen. Alvaro Rubeo, decisero di fare visita alla SMIPAR. Tutti i militari che avevano partecipato a questa "missione" furono puniti, ma non si può nascondere che dagli atteggiamenti che l'Esercito volle mostrare ai militari emerse un sentimento misto di forte disapprovazione e pacata ammirazione per il fortissimo spirito di corpo che legava i ragazzi dopo una selvaggia aggressione ai danni di due militari di una Brigata tanto gloriosa quanto lo è la Folgore.

La mangusta - 10/07/2024 17:13

gliene diedero poche

anonimo - 10/07/2024 15:29

l'Università di Pisa e il CNR hanno da poco pubblicato i risultati di un'importantissima ricerca di grande rilevanza internazionale: sono riusciti a misurare le dimensioni del cervello di un paracadutista della Folgore. Si tratta di una unità di Planck, ovvero della più piccola dimensione esistente in natura: 1,6 milionesimi di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di centimetro. Si tratta di una scoperta rivoluzionaria: fino a questo momento si credeva che il paracadutista della Folgore non ce l'avesse proprio il cervello. Invece questo cervello esiste: piccolissimo, ma c'è

anonimo - 10/07/2024 13:56

Ogni riga, ogni parola del linguaggio usato è in stile tipicamente fascista.
I camerati
I soliti gruppetti antifascisti
I compagnucci

Un linguaggio da far cascare le palle per terra. Ormai siete alla rivendicazione sguaiata, avete perso ogni limite di decenza anche formale.
Fino a poco tempo fa questi discorsi si sentivano solo in curva e nelle topaie di Casapound.
Quindi non vedo perché io dovrei essere più educato.

JD - 10/07/2024 13:21

è stato un onore e un privilegio farne parte

Roberto - 10/07/2024 11:30

Quando in caserma c'ero io, oltre otto anni dopo, ancora di questa cosa si parlava mitizzandola in tutti i modi. Parà destrorsi contro pisani comunisti. O meglio contro studenti dell'ateneo pisano e pisani dei centri sociali.

Anonimo - 21/01/2024 03:56

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