Lo strano caso di Beatrice Venezi
Indubbiamente bella, elegante, glamour, fresca nel comunicare, impegnata nel tentativo di superare le barriere tra generi musicali e nel portare la musica classica a un pubblico giovane, fa spesso parlare di sé non tanto per la sua attività musicale – valutata bene o male, poi lo analizzeremo – ma perché è diventata un fenomeno pop, un caso mediatico in patria, tanto da comparire come volto di importanti campagne pubblicitarie (Daygum, Bioscalin, testimonial della prima campagna tv della 24Ore Business School).
Nel 2018 è stata addirittura considerata dalla rivista Forbes Italia tra i cento giovani under 30 “number one” definiti nientemeno che “leader del futuro”, assieme, tra gli altri, all’attrice Matilde Gioli, ai cantanti Fabio Rovazzi e Ghali, alla schermitrice Bebe Vio. Mentre nel 2017 il Corriere della Sera l’aveva già inserita nella lista delle 50 donne più creative dell’anno.
Da allora la sua popolarità non si è offuscata, anzi è vieppiù cresciuta: così giù interviste, servizi fotografici che ne esaltano la bionda avvenenza, libri scritti di suo pugno (Le sorelle di Mozart. Storie di interpreti dimenticate, compositrici geniali e musiciste ribelli, Allegro con fuoco. Innamorarsi della musica classica e l’ultimo L’ora di musica. Un invito alla bellezza e all’armonia), provocatorie dichiarazioni politiche che hanno sempre fatto discutere.
È senza dubbio, sin dagli inizi della carriera, una campionessa nel vendere il proprio brand. Ma questo primato lo ha conquistato anche sul podio?
Le ultime due vicende controverse che l’hanno vista protagonista sono in qualche modo legate e la collocano politicamente in modo inequivocabile: da una parte la netta presa di posizione pro Giorgia Meloni, all’indomani della vittoria elettorale alle recenti politiche, dall’altra la nomina a direttore artistico della Fondazione Taormina Arte.
Venezi il 26 settembre ha fatto un coming out in piena regola pubblicando su Instagram una foto in cui è ritratta assieme alla leader di Fratelli d’Italia: «Ti meriti tutto Giorgia, hai lottato come una leonessa dal primo giorno, instancabile e determinata, con competenza e passione, e con la forza che forse solo una madre conosce. Adesso comincia un altro duro lavoro ma sono certa che sarai all’altezza delle aspettative di tutti gli italiani che aspettavano questo momento da una vita».
Del resto Venezi, pur non accettando l’invito di FdI a candidarsi alle elezioni per non togliere tempo al proprio lavoro, non ha mai nascosto la sua simpatia per Giorgia Meloni, esibendosi a Milano nel contro-concerto del 1° maggio organizzato dal partito di centrodestra per festeggiare i lavoratori non tutelati e non rappresentati dalle organizzazioni sindacali.
A fine giugno, in un’intervista all’Espresso, aveva dichiarato: «Ho molta stima di Giorgia Meloni, come donna, prima di tutto. Una donna del genere nel nostro panorama politico italiano, e non solo, non l’abbiamo ancora vista, sinceramente. Apro le braccia a una parte politica che finalmente riconosce l’importanza della cultura e della nostra tradizione come valore fondante di un Paese. Ed è la prima volta che lo vedo».
E la musicista non aveva rinunciato a lanciare una stoccata alla sinistra: «Proprio quella parte politica che negli ultimi venti-trenta anni doveva essere di supporto alla cultura è stata la prima a utilizzarla per mantenere dei baluardi di potere».
Ad agosto, invece, per la nomina a Taormina Arte, il caso diplomatico non aveva tardato a esplodere: il sindaco Mario Bolognari, all’oscuro della mossa, ha annunciato di voler proporre il recesso del Comune dalla Fondazione che organizza gli spettacoli e le attività culturali della città siciliana.
«Apprendo che è stato nominato un direttore artistico dalla Fondazione», ha dichiarato stizzito Bolognari. «La Fondazione è costituita dalla Regione e dal Comune di Taormina, ma io, che rappresento il 50 per cento della Fondazione, non solo non sono stato consultato, ma neanche informato della decisione. Non so se considerare questo gravissimo atto un sopruso perpetrato contro la città di Taormina oppure una semplice cafonata istituzionale. Quel che è certo è che da questo momento verrà meno la mia personale collaborazione con la Fondazione e che proporrò al consiglio comunale di recedere».
