ULTIMO INCONTRO CON IL LABORATORIO DEL COSTRUIRE SOSTENIBILE
ULTIMO INCONTRO CON IL ...
Basterebbe tornasse a scontare eventuali pene pregresse come tutti i condannati e poi sarebbe un uomo come gli altri.
Prego per lui che si ravveda
Il branco che insanguina Lucca
Era il 2004 quando allo stadio di Porta Elisa debuttarono a suon di sprangate i “Bulldog 1998”
Un ragazzo picchiato due settimane fa, cento punti di sutura in faccia e la perdita di un occ
Lucca è una città a doppio fondo. Una specie di distillato del provincialismo italiano. Dove avviene tutto e il contrario di tutto. Una città bigotta ma trasgressiva, per dire. Una città bianca in una regione rossa. Una città dove la tradizione mercantile è molto radicata e consolidata. Basta entrare in un negozio per sentirsi davvero circondati di attenzione e cortesia. Lucca è una città che conserva. I negozi di un tempo, i bar per il tè della buona borghesia, come se fosse immutabile. Anche il sindaco di Lucca è immutabile. Si chiama Mauro Favilla, è stato eletto nel 2007 ma era già stato primo cittadino nel 1972 e poi nel 1985 e ancora nel 1988. Oggi ha 76 anni.
Lucca è una città bellissima che a volte non riesce a nascondere le sue brutture, però. Accade anche in questi giorni ma la storia viene da lontano. Era il 2004 quando allo stadio di Porta Elisa debuttarono a suon di sprangate i “Bulldog 1998” un gruppo di supporter della squadra locale decisamente collocati a destra che, prima ancora di sostenere l’onore della Lucchese, iniziò a far pulizia della “marmaglia rossa” che infestava la loro stessa tifoseria, per ottenere il possesso completo della curva. Qualcuno racconta che già l’avere il comune concesso lo spazio per la presentazione di un libro sul gerarca Pavolini, il 25 aprile 2001, fu una prima occasione di aggregazione importante per il gruppo. Dopo anni di caccia ai “Fedayn” e ai “Tori Flesciati”, tifosi lucchesi di estrema sinistra, riuscirono nell’intento e iniziarono ad andare oltre, allargando le loro scorribande anche fuori dello stadio. Minacce e violenze commesse ai danni di giovani appartenenti all’area della sinistra antagonista, iniziati la notte di ferragosto del 2004 con l’aggressione a Edoardo Seghi, fino al pestaggio e all’accoltellamento di Emanuele Pardini, militante del centro sociale “Cantiere Resistente”, la notte del 23 febbraio 2007.
Dopo quell’episodio la polizia, che incomprensibilmente aveva tollerato per anni le loro prepotenze, decide di passare all’azione e, dopo ulteriori sette mesi di “lunghe e articolate indagini”, a settembre di quell’anno l’Ucigos di Lucca arresta una decina di Bulldog e altrettanti ne denuncia a piede libero per associazione a delinquere, percosse, lesioni personali gravi, violenza privata, minacce aggravate, porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere e danneggiamento. Nelle perquisizioni vengono trovati: una notevole collezione di armi improprie, pugnali, bandiere naziste e appunti e scritte che inneggiano alla superiorità razziale. I giovani, alcuni conosciuti con i nomi di battaglia di ‘Generalissimo’, ‘Toffolo’, ‘Brioche’, ‘Cicogna’, ‘Francuccio’, ‘Gigi la trottola’ (tutti dai 19 ai 36 anni con netta prevalenza di diciannovenni), inchiodati anche dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, si avvalgono della facoltà di non rispondere. Nuove denunce nascono dalle minacce e le aggressioni dei Bulldog nei confronti dei testimoni contro di loro.
Un paio d’anni dopo – siamo nel 2009 – altri episodi peggiorano questa storia. Stavolta addirittura siamo di fronte a un gruppetto di quattordicenni che per mesi si impossessa del centro della città e picchia chiunque gli capiti a tiro. Si fanno chiamare “Gabber”, sono di destra, ragazzi di buona famiglia, agiscono alla luce del sole, riprendono le loro imprese con il telefonino e sostengono di far questo per poter entrare a pieno titolo nei Bulldog. Dopo mesi di angherie, tre delle loro vittime – coetanei – decidono di rivolgersi alle forze dell’ordine. Venti vengono identificati e sette denunciati.
Alcune settimane dopo, il capo supremo dei Bulldog (disciolti per la legge ma non di fatto), il pluricondannato Andrea Palmeri (vanta anche un’impresa internazionale: nello stadio di Sofia – dove non avrebbe potuto essere perché colpito da Daspo – venne arrestato per aver incendiato la bandiera bulgara durante la partita con la nostra nazionale) presenta un suo libro sul tifo con il patrocinio del Comune di Lucca e un assessore cittadino. Il sindaco Favilla sostiene che forse c’è stato un equivoco, ma non ritira il patrocinio. Probabilmente si ricorda di come quei ragazzi, in varie e diverse forme, avevano contribuito alla sua elezione.
