domenica 24 novembre terzo appuntamento della XXIX edizione della rassegna "Chi è di scena!" al Rassicurati di Montecarlo!
Domenica 24 novembre, all ...
Gloria al battaglione Azov, ormai parte dell'esercito dell'Ucraina, che si batte con onore contro il nemico imperialista. Gloria agli eroi!!
anonimo - 27/04/2024 00:58Americani, inglesi, francesi, chi più ne ha più ne metta… Ma come si sono permessi di invadere l'Italia? Mica gli avevamo dichiarato guerra! O no?
anonimo - 26/04/2024 13:36Dimenticavo una cosa importante: tra l'altro, i nazisti avevano delle bellissime divise, molto eleganti. Non a caso firmate da Hugo Boss. A confronto, gli americani erano vestiti di stracci. Senza parlare dei partigiani: barboni mal rasati e pieni di pulci!
Anonimo - 26/04/2024 13:02
Nonostante la vergogna del 25 aprile sia sotto gli occhi di tutti, lo show andrà in scena, esattamente come gli altri precedenti.
Mentre le destre atlantiste e filo-trumpiane si defileranno, le sinistre arcobaleniche ed euroinomani, al servizio del capitalismo globale, ripopoleranno le nostre piazze con ritrovata ed ebete euforia.
La “Liberazione”, festa di pace ed unità nazionale, verrà celebrata con bandiere che rappresentano unicamente l’attuale occupazione militare che dal 1945 ha preso il posto di quella tedesca.
NATO, UE e Battaglione Azov hanno poco a che fare con la nostra libertà, il nostro tricolore e la nostra sovranità.
Proprio oggi, avremmo voluto che dei veri partigiani ci liberassero da questi impostori e li portassero via.
Proprio così..
O partigiano, portali
Hitler ha fatto pure delle cose buone. Mussolini, in fondo, era un bonaccione, un compagnone… Stupidi partigiani che non l'hanno capito! Cafoni! Ignorati! Comunisti!
Anonimo - 26/04/2024 12:57Storia Quando gli Alleati presero Cassino, seguirono 50 ore di stupri
Il 18 maggio 1944 le truppe coloniali francesi, dopo aver preso Cassino, si macchiarono di un orrendo crimine di guerra: lo stupro di migliaia di donne.
Cassino bombardata - Seconda guerra mondiale
Cassino dopo i bombardamenti alleati e la furiosa battaglia contro i tedeschi, che durò da metà febbraio al 19 maggio 1944. Everett Collection / Shutterstock
Nella primavera del 1944, durante l'avanzata degli Alleati, in Ciociaria le truppe coloniali francesi si macchiarono di un orrendo crimine di guerra: gli stupri di migliaia di donne italiane. Le cifre di quel dramma nell'articolo "50 ore bestiali" di Gigi Di Fiore, tratto dagli archivi di Focus Storia.
TERRORE ALLEATO. Aspettavano i liberatori, la fine della guerra dopo quattro mesi di paura per quei cannoni minacciosi sul vicino fronte di Cassino. Aspettavano una speranza e invece arrivò il terrore. Nel maggio del 1944 la Ciociaria visse il dramma delle migliaia di donne violentate dai soldati delle truppe coloniali francesi. I militari del Cef (Corpo di spedizione francese), guidati dal generale Alphonse Juin, un algerino di 55 anni, tozzo e grasso, dai modi bruschi.
ESERCITO RAFFAZZONATO. A corto di uomini, prevedendo l'intensificarsi dei combattimenti in Normandia come in Italia, gli Alleati avevano chiesto rinforzi ai francesi. E sul fronte italiano furono spediti i nordafricani, che così descrisse lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun: "Era gente abituata a vivere sulle montagne. Pastori, piccoli agricoltori, gente misera. I francesi li rastrellarono, li caricarono sui camion, con un'azione violenta di sopraffazione, e li portarono a migliaia di chilometri da casa a compiere altre violenze. Le loro azioni brutali vanno inquadrate in questo contesto".