Ma c’è di più: il dubbio è che dietro la scelta ci sia stata una manovra politica. Bolognari, infatti, è stato eletto nel 2018 con la lista civica di centrosinistra “La nostra Taormina”, mentre la nomina è stata firmata dal commissario regionale Bernardo Campo, espressione della Regione Sicilia guidata da Nello Musumeci, candidato al Senato per Giorgia Meloni. E il contratto è stato siglato dalla stessa Venezi a Palermo, nella sede dell’assessorato al Turismo gestito da Manlio Messina, uomo di Fratelli d’Italia fedelissimo della leader.
Per non parlare della trovata del “direttore” di rispolverare il motto “Dio, Patria e Famiglia”, al centro dei Doveri dell’uomo (1860), testo fondamentale del Risorgimento di Giuseppe Mazzini, ripreso poi negli anni Trenta dal segretario del Partito Nazionale Fascista, Giovanni Giurati, con tutt’altro significato.
E Venezi lo ha fatto chiamando in causa Monica Cirinnà, dirigente del Pd e candidata al Senato in uno dei collegi romani, riferendosi a un cartello contro lo slogan fascista, portato dalla senatrice in piazza durante una delle tante mobilitazioni femministe organizzate per l’8 marzo 2019 che non mancò di scatenare polemiche. «Mi vergognerei se avessi una madre come la Cirinnà, che pubblica la foto “Dio, Patria e Famiglia, che vita di m…”, che invece sono proprio i miei valori» ha detto la musicista, ribattezzata da Dagospia “bacchetta nera”, nonché figlia di Gabriele Venezi, immobiliarista, direttore di un’agenzia pubblicitaria e dirigente nazionale dell’organizzazione neofascista Forza Nuova nel primo decennio del 2000, che si è pure candidato sindaco a Lucca.
Affermazioni che sembrano esprimere una posizione netta contro ateismo e unioni non tradizionali. Non è un caso che la frase pronunciata da Venezi sia stata poi ripresa da Fratelli d’Italia che l’ha fatta sua usandola per una card pubblicata sui social. Dunque, i conti tornano.
Lei, peraltro, anche in una recentissima intervista televisiva, si giustifica dicendo che lo slogan fu ribadito anche dal democristiano Alcide De Gasperi e che Dio, patria e famiglia sono valori alla base di tutte le società che hanno un indirizzo conservatore, nulla a che vedere col fascismo insomma. Intanto però, in una recente intervista a Fanpage, ha confermato che se Meloni, che sarà quasi certamente la prima premier donna d’Italia, la chiamasse a svolgere un ruolo vicino alle sue attitudini e competenze artistiche, perché no? forse accetterebbe.
Beatrice Venezi non è nuova a exploit del genere, come quando, salita sul palco del Festival di Sanremo 2021 per premiare il vincitore delle “Nuove Proposte”, chiese di essere chiamata “maestro” o “direttore”, non “direttrice”. Affermando: «Per me quello che conta è il talento e la preparazione con cui si svolge un determinato lavoro. Le professioni hanno un nome preciso e nel mio caso è “direttore d’orchestra”. Mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo». Poche parole che, però, sono bastate ad accendere il dibattito sui social e a opporre sostenitori e detrattori.
In quell’occasione era intervenuta anche la deputata del Pd Laura Boldrini, spiegando che «la declinazione femminile la si accetta in certe mansioni come “contadina”, “operaia” o “commessa” e non la si accetta quando si sale nella scala sociale, pensando che il maschile sia più autorevole. Invece il femminile è bellissimo. È un problema serio che dimostra poca autostima. Inviterei la direttrice Venezi a leggere cosa dice l’Accademia della Crusca, la più alta autorità linguistica del nostro Paese. Se il femminile viene nascosto, si nascondono tanti sacrifici e sforzi fatti».
Mentre la collega ucraina Oksana Linyv, direttrice musicale dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, prima donna alla testa di una Fondazione lirica italiana, aveva commentato sul Corriere della Sera che «così si rischia di riportare indietro di oltre 50 anni le conquiste delle donne. Per secoli alcune professioni erano destinate agli uomini, perciò sono d’accordo che mi si chiami direttrice altrimenti sarei un’eccezione nel mondo patriarcale. Oggi siamo poche, ma presto saremo di più».
Pura e semplice questione linguistica? No, per Venezi. A suo parere il sessismo nella musica classica è ben radicato, e molti passi avanti vanno ancora fatti per raggiungere la parità. D’altronde che non voglia essere incasellata solo come donna che dirige un’orchestra è chiaro da tempo. Già quattro anni fa sul podio del Festival di Torre del Lago per dirigere La Rondine alla domanda se il suo essere donna, giovane e bella l’avesse aiutata nella carriera rispondeva: «Nessun vantaggio, se ci penso. Anzi. Le forme di pregiudizio ci sono, sono diverse da un tempo ma tenaci. Anche se le donne-direttore d’orchestra non sono più un’eccezione e le cose stanno cambiando, ce ne vuole ancora prima di non essere giudicata anzitutto per il sesso, poi per la professionalità».
Parole assolutamente condivisibili, anche se poi Venezi non disdegna di salire sul podio in abiti da diva, mentre lo slogan di una delle pubblicità di cui è testimonial recita: “Tira fuori il tuo lato Bioscalin”, con la B ben evidenziata.
Disinvoltura e abilità di autopromozione abbinate ad accuse rivolte a sovrintendenti e direttori artistici che la osteggerebbero per il suo essere giovane e donna (intervista a Vanity Fair dell’ottobre 2019). E perché mai dovrebbero esserle ostili, se tengono invece in grande considerazione emergenti come la hongkonghese Elim Chan, la neozelandese di origini cinesi Tianyi Lu, la francese Marie Jacquot, la tedesca Johanna Mallwitz e altre promesse?
Ecco, professionalità e talento: il punto è proprio questo. Qual è il curriculum di Beatrice Venezi? Ha senso annoverarla tra i punti di riferimento del podio di ultima generazione? Come pianista (si è diplomata al Conservatorio di Milano) non ha lasciato grandi tracce – segnala Le Salon Musical – vincendo qualche piccolo concorso tra il 2005 e il 2006, quando era adolescente. Come direttore, sorvolando sul fatto che lei stessa ha raccontato di non essere stata ammessa al biennio di specializzazione in direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano dove si è diplomata (una battuta d’arresto può capitare anche ai migliori), va detto che fuori dall’Italia non è così conosciuta né richiesta.
Per ora la sua carriera è priva di ingaggi di peso, e non può vantare collaborazioni con enti e orchestre di alto livello. L’Olimpo della direzione d’orchestra, insomma, non la contempla. Se è difficile fare confronti lontani nel tempo visti i pochi precedenti femminili sul podio, per fare qualche illustre esempio Claudio Abbado, nel 1963, appena trentenne, conquistò il prestigioso Premio Mitropoulos della New York Philharmonic. Riccardo Muti, a 26 anni vinse il Premio Cantelli, a 27 era già direttore del Maggio Musicale Fiorentino. Riccardo Chailly, ventenne, era assistente di Abbado alla Scala e a 25 è salito sul podio del Piermarini per la ripresa dei Masnadieri. Lo svizzero Lorenzo Viotti (anch’egli classe 1990) prima ha vinto un Premio a Salisburgo, poi ha avuto successo nel teatro lirico milanese e ora ha un contratto ad Amsterdam.
E intanto si allunga la lista delle direttrici d’orchestra, giovani o meno giovani, affermate a livello internazionale: per fare qualche esempio, oltre alle musiciste già citate, la lituana Mirga Garzinyte-Tila, la statunitense Marin Alsop, la canadese Keri-Lynn Wilson, l’australiana Simone Young, la messicana Alondra de la Parra, la finlandese Eva Ollikainen, Oksana Lyniv, la nostra Speranza Scappucci, che di gavetta ne ha fatta eccome. Oltre alla decana Claire Gibault (classe 1945), che ha debuttato ad alti livelli nel 1976.
Vero che in carriera oggi sono 600 i direttori uomini contro 21 donne e che in Italia le bacchette rosa sono ancora delle eccezioni, ma ciò non spiega la continua e idolatrante esposizione di Venezi. E non basta come punto di merito il fatto di essere la più giovane bacchetta d’Europa (tra l’altro qualcuno fa notare che l’affermazione è facilmente smentibile, basta citare la sua collega all’Orchestra della Toscana, Nil Venditti, che a 20 anni era già impegnatissima in concerti e concorsi).