Nel frattempo Michele Quintino Miceli, presidente dei veterani sportivi lucchesi, smette di andare allo stadio e commenta: «Ci sono connivenze, che vanno spezzate, tra frange di tifosi e le società». In città, il primo atteggiamento della polizia e quello ancora attuale delle istituzioni fa circolare il sospetto di altre coperture. Allo stadio e fuori continuano le violenze, gli incendi e i furti d’auto. Particolarmente odiosa l’ennesima impresa di Palmeri, che è accusato da una donna di averle fratturato la mascella con un pugno. Persino Forza Nuova e Fiamma Tricolore prendono le distanze. Alcuni mesi fa il più attivo tra gli investigatori, il capo della Digos Gabriele Gargiulo, viene trasferito a Pisa.
Ma arriviamo all’ultimo tragico episodio di pochi giorni fa. In una birreria fuori città quattro Bulldog a cui era stato negato l’ingresso perché la settimana prima avevano lanciato petardi nel locale, sfondano la porta e irrompono. A farne le spese è un giovane avventore incolpevole, Sasha Lazzareschi: cento punti di sutura in faccia e la perdita di un occhio. Due Bulldog arrestati, due indagati. Lucca tace, però. Dalle istituzioni neppure una parola. C’è l’omertà del potere e la paura tra le persone. Difficilissimo ascoltare opinioni. Insofferenza all’argomento: “Sono dementi”, oppure, detto piano piano: “C’è una strana volontà di rimuovere”, è il massimo che riusciamo a raccogliere. Nel frattempo il processo del 2007 prevede una nuova udienza: è lunedì prossimo, 7 giugno.
’INTERVISTA11 agosto 2018 -
Parla Andrea Palmeri, per i pm «un guerrigliero latitante». «Io al fronte solo per aiutare le vittime»
Soldati inviati sul fronte ucraino. Palmeri, 39 anni: «Non è mio interesse reclutare e far rischiare la vita per due soldi. Qui si continua a sparare e morire»
Ha intenzione di tornare in Italia?
«Amo l’Italia dove ho i miei cari, quindi in un futuro vorrò sicuramente far ritorno. Allo stesso tempo, amo la Federazione russa e il Donbass: non escludo di rimanere qui e di rimpatriare solo saltuariamente. In ogni caso, il mio presente è in questa terra». Una piccola presentazione di Andrea Palmeri prima di continuare questa intervista, avvenuta via chat tra giovedì e ieri. Palmeri ha 39 anni e secondo l’accusa avrebbe reclutato e istruito più persone al fine di farle combattere a fianco delle milizie filo-russe dietro corrispettivo economico. Queste persone avrebbero commesso azioni preordinate e violente per abbattere l’ordine costituzionale. Nelle carte, di Palmieri si dice: «Gravato da numerosi pregiudizi di polizia per reati contro la persona, danneggiamento, associazione per delinquere, discriminazione razziale...».
Che cosa replica?
«Ho letto gli atti e sono rimasto veramente basito. Penso che sia un processo politico, un processo alle idee... Purtroppo in Occidente la Russia è vista come il male e, invece di provare a costruire un rapporto di collaborazione, si gioca allo scontro. Elencherò quelle che per me sono le maggiori inesattezze dell’inchiesta. Partiamo dal fatto che dire che l’operazione sia iniziata da un’indagine su skinhead e su scritte inneggiante a Priebke è solo un roboante titolo, buono per creare clamore ma lontano dalla verità. Questi militanti skinheads genovesi non hanno rapporti con il Donbass. Non esiste nesso né tantomeno qualcuno di loro è mai venuto. Allora, perché scrivere questo titolo e nominare l’operazione «88»? Unicamente per creare clamore. Se volete cercare i veri nazisti, dovreste cercarli nelle milizie paramilitari che appoggiano l’esercito di Kiev. Tra i miliziani che sostengono il Donbass ci sono persone di ogni credo e religione; l’unico e comune scopo è quello di difendere il popolo dall’aggressione perpetrata dalla giunta golpista ucraina».
Nell’inchiesta lei è soprannominato il « generalissimo».
«Non mi chiamo né mi sono mai fatto chiamare “generalissimo”... E inoltre questa storia di associarci al fascismo mi ha stufato... Il fascismo è finito nel 1945. Chi è venuto qui, non è un mercenario ma un volontario, e come tale è visto da tutto il popolo del Donbass che ci ama e rispetta: siamo i loro difensori. Venite a chiederlo alle persone e tutti vi diranno così. C’è stato un referendum, il popolo ha scelto di stare con la Russia e non con il governo golpista di kiev. Chi è venuto non è un mercenario perché il misero rimborso spese, che oltretutto non sempre arriva, è un aiuto per sopravvivere e non certo un arricchimento. Si figuri se è mio interesse reclutare persone per farle venire a combattere e a rischiare la vita per due soldi. Io sono venuto perché ci credo, perché amo il popolo russo e per difendere il popolo del Donbass. Anche se so che ci sono interessi troppo grandi contro di noi, ho fiducia nella giustizia e so che la verità verrà fuori. Non ci sono mercenari, non ci sono reclutatori, non ci sono skinheads o organizzazioni che reclutano per combattere. Penso invece che ci sia l’intenzione di criminalizzare la Russia e chi la sostiene. Io mi auguro che in Ucraina arrivi la pace e che Russia, Ucraina e Occidente trovino la soluzione per risolvere il conflitto. Ma per fare questo, qualcuno ad Ovest deve fare dei passi indietro».
Come trascorre le giornate? Di che cosa si occupa?
«Ora mi occupo — lo faccio gia dal primavera 2015 — di aiutare la popolazione. Aiuto asili, ospedali, orfanotrofi, invalidi, anziani. Tutti conoscono e apprezzano quello che faccio.Quello che viene fatto grazie a donazioni dall’Italia è tutto documentato. Non ci sono altri fini se non aiutare chi per la guerra ha perso tutto. Non è un paravento come qualcuno ha vergognosamente scritto. Anzi, la invito a venire e a vedere con i suoi occhi. In più, fra le mie attività, c’è l’insegnamento dell’italiano all’università».
Lei è in contatto con gli altri uomini dell’inchiesta? Perché molti italiani hanno fatto questa scelta?
«La maggior parte di coloro citati nell’inchiesta non li conosco, proprio perché non esiste un’organizzazione e chi è arrivato l’ha fatto di sua iniziativa. Il motivo di questa scelta? Io amo la Russia, quindi difendere il popolo del Donbass dal genocidio mi è sembrato doveroso. Un’altra cosa: le assicuro che i miei problemi con la legge avuti in passato in Italia c’entrano poco con questa decisione. E per finire, le dico che avendo visto la guerra, amo sempre di più la pace, ma per avere la pace bisogna eliminare le ingiustizie».
Com’è la situazione, in questi ultimi tempi?
«Teoricamente ora vige il cessate il fuoco. Ma lungo la linea del fronte si continua a sparare e morire, perché la parte ucraina non lo rispetta, come appurato dagli stessi inviati di pace».
Genova a cinque anni di carcere Andrea Palmeri, 42enne ex capo ultrà dei “Bulldog“ lucchesi ed esponente di estrema destra, imputato nell’inchiesta sui reclutatori e mercenari combattenti filorussi per la guerra nel Donbass, territorio conteso tra Russia e Ucraina. Il sostituto procuratore della Dda di Genova Federico Manotti aveva invece chiesto la condanna a 13 anni. Su Palmeri, che si trova da anni all’estero, pende un mandato di arresto europeo emesso dalla procura distrettuale. Secondo l’accusa, l’ultras aveva reclutato e istruito più persone per farle combattere a fianco delle milizie filo-russe nel territorio del Donbass, in Ucraina orientale e farle "partecipare ad azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale del Governo ucraino" oltre ad avere combattuto personalmente. Da parte sua Palmeri ha sempre respinto queste valutazioni, negando di essere un mercenario, anche se nel 2016 aveva ottenuto la cittadinanza per meriti, concessagli dal presidente del Lugansk per aver combattuto e aver aiutato la cittadinanza. Dopo le prime foto sul suo profilo Facebook tra 2014 e 2015 in cui ostentava mitra e fucili, era passato infatti a immagini ben più pacifiche, sostenendo di essersi trasferito nel Donbass per aiutare la popolazione locale con interventi di tipo sociale e umanitario. "L’unica cosa che hanno ottenuto con questa indagine – scruiveva Andrea Palmeri due anni fa – è stroncare una rete che si occupava di aiuti umanitari alla popolazione di queste repubbliche che soffre per questi oltre 5 anni di guerra...". Una tesi che i giudici genovesi non hanno tuttavia accolto, sia pure più che dimezzando la pena rispetto a quella richiesta dalla pubblica accusa.
Purtroppo per lui è scappato per non fare carcere in Italia per varie risse e picchiamenti verso compagni vari, ora è filo putiniano usa Facebook ma poi afferma che è giusta la sua censura da parte di Putin. Nel cervello ha tanto semolino. Lui si ubriaca poi minaccia con lame ed arti marziali chi non è ultra fascista, ma scappa dalla Italia.
Zippo - 23/08/2023 21:45Così direbbe Bruce Willis a Palmeri:
"Hai degli amici? E com'è successo?"
Per me può anche dimenticarci tutti e restarsene a l...... il c... a Putin!
Anonimo - 22/08/2023 03:08ULTIMO INCONTRO CON IL ...
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