MULTIETNICI. Cassino era la madre di tutte le battaglie, in quei mesi. I combattimenti iniziarono nel gennaio del 1944 e si conclusero proprio a maggio. Vi furono impegnati, contro i tedeschi, militari di ben quindici nazioni diverse, ricordati nei cimiteri attorno a Cassino. E c'erano anche loro, i goumiers, storpiatura in francese del termine arabo qum ("squadrone, banda"). Venivano soprattutto dal Marocco, ma c'erano anche tunisini, senegalesi e algerini. E tra le quattro diverse etnie non correva sempre buon sangue.
UNIFORMI PITTORESCHE. Vestivano in maniera particolare, con uniformi pittoresche, che incutevano paura: i djellaba, l'abito nazionale, una tunica di lana grezza a righe grigie dal colore variabile tra bianco, nero e marrone. I colori tradizionali delle montagne dei Chleuh. Poi, come copricapo, un cappuccio ampio, il koub, resistente alla pioggia perché confezionato con pelo di capra. Sul capo, un turbante. Da solo o sotto un elmetto. Ai piedi, dei sandali: i nails. Abituati alla vita dura di montagna nel freddo e nella mancanza di cibo, quelle truppe vennero utilizzate come carne da macello per gli assalti più sanguinosi. E loro risposero come sapevano.
KAMIKAZE. I goumiers consideravano la guerra una dimostrazione di coraggio, sgozzavano spesso i nemici catturati, si gettavano contro le linee tedesche all'arma bianca, senza paura di morire.
Preferivano un coltello largo, lungo e affilato, chiamato koumia. Molti goumiers morirono nei combattimenti. I sopravvissuti, una volta sfondata la linea nazifascista, proseguirono la loro marcia verso i Monti Aurunci e si scatenarono contro i civili italiani. Senza distinzioni.
LA GUERRA IN CASA. Li consideravano prede di guerra, quasi nemici, aizzati anche dai discorsi dei loro comandanti francesi che covavano profondi risentimenti per gli italiani dopo la "pugnalata alle spalle" decisa da Mussolini nel 1940, quando era entrato in guerra al fianco della Germania. Nell'intera Ciociaria, dopo le bombe, la fuga e la fame, arrivarono gli stupri. Negli archivi comunali, nel Museo virtuale sulla Battaglia di Cassino, nelle testimonianze raccolte dalla ricercatrice Gabriella Gribaudi e da altri, sono riuniti i racconti fatti negli anni da quelle donne.
In vita, ne restano poche. Sono i loro figli e nipoti a ricordarle ogni anno. La memoria collettiva in quei luoghi, così, ha capovolto il ricordo della guerra, tramandando il mito del "tedesco buono". Ha scritto Daria Frezza, storica dell'Università di Siena: «L'idea era che i tedeschi avevano rispettato le donne, a differenza dei marocchini, definiti bestie. È una ferita non ancora rimarginata nella memoria collettiva».
CARTA BIANCA. In molte testimonianze si dice che per 50 ore il generale Juin concesse "carta bianca" ai suoi uomini, come ricompensa per l'eroismo dimostrato a Cassino. Erano state le truppe coloniali, al prezzo di 5.241 caduti (alcune fonti dicono 6.039), a sfondare per prime il fronte tedesco. In quelle 50 ore, i goumiers divennero, come riportano le testimonianze tramandate, "li diavuli", i diavoli. A Lenola (Latina), gli stupri accertati furono 282: donne tra gli 11 e gli 80 anni. Le truppe coloniali non risparmiarono gli uomini: in 18 furono violentati. Raffaele Albani, un testimone, raccontò: "I tedeschi in partenza dissero che sarebbero arrivati i negri e di nascondere le donne. I miei parenti si meravigliarono, perché aspettavano gli americani".
LA FIERA DELL'ORRORE. A Castro dei Volsci (Frosinone), il parroco don Quirino Angeloni scrisse un promemoria, elencando la successione degli orrori a partire dal 27 maggio del 1944: "Una maestra di 45 anni dovette sottostare per un'intera notte a un plotone di marocchini, alla presenza del marito che fu legato". Sempre a Castro dei Volsci, i goumiers uccisero 42 persone tra uomini e donne. A Sant'Elia Fiumerapido la storia di Assunta, ragazzina di 13 anni stuprata e picchiata da 13 militari, viene ricordata ogni anno.
COMPLICITÀ. Gli ufficiali francesi, che avrebbero dovuto garantire la legalità e tenere a freno i soldati, chiusero gli occhi.
Per timore, convenienza o complicità. Inutili furono le segnalazioni ai comandi. Del resto, le giovani più delle anziane provavano vergogna a parlare. Soltanto nella seduta notturna del 7 aprile 1952, la deputata comunista Maria Maddalena Rossi denunciò in parlamento il dramma di quelle donne. Azzardò una cifra: 60mila violentate e 17.368 richieste di risarcimento. E disse: "Perduta la possibilità di avere una famiglia, di avere dei figli; perfino il lavoro è precluso a queste giovani e la povertà nel loro caso è ancora più tragica, perché il benessere economico, il lavoro potrebbero almeno aiutarle in parte ad uscire da questo terribile isolamento in cui le ha gettate la disgrazia".
NESSUNA PIETÀ. Se tentavano di difendere le loro donne, gli uomini venivano uccisi. La notte più tragica fu vissuta a Esperia: 900 violentate. Tra loro, Laura Spiriti, di 14 anni, che contrasse la sifilide. Sul territorio del paese i soldati si scatenarono. Il parroco, don Alberto Terilli, cercò di fermare i goumiers. Fu legato e violentato. Morì due anni dopo, il 17 agosto 1946, per le conseguenze degli abusi. A Esperia fu distrutto anche il 90 per cento delle case.
Raccontò Maria De Angelis, una contadina che allora aveva 17 anni: "Non sapevamo che questi marocchini pigliavano le femmine. Noi sentivamo alluccà (gridare, ndr), ma non sapevamo che cos'era". Con il buio aumentava il terrore. A gruppi, i soldati bussavano alle porte. Se non veniva aperto, sparavano e urlavano. Il sindaco di Esperia, Giovanni Moretti, scrisse l'11 ottobre del 1947: "Le truppe marocchine rimasero da occupanti in paese per dieci giorni. L'intera popolazione fu depredata e spogliata di tutto. Qualcuno cercò di trovare conforto e aiuto dagli ufficiali francesi che rispondevano evasivamente e a volte negativamente".. Il generale Juin aveva aizzato i suoi uomini, alla vigilia della battaglia decisiva. Li incoraggiò, li motivò, probabilmente stuzzicò sentimenti e desideri. Ma il documento di cui parlano alcune testimoni, quella "carta bianca" concessa ai soldati, alibi per stupri e violenze, non si è mai trovato. Il testo, più volte riprodotto, direbbe: "Oltre quei monti degli Aurunci, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c'è una terra larga larga e ricca di donne, di vino, di case… Se voi riuscirete a passare oltre la linea senza lasciare vivo un nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete, sarà a vostro piacimento e volontà per 50 ore".
INSABBIAMENTO. Di fatto, nessun ufficiale riuscì a frenare la violenza dei soldati. Molte, ma i dati esatti mancano anche per la ritrosia delle donne a farsi visitare, si ammalarono di sifilide e blenorragia. In tante cercarono di dimenticare, senza un riconoscimento dell'abuso subìto, un risarcimento. La ragion di Stato impedì di porre la questione nelle trattative di pace. L'Italia doveva conquistare consensi negli organismi internazionali, farsi perdonare il peccato originale della guerra a fianco di Hitler. E si scelse il silenzio. Quando l'Osservatore romano provò a denunciare le violenze, fu zittito dagli Alleati. Ma papa Pio XII non volle ricevere a Roma il generale De Gaulle. Per protesta, si mormorò, contro quelle violenze.
PRESA DI POSIZIONE UFFICIALE. Nel 2004, celebrando i 60 anni dalla battaglia di Cassino, l'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, assegnò una medaglia d'oro e dodici d'argento al valor civile ad altrettanti comuni della provincia di Frosinone. E parlò esplicitamente di quelle violenze nel suo discorso a Cassino: «Nessuno potrà mai perdonare le violenze inflitte alle donne, ai bimbi, agli anziani di Esperia e di tanti altri paesi». In realtà, la lunga battaglia legale delle donne, tra pudori da superare, ritrosie, diffidenze dei loro compaesani, fu perdente. Molte non parlarono, tennero nascoste malattie veneree e figli indesiderati
Nell'immediato Dopoguerra ci furono raccolte di fondi per aiutarle. Poi fu stabilito che, come risarcimento una tantum, il governo italiano dovesse anticipare le somme, ricavandole dai 30 miliardi di lire di riparazione di guerra dovuti alla Francia. All'inizio, arrivarono 30mila domande. Fu poi previsto un indennizzo individuale di 150mila lire, ma le donne dovevano dichiarare al pretore che non avrebbero accampato pretese su eventuali pensioni successive, come vittime civili di guerra. Molte, per avere quei soldi – pochi, maledetti e subito – firmarono. Ma gli stupri non erano ancora riconosciuti come crimini di guerra. Lo fece l'Onu, e soltanto nel 2008. Per le donne ciociare, una beffa della Storia.
Se i cannoni sparavano dai monti di Vorno e i proiettili cadevano alla Badia di Cantignano, allora non erano i tedeschi a sparare, bensì gli alleati. A rigor di logica i cannoni sparavano dal pisano e i proiettili piombavano in Lucchesia. Questo perché gli alleati (truppe USA, GB e brasiliane) arrivavano da Sud e sparavano verso Nord. Questo per la precisione e non per accusare gli alleati. In guerra è infatti necessario battere le linee nemiche con l'artiglieria prima di far avanzare le truppe. Lo fanno tutti.
anonimo - 26/04/2024 01:17Esecuzioni, torture, stupri Le crudeltà dei partigiani
7 Ottobre 2012 - 12:05
La Resistenza mirava alla dittatura comunista. Le atrocità in nome di Stalin non sono diverse dalle efferatezze fasciste. Anche se qualcuno ancora lo nega
Giampaolo Panda
Esecuzioni, torture, stupri Le crudeltà dei partigiani
C’è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell’introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti. Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull’esempio delle sue opere più note,racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un’altra, la loro.
Tanto i partigiani comunisti che i miliziani fascisti combattevano per la bandiera di due dittature, una rossa e l'altra nera. Le loro ideologie erano entrambe autoritarie. E li spingevano a fanatismi opposti, uguali pur essendo contrari. Ma prima ancora delle loro fedeltà politiche venivano i comportamenti tenuti giorno per giorno nel grande incendio della guerra civile. Era un tipo di conflitto che escludeva la pietà e rendeva fatale qualunque violenza, anche la più atroce. Pure i partigiani avevano ucciso persone innocenti e inermi sulla base di semplici sospetti, spesso infondati, o sotto la spinta di un cieco odio ideologico. Avevano provocato le rappresaglie dei tedeschi, sparando e poi fuggendo. Avevano torturato i fascisti catturati prima di sopprimerli. E quando si trattava di donne, si erano concessi il lusso di tutte le soldataglie: lo stupro, spesso di gruppo.
A conti fatti, anche la Resistenza si era macchiata di orrori. Quelli che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricorderà nel suo primo messaggio al Parlamento, il 16 maggio 2006, con tre parole senza scampo: «Zone d'ombra, eccessi, aberrazioni». Un'eredità pesante, tenuta nascosta per decenni da un insieme di complicità. L'opportunismo politico che imponeva di esaltare sempre e comunque la lotta partigiana. Il predominio culturale e organizzativo del Pci, regista di un'operazione al tempo stesso retorica e bugiarda. La passività degli altri partiti antifascisti, timorosi di scontrarsi con la poderosa macchina comunista, la sua propaganda, la sua energia nel replicare colpo su colpo.
Soltanto una piccola frazione della classe dirigente italiana si è posta il problema di capire che cosa si nascondeva dietro il sipario di una storia contraffatta della nostra guerra civile. E ha iniziato a farsi delle domande a proposito del protagonista assoluto della Resistenza: i comunisti. Ancora oggi, nel 2012, qualcuno si affanna a dimostrare che a scendere in campo contro tedeschi e fascisti e stato un complesso di forze che comprendeva pure soggetti moderati: militari, cattolici, liberali, persino figure anticomuniste come Edgardo Sogno. È vero: c'erano anche loro nel blocco del Corpo volontari della liberta. Ma si e trattato sempre di minoranze, a volte di piccole schegge. Impotenti a contrastare la voglia di egemonia del Pci e i comportamenti che ne derivavano. Del resto, i comunisti perseguivano un disegno preciso e potente che si è manifestato subito, quando ancora la Resistenza muoveva i primi passi. Volevano essere la forza numero uno della guerra di liberazione. Un conflitto che per loro rappresentava soltanto il primo tempo di un passaggio storico: fare dell'Italia uscita dalla guerra una democrazia popolare schierata con l'Unione Sovietica.
Dopo il 25 aprile 1945 le domande sulle vere intenzioni dei comunisti italiani si sono moltiplicate, diventando sempre più allarmate. Mi riferisco ad aree ristrette dell'opinione pubblica antifascista. La grande maggioranza della popolazione si preoccupava soltanto di sopravvivere. Con l'obiettivo di ritornare a un'esistenza normale, trovare un lavoro e conquistare un minimo di benessere. Piccoli tesori perduti nei cinque anni di guerra. Ma le élite si chiedevano anche dell'altro. Sospinte dal timore che il dopoguerra italiano avesse un regista e un attore senza concorrenti, si interrogavano sul futuro dell'Italia appena liberata. Sarebbe divenuta una democrazia parlamentare oppure il suo destino era di subire una seconda guerra civile scatenata dai comunisti, per poi cadere nelle grinfie di un regime staliniano?
Era una paura fondata su quel che si sapeva della guerra civile spagnola. Nel 1945 non era molto, ma quanto si conosceva bastava a far emergere prospettive inquietanti. Anche in Spagna era esistita una coalizione di forze politiche a sostegno della repubblica aggredita dal nazionalismo fascista del generale Francisco Franco. Ma i comunisti iberici, affiancati, sostenuti e incoraggiati dai consiglieri sovietici inviati da Stalin in quell'area di guerra, avevano subito cercato di prevalere sull'insieme dei partiti repubblicani, raccolti nel Fronte popolare. A poco a poco era emerso un inferno di illegalità spaventose. Arresti arbitrari. Tribunali segreti. Delitti politici brutali. Carceri clandestine dove i detenuti venivano torturati e poi fatti sparire. Assassinii destinati ad annientare alleati considerati nemici. Il più clamoroso fu il sequestro e la scomparsa di Andreu Nin, il leader del Poum, il Partito operaio di unificazione marxista. Il Poum era un piccolo partito nel quale militava anche George Orwell, lo scrittore inglese poi diventato famoso per Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984. Orwell aveva 34 anni, era molto alto, magrissimo, sgraziato, con una faccia da cavallo. Era arrivato a Barcellona da Londra alla fine del 1936. Una fotografia lo ritrae al fondo di una piccola colonna di miliziani del Poum. Una cinquantina di uomini, preceduti da un bandierone rosso con la falce e martello, la sigla del partito e la scritta «Caserma Lenin», la base dell'addestramento.
Orwell stava sul fronte di Huesca quando i comunisti e i servizi segreti sovietici decisero la fine del Poum. Lo consideravano legato a Lev Davidovic Trotsky, il capo bolscevico diventato nemico di Stalin. In realta era soltanto un gruppuscolo antistaliniano con 10 mila iscritti. L'operazione per distruggerlo venne ordita e condotta da Aleksandr Orlov, il nuovo console generale dell'Urss a Barcellona, ma di fatto il capo della filiale spagnola del Nkvd, la polizia segreta sovietica. Nel giugno 1937, un decreto del governo repubblicano guidato dal socialista di destra Juan Negrin, succube dei comunisti, dichiaro fuori legge il Poum, sospettato a torto di cospirare con i nazionalisti di Franco. Tutti i dirigenti furono imprigionati. Se qualcuno non veniva rintracciato, toccava alla moglie finire in carcere. Gli arrestati si trovarono nelle mani del Nkvd che li rinchiuse in una prigione segreta, una chiesa sconsacrata di Madrid. Interrogato e torturato per quattro giorni, Nin rifiuto di firmare l'accusa assurda che gli veniva rivolta: l'aver comunicato via radio al nemico nazionalista gli obiettivi da colpire con l'artiglieria. Gli sgherri di Orlov lo trasportarono in una villa fuori città. Qui misero in scena una finzione grottesca: la liberazione di Nin per opera di un commando di agenti della Gestapo nazista, incaricati da Hitler di salvare il leader del Poum. Ma si trattava soltanto di miliziani tedeschi di una Brigata internazionale, al servizio di Orlov. Nin scomparve, ucciso di nascosto e sepolto in un luogo rimasto segreto per sempre. E come lui, tutti i suoi seguaci svanirono nel nulla. Quanto accadeva in Spagna fu determinante per la svolta ideologica di uno scrittore americano di sinistra, John Dos Passos. Scrisse: «Ciò che vidi mi provoco una totale disillusione rispetto al comunismo e all'Unione Sovietica. Il governo di Mosca dirigeva in Spagna delle bande di assassini che ammazzavano senza pietà chiunque ostacolasse il cammino dei comunisti. Poi infangavano la reputazione delle loro vittime con una serie di calunnie». Le stesse infamie, sia pure su scala ridotta, vennero commesse in Italia da bande armate del Pci, durante e dopo la guerra civile.
C'è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell'introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti.
Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull'esempio delle sue opere più note, racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un'altra, la loro.
ITALIANI IN GUERRA
Le guerre degli italiani dal risorgimento ai giorni nostri
CRIMINI E STRAGI PARTIGIANE
Firenze 15 aprile 1944 “Questo lo manda la giustizia popolare!” L’assassinio di Giovanni Gentile
«l’assassinio di Gentile fu una carognata ingiusta e vigliacca. Gentile non era fascista». Che gli antifascisti furono dei «cacasotto» perché «uccisero un grande e inerme filosofo mentre non ebbero il coraggio di sminare i ponti di Firenze che i tedeschi avevano minato» Così parlava in una lettera ritrovata anni dopo la sua morte e resa… Read MoreFirenze 15 aprile 1944 “Questo lo manda la giustizia popolare!” L’assassinio di Giovanni Gentile
15/04/2024Italiani in guerraLascia un commento
13 aprile 1945, il martirio del giovanissimo seminarista Rolando Rivi
“Domani un prete di meno” Era venerdì quel tragico 13 aprile 1945 quando con questa motivazione, dopo avergli fatto scavare la fossa, il commissario politico della 27ª Brigata Garibaldi “Dolo”, decise la morte del giovanissimo seminarista Rolando Maria Rivi. Aveva da poco compiuto quattordici anni. Articolo completo cliccando sul link sottostante: “Non cercatelo. Viene un… Read More13 aprile 1945, il martirio del giovanissimo seminarista Rolando Rivi
13/04/2024Italiani in guerra3 commenti
80 anni fa, la strage titina di Malga Bala
Il 25 marzo 1944, dodici ex Carabinieri Reali inquadrati a seguito del D.L. del Duce n. 913 come militi nella Guardia Nazionale Repubblicana al servizio del governo della Repubblica Sociale Italiana, vennero trucidati dopo inenarrabili sevizie, dai partigiani titini a Malga Bala in Slovenia, sopra la Val Bausiza, nel circondario di Plezzo. Solo nel 2009,… Read More80 anni fa, la strage titina di Malga Bala
25/03/2024Italiani in guerra4 commenti
“Mai prima d’ora il buon nome dell’Italia è caduto così in basso nella mia Stima”
“Sono qui venuto per una incresciosa missione, per un anno e mezzo ho lavorato per il bene dell’Italia, la mia opera e la mia amicizia sono state, io lo so, riconosciute e apprezzate, è mio dovere dirvi che mai prima d’ora il nome dell’Italia è caduto tanto in basso nella mia stima, non è libertà,… Read More“Mai prima d’ora il buon nome dell’Italia è caduto così in basso nella mia Stima”
07/07/2023Italiani in guerraLascia un commento
Stragi partigiane: 5 maggio 1945, l’eccidio di Valdobbiadene
Siamo nei primi giorni del maggio 1945, qualche giorno prima, precisamente il 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale ha proclamato l’insurrezione generale contro le forze di occupazione tedesche e le autorità della Repubblica Sociale Italiane-. Con le forze americane che hanno sfondato la linea gotica e le forze britanniche che avanzano ormai senza quasi… Read MoreStragi partigiane: 5 maggio 1945, l’eccidio di Valdobbiadene
05/05/2023Italiani in guerraLascia un commento
Stragi partigiane: 3 maggio 1945, il massacro dei finanzieri di Trieste
Era esattamente il 1° Maggio del 1945 quando l’esercito del Maresciallo Tito entrava a Trieste assumendone il controllo, per la seconda volta. Come nel caso della prima occupazione del settembre del 1943, gli slavi si renderanno responsabile di stragi impressionanti, come anche in tutto il resto della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia. Tra le… Read MoreStragi partigiane: 3 maggio 1945, il massacro dei finanzieri di Trieste
03/05/2023Italiani in guerraLascia un commento
Gallarate 29 aprile 1945, il vile assassinio del maggiore Adriano Visconti
Il 29 aprile 1945, a Gallarate, il maggiore Adriano Visconti di Lampugnano firmò la resa del suo reparto, il 1º Gruppo caccia “Asso di Bastoni” dell’A.N.R. l’Aeronautica Nazionale Repubblicana. L’atto venne controfirmato dai rappresentanti della Regia Aeronautica, del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) e da 4 capi partigiani. L’accordo… Read MoreGallarate 29 aprile 1945, il vile assassinio del maggiore Adriano Visconti
Carpi 15 gennaio 1946, quando a uccidere erano i partigiani. La morte di don Francesco Venturelli
Il 15 gennaio 1946, quindi ampiamente a guerra conclusa, a Fossoli nel comune di Carpi provincia di Modena veniva assassinato don Francesco Venturelli, originario del mirandolese, parroco dal 1935 e addetto dal 1942 all’assistenza dei prigionieri del campo di concentramento sito nella località sopra citata.
Ma è vero che a Lucca un sindaco di facciata ha dato l'ok all'inserimento in giunta di assessori di estrema destra, nostalgici di Mussolini?
Penso non sia mai accaduto una cosa così sconcertante in tutta la storia politica lucchese!
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