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  • 27/11/2022 19:47

Ufficio politico del PMLI : Nascita e sviluppo del regime neofascista italiano

Dal Rapporto dell'Ufficio politico del PMLI presentato da Giovanni Scuderi al 4° Congresso nazionale del Partito Nascita e sviluppo del regime neofascista italiano Come siamo giunti al governo neofascista Meloni? Lo spiega molto bene in sintesi il Documento del Documento del Comitato centrale del PMLI del 25 ottobre. Ne dà una spiegazione più estesa il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale e Maestro del PMLI, presentando il Rapporto dell'Ufficio politico al 4° Congresso nazionale del Partito in data 26 dicembre 1998. Qui di seguito ripubblichiamo il terzo capitolo dal titolo “L'Italia di oggi”. Un'analisi e una documentazione preziose su un passaggio fondamentale della storia del nostro Paese e della linea del PMLI che fa piena luce sull'odierna situazione politica e sociale e sui responsabili remoti dell'avvento del governo neofascista Meloni. Una memoria da non perdere anche per capire chi sono oggi i nemici da combattere e gli amici con cui allearsi e che cosa bisogna fare per avanzare sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista. L'Italia di oggi è profondamente cambiata, politicamente, istituzionalmente ed economicamente, rispetto a quella di 13 anni fa. L'unica cosa che non è cambiata è la dittatura della borghesia, che anzi si è rafforzata grazie al sostegno governativo dei rinnegati del comunismo. La seconda repubblica In questo arco di tempo siamo passati dalla prima Repubblica democratica borghese alla seconda repubblica neofascista, presidenzialista e federalista, senza che vi sia stata una proclamazione ufficiale e nell'assoluta inconsapevolezza da parte delle masse. Tanti e abilmente mascherati sono stati gli imbrogli e gli inganni dei politicanti borghesi che le masse non hanno capito niente di ciò che stava avvenendo. Mancano solo gli ultimi timbri costituzionali e legislativi per completare legalmente e istituzionalmente l'opera della seconda repubblica. Siamo stati a un passo che questi timbri fossero messi se non fosse fallita la bicamerale golpista di D'Alema, il cui progetto, se fosse stato approvato dal parlamento, avrebbe cancellato formalmente lo Stato e la Costituzione della prima Repubblica. D'Alema però ci sta riprovando avvalendosi ora dello scranno più alto del presidente del Consiglio. La seconda repubblica, progettata dalla P2 di Gelli attraverso il cosiddetto ``piano di rinascita democratica'' e lo ``Schema R'' redatti nel 1975, è stata instaurata in una prima fase in maniera surrettizia, tanto che fino al governo Ciampi chi si era convertito ad essa dopo anni di opposizione, ipocritamente e per confondere le idee delle masse, parlava di ``secondo tempo della Repubblica'' . Solo successivamente, col governo Berlusconi, la sua instaurazione è avvenuta in maniera aperta. Nascondendo però sempre il suo carattere neofascista, che anzi si cerca di far passare come uno sviluppo della democrazia, un ``ammodernamento del sistema politico'' , una necessità per dare stabilità al governo e al Paese. I primi passi concreti verso la realizzazione della seconda repubblica sono stati compiuti dai due governi Craxi (4 agosto '83-3 marzo '87). Costui, che D'Alema il 3 ottobre 1991 avrebbe voluto candidare al Quirinale, è stato il primo a teorizzare apertamente, fin dal settembre 1979, la necessità di una ``Grande riforma'' istituzionale, e a lanciare, nel febbraio 1987 nelle tesi congressuali del PSI, la repubblica presidenziale che prevedeva l'elezione diretta del presidente della Repubblica. Un progetto da sempre nei piani dei fascisti: da Mussolini ad Almirante e Fini. I governi Craxi, oltre al feroce attacco alle conquiste dei lavoratori, tra cui la scala mobile, si è particolarmente distinto