Le orchestre che ha diretto in Italia, dove ha terreno più facile, sono tutte istituzioni che svolgono un prezioso lavoro a livello locale, ma che non possono essere definite di spicco assoluto nel panorama nazionale, e tantomeno internazionale: Orchestra della Toscana, Orchestra da camera Milano Classica di Milano, Pomeriggi Musicali di Milano (caso a parte per la sua storia prestigiosa che continua), Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, Orchestra Filarmonica Campana, Orchestra da Camera Fiorentina, Orchestra della Magna Grecia, Filarmonica di Lucca, Filarmonica di Benevento, Orchestra Nuova Scarlatti Young.
E, se ha lavorato coi Pomeriggi, con l’Orchestra di Padova e del Veneto, della Filarmonica del Teatro Regio di Torino, dell’Orchestra della Fenice di Venezia, è accaduto per progetti secondari, concerti di Natale o eventi privati finanziati da sponsor.
Nel 2017 è stata nominata dall’allora presidente Alberto Veronesi Direttore Principale Ospite del Festival Pucciniano, ma negli anni successivi Beatrice Venezi non è più apparsa e il progetto a lei assegnato “Pacini Renaissance” non è mai stato realizzato.
Per amor di completezza, va detto che nel dicembre 2021 ha inciso per l’autorevole casa discografica Warner, con cui ha un contratto, e con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, il suo secondo album Heroins, che raccoglie Preludi, Sinfonie, Intermezzi e Suite tratte da opere con figure femminili come protagoniste. Ma non è un caso che i pezzi usciti su quotidiani e riviste siano stati tutti firmati da giornalisti della musica pop o di costume, mentre i critici della classica abbiano snobbato la pubblicazione.
E all’estero? Come fa notare ancora Le Salon Musical, nel suo curriculum si legge che è “affermata a livello internazionale” e che “si esibisce nei teatri di tutto il mondo”. Ma quel prestigio tanto strombazzato non trova conferme nelle ricerche sul web, così come sono assenti le recensioni di autorevoli critici musicali.
È stata assistente direttore dell’Armenian State Youth Symphony Orchestra, un progetto nato da giovani nel 2005, ammirevole ma non certo di valore eccelso. È salita sul podio dell’Orchestra della Fondazione Bulgaria Classic, dell’Orchestra Filarmonica Nazionale di Odessa, dell’Orchestra e coro del Teatro Bolshoij (non quello di Mosca bensì quello di Minsk).
Ultimo incarico, la direzione di Madama Butterfly all’Opéra-Théâtre de Metz, in Francia (tre recite sino al 6 ottobre). Le grandi formazioni, saranno tutti d’accordo, mancano all’appello.
Ultimo capitolo: il valore artistico. Gli addetti ai lavori hanno seguito Venezi all’inizio della carriera con una certa curiosità, ma poi l’hanno progressivamente ignorata.
Il critico musicale di Repubblica, Angelo Foletto, non usa giri di parole: «Difficile valutare consapevolmente il direttore Beatrice Venezi dovendosi fidare di qualche video preso a strascico su internet e di un paio di occasioni pubbliche con orchestre milanesi di consistenza media (o in formazione rimediata, perché non impegnate in concerti ufficiali di stagione)».
Ed entrando più nel merito aggiunge: «Certo, già il gesto con cui chiude l’accordo nella pubblicità “tricologica”, e che in esecuzione non sarebbe tecnicamente utile, può dare un’idea. Il braccio crea un disegno e la musica ne “suona” un altro, non insieme. Ma se non altro, rispetto ad altri spot che scomodano la figura del direttore d’orchestra – e in fiction tv recenti ambientate in Conservatorio s’è visto di peggio – il portamento nello spazio è fisicamente attinente».
Il problema è semmai che l’orchestra di fronte al direttore lucchese dia sempre l’impressione di procedere per conto suo. «Dalle (poche ripetiamo) occasioni dal vivo, e sempre tenendo conto che il lavoro vero del direttore è in prova, si ricava la sensazione che il direttore Venezi non abbia del tutto in mano l’esecuzione. Ma si limiti ad assecondare le geometrie e le linee principali della partitura – i cantabili o il ritmo – senza orientarle. Da cui il movimento della bacchetta che non distingue con chiarezza i punti di riferimento obbligati come il battere/levare mentre fraseologia e accentazione del discorso musicale, affidati quasi solo al braccio destro, sembrano non anticipare intenzioni e suono degli strumentisti».
Una immaturità che può forse essere imputata alla giovane età, in una professione che richiede anni e anni di studio e approfondimento.
Ma, allora, perché non lavorare sodo a testa bassa e senza clamore, invece di dar vita alla narrazione del grande direttore donna in carriera che non corrisponde all’evidenza dei fatti?
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