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  • 19/09/2023 01:58

Pochi infermieri, stipendi bassi e percorsi mortificanti: «Serve un cambiamento immediato»

Pochi infermieri, stipendi bassi e percorsi mortificanti: «Serve un cambiamento immediato» In dieci anni dimezzato il numero di chi si iscrive ai test per i corsi universitari, che rimangono a numero chiuso. La presidente Fnopi: «Più qualità nei percorsi e su gli stipendi» DI SIMONE COSIMI 18 SETTEMBRE 2023 Infermieri Italia Infermieri ItaliaMASKOT Servono infermiere e infermieri. Tanti. Quanti? Almeno 65mila. A cui aggiungerne circa 20mila legati ai progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quasi 30mila sono all’estero, attratti da stipendi più alti e più edificanti possibilità di carriera. Col risultato che, in un paese in crisi demografica come il nostro, quel mestiere lo vogliono fare davvero in pochi. Basti guardare alle immatricolazioni ai corsi di laurea in scienze infermeristiche: nell’anno accademico 2012/2013 erano oltre 44mila, quest’anno il test dello scorso 14 settembre lo hanno affrontato in 23.522. E non tutti, chiaramente, lo passeranno. Un sostanziale dimezzamento. Dunque il Sistema sanitario nazionale, oltre ai pochi fondi che arriveranno dalla prossima legge di bilancio, è in crisi anche per questo deficit strutturale e noto ormai da molti anni: la carenza del personale che costituisce l’ossatura di ambulatori e ospedali, specialmente – come già detto – in un contesto demografico segnato da fasce di grandi anziani che necessitano di visite continue, assistenza prolungata e numerosi accessi. Rispetto allo scorso anno accademico c’è stato un ulteriore calo del 10% con punte del 15% nelle regioni centrali e in alcuni casi le domande non hanno toccato la soglia dei posti messi al bando. Tanto che in molti si chiedono che senso abbia, in una situazione tanto problematica, mantenere il numero chiuso per il percorso delle professioni infermieristiche. article image Giornata mondiale infermieri, Florence fu la prima della storia Non c’è solo il lato formativo ma, ovviamente, anche le prospettive di carriera per una professione che in Italia non è più sognata né particolarmente appetibile: gli stipendi, più bassi in media del 23% rispetto alla media dei paesi Ocse che non superano i 1.600 euro al mese; il percorso poco gratificante e con scatti limitati sia per il compenso che per le responsabilità; l’incapacità del Sistema sanitario nazionale di pensare nuovi ruoli e spazi d’azione per persone spesso molto qualificate, che dopo la laurea triennale spesso proseguono conseguendo titoli magistrali o master. E, di nuovo, per una società profondamente diversa rispetto a quella della fine degli anni Settanta, quando esordì il Sistema sanitario nazionale (grazie alla legge 883 del 23 dicembre 1978) basato su universalità, uguaglianza ed equità. All’estero, come detto, lavorano circa 30mila infermieri italiani. Formati dal sistema educativo nostrano ma finiti, spesso molto giovani, ad arricchire i servizi sanitari esteri. Risorse che sarebbero molto utili anche considerando i prossimi pensionamenti: secondo la Federazione nazionale ordine professioni infermieristiche (Fnopi), al momento vanno in pensione 10-12mila professionisti l’anno. Fra un decennio saranno il doppio. D’altronde, come è anziana la società invecchiano anche le sue componenti e le sue categorie. Il problema è che a laurearsi sono appena 10mila infermieri l’anno. Un gap importante che non garantisce neanche il turn-over, figuriamoci un irrobustimento del servizio e nuove assunzioni, anche qualora la politica trovasse i fondi per finanziarle. Come se ne esce? Lo abbiamo chiesto a Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi: «È necessario che la “questione infermieristica” venga affrontata nella sua totalità, non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente, con l’evoluzione degli attuali percorsi formativi offerti ai giovani futuri infermieri, “i veri garanti dell’assistenza” – spiega a Vanity Fair - per invertire la rotta si devono finanziare e sviluppare le lauree magistrali, quelle biennali dopo il primo triennio di laurea, abilitanti a indirizzo clinico per avere infermieri specialisti in grado di gestire una filiera assistenziale composta da più professionisti con livelli di competenze diversificate; occorre il finanziamento dei professori-infermieri, che devono rientrare sotto il governo del ministero dell’Università e non più sotto quello delle aziende e che garantiscano la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento universitario; bisogna rivedere i criteri di accesso ai corsi di laurea triennali prevedendo test di ammissione separati dalle altre professioni proprio per la specificità e peculiarità dell’infermieristica con nuove modalità; autonomia e specificità della selezione al corso». Per tutto questo è necessario un cambio immediato dei modelli organizzativi per prevedere «maggiore autonomia infermieristica e una nuova riqualificazione, il riconoscimento delle prestazioni tra quelle previste nei livelli essenziali di assistenza e nuovi sbocchi di carriera e professionali. Sul fronte della retribuzione, dove attualmente gli infermieri italiani sono tra i meno pagati d’Europa con stipendi medi di 1.500-1.600 euro al mese, va previsto un aumento dell’indennità infermieristica, quella creata durante la pandemia proprio in funzione del valore dell’assistenza prestata, di almeno il 200% (216 euro lordi/mese) – conclude Mangiacavalli – e per evitare gli ormai famosi “esodi” sull’asse Nord-Sud (così come all’estero) si deve intervenire subito per garantire ai singoli servizi nelle varie aree geografiche i più giusti e motivati professionisti, in coerenza con le competenze e le specializzazioni, grazie a concorsi mirati e alla conferma del loro lavoro nella specializzazione che rappresentano. Nessuna altra soluzione può essere ritenuta adeguata se prima non saranno messe in atto queste nuove misure strutturali. Senza un deciso e immediato cambio di rotta è a rischio l’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione». Quello che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Cure che in gran parte passano dagli infermieri.

I commenti

Secondo voi, razza di pazzi allucinati, lo stato dovrebbe assumere 85.0000 infermieri. Il costo di un infermiere è pari a 60.000 Eu l'anno (esclusa la formazione universitaria). Per cui 10 infermieri costano 600.000 Eu l'anno, 100 infermieri sei milioni, 1000 infermieri seicento milioni e così via. Oh, ma che bevete??!?!? Ma dove li trova, secondo voi, i soldi lo stato?!?! Ma fatela finita!

anonimo - 19/09/2023 23:44

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