per l'attacco sistematico e martellante alla magistratura e per le iniziative legislative e referendarie tese a normalizzare e irreggimentare la magistratura e assoggettare i pubblici ministeri al governo anche attraverso la separazione delle carriere tra essi e i giudici. I successivi governi hanno proseguito nella linea controriformatrice di Craxi. Anche il governo Goria (20 luglio '87-11 marzo '88), sotto cui viene approvata la legge sulla responsabilità civile dei giudici, e quello De Mita (13 aprile '88-19 maggio '89), che pure avevano inizialmente delle riserve e dei dissensi riguardo alla seconda repubblica. Sotto il governo De Mita viene abolito il voto segreto alla Camera, approvata la ``riforma'' della presidenza del Consiglio e promossa la legge sulla ``regolamentazione'' del diritto di sciopero ``nei servizi pubblici essenziali'' . Contro questa legge antisciopero, votata anche dal PCI, il PMLI si è battuto strenuamente sviluppando una delle sue più grandi campagne di massa. Abbiamo promosso dei ``Comitati per la difesa del diritto di sciopero'' e una petizione inviata alla Camera, la quale non si è degnata nemmeno di rispondere, sottoscritta da 7.342 lavoratori, sindacalisti, delegati di fabbrica, parlamentari, esponenti degli enti locali e dell'associazionismo. Nel corso di questa battaglia il compagno X, che si batteva in prima linea, è stato vilmente destituito dalla carica di Segretario generale della Funzione pubblica della Valsesia da parte del vertice revisionista della Camera del lavoro della Valsesia e della Segreteria provinciale piemontese della Cgil-Funzione pubblica. I due governi Andreotti (23 luglio '89-2 febbraio '92) hanno fatto approvare la suddetta legge antisciopero e le ``riforme'' delle autonomie locali, dell'Università, dell'emittenza televisiva, delle Usl e degli ospedali e il nuovo regolamento della Camera. Sotto il governo Amato (4 luglio '92-21 aprile '93) avviene il passaggio ufficiale dal regime democratico borghese al regime neofascista in quanto che l'allora braccio destro di Craxi ha operato esplicitamente per aprire una ``fase costituente'' per ``riformare'' le istituzioni, ossia riscrivere la Costituzione in base alle nuove esigenze del regime capitalistico e alla luce del famigerato trattato di Maastricht. Sotto il governo Ciampi (13 maggio '93-9 maggio '94) vengono cambiati il sistema elettorale e la ``costituzione economica'' attraverso le privatizzazioni e il ``patto sociale'' del luglio 1993. Altri cambiamenti di regime sono stati introdotti dal governo Berlusconi (10 maggio '94-22 dicembre '94) e dal governo Dini (17 gennaio '95-16 maggio '96). Sotto quest'ultimo governo, col voto favorevole del partito di D'Alema, le pensioni pubbliche hanno ricevuto un grosso taglio, meno radicale di quello voluto da Berlusconi, ma sempre grave. Il governo piduista Berlusconi ha agito come se non fosse mai esistita la Resistenza e ha ricongiunto la seconda repubblica al ventennio fascista di Mussolini, avendo, tra l'altro, nel suo seno il partito fascista storico, anche se col nome nuovo di Alleanza nazionale. Un fatto senza precedenti nella storia governativa italiana dalla Liberazione dal nazi-fascismo. Ma è la logica conseguenza dell'abbattimento ufficiale delle pregiudiziali antifasciste e antimonarchiche e dell'omologazione borghese, reazionaria e anticomunista esistente in parlamento e nelle istituzioni. Da quando si è arrivati a celebrare nel 1988 i funerali di Stato per Giorgio Almirante, segretario nazionale del MSI e fucilatore di partigiani, era inevitabile che i fascisti potessero arrivare al governo liberamente. Un ruolo fondamentale per l'instaurazione della seconda repubblica e del presidenzialismo l'hanno svolto gli ultimi presidenti della Repubblica - il socialista Sandro Pertini e i democristiani Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro -, con il loro presidenzialismo di fatto, con la formazione di ``governi del presidente'', con le ripetute esortazioni a fare le ``riforme istituzionali'', con l'avallo di atti governativi e la firma dei provvedimenti governativi che violavano la vigente costituzione, con i messaggi al parlamento invocanti le ``riforme istituzionali'', per non aver denunciato, da parte dei due ultimi presidenti, il federalismo e il secessionismo dell'avventuriero neofascista e razzista Bossi. In quest'opera reazionaria si è particolarmente distinto l'implacabile picconatore e capo dei gladiatori Cossiga. Ma anche Scalfaro non ha scherzato. Questo papa mancato e anticomunista storico viscerale ha tentato ripetutamente di aprire la ``fase costituente'' . Fin dal discorso di investitura, pronunciato in parlamento il 28 maggio 1992, ha chiesto ``una globale e organica revisione della Carta costituzionale nell'articolazione delle diverse istituzioni''. Tra i picconatori della prima Repubblica e i promotori della seconda repubblica vanno anche annoverati Mario Segni - padre dei referendum elettorali e leader del partito trasversale controriformatore, pupillo di Cossiga, è stato lui a mandarlo in parlamento nel 1976, figlio dell'ex presidente della Repubblica, Antonio Segni, coinvolto nel golpe De Lorenzo - e l'ultimo arrivato Antonio Di Pietro, l'ex pubblico ministero di ``Mani pulite'' che ha strumentalizzato tangentopoli per tentare di spiccare un salto politico più in alto possibile, magari al Quirinale. Paradossalmente i passi decisivi verso il completamento della seconda repubblica sono stati compiuti dal governo Prodi (17 maggio '96-20 ottobre '98) e dal governo D'Alema dal 21 ottobre in carica. Proprio da quegli stessi politicanti borghesi che in un primo tempo, e per lungo tempo, sono stati contro la seconda repubblica, il presidenzialismo e il federalismo. Il governo D'Alema Dopo 50 anni i rinnegati del comunismo sono ritornati al governo e hanno occupato, per la prima volta con D'Alema, la carica di presidente del Consiglio. Senza che ciò abbia apportato più libertà, più democrazia, più benessere per le masse. Gli unici a beneficiarne sono stati e sono la borghesia, il capitalismo e il loro regime. è stato sempre così ogni volta che il PCI è andato al governo. Sia subito dopo la Liberazione, tra il '45 e il '47, quando nel governo ha favorito la ricostruzione dell'economia capitalista e dello Stato borghese e graziato i fascisti e i repubblichini. Sia quando, sostenendo i governi Andreotti nel periodo della cosiddetta ``solidarietà nazionale'' che va dal luglio '76 al gennaio '79, partecipò in prima persona alla denigrazione e alla repressione del movimento rivoluzionario di massa del '77 e ispirò la ``svolta dell'Eur'' avvenuta il 14 febbraio 1978 con l'Assemblea dei Consigli generali e dei quadri Cgil, Cisl, Uil. Questa svolta ha gettato le basi ideologiche, politiche e rivendicative dell'odierno sindacato di governo che subordina le lotte sindacali ed economiche alle compatibilità del sistema capitalista. Luciano Lama, allora Segretario generale della Cgil ed esponente del PCI, in quella sede teorizzò per la prima volta che ``il salario non è una variabile indipendente'' , una tesi che ha portato alla cancellazione della scala mobile, all'accettazione dei tetti di inflazione, alla ``politica dei redditi'' e ai ``patti sociali'' di luglio '92 e '93 e a quello di quattro giorni fa. Ora gli eredi del PCI, finalmente padroni del governo, sono tutto papa, chiesa, patria, capitalismo, istituzioni e famiglia. Ciò dimostra che i revisionisti sono dei borghesi travestiti da comunisti, che la loro salita al potere è un bene non un male per la borghesia e che questa fa i ponti d'oro a chi rinnega il socialismo e il comunismo. Romano Prodi, sperimentato economista della sinistra DC, padre delle privatizