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  • 29/02/2024 13:37

l dipendente stressato ha diritto al risarcimento anche se non è sottoposto a mobbing

La decisione della Corte di Cassazione, emessa con l'ordinanza n. 4279 del 16 febbraio 2024, getta nuova luce sui diritti dei dipendenti che subiscono vessazioni sul luogo di lavoro, anche in assenza di mobbing. Il caso riguarda una dipendente del Ministero della Giustizia che ha visto respinta dalla sentenza del Tribunale di Bologna la sua richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non derivanti dai comportamenti vessatori dei colleghi. Secondo la pronuncia della Cassazione, la dipendente ha diritto al risarcimento, nonostante le condotte dei colleghi non rientrino nella definizione di mobbing secondo la giurisprudenza consolidata. I giudici hanno chiarito che, sebbene gli atti vessatori subiti dalla dipendente non siano configurabili come mobbing, l'ambito di responsabilità del datore di lavoro per il pregiudizio alla salute e alla personalità morale del lavoratore, come sancito dall'articolo 2087 del codice civile, è più ampio e grave. Dagli esiti della consulenza tecnica d'ufficio medico-legale, emerge chiaramente che il disturbo dell'adattamento con aspetti emotivi ansioso-depressivi di grado moderato e cronico sperimentato dalla dipendente è correlato agli episodi di vessazione sul luogo di lavoro. Questo stato di ansia si è addirittura aggravato temporaneamente a causa dell'ambiente lavorativo stressante. La Corte ha sottolineato che, nonostante non sussistano tutti gli elementi necessari per configurare il reato di mobbing, è comunque fondamentale valutare e accertare la possibile responsabilità del datore di lavoro, anche per omissione colposa nel prevenire un ambiente lavorativo stressante che possa arrecare danni alla salute del dipendente. Infatti è illegittimo che il datore di lavoro consenta anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori, seguendo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l'esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all'art. 2087 cod. civ.» (Cass. 3692/2023, che cita a sua volta Cass. n. 3291/2016). In caso di accertata insussistenza di mobbing in ambito lavorativo, il giudice del merito deve comunque accertare se, sulla base dei medesimi fatti allegati a sostegno della domanda, sussista un'ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano possibili necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore; su quest'ultimo grava l'onere della prova della sussistenza del danno e del nesso causale tra l'ambiente di lavoro ed il danno, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie. https://www.infermieristicamente.it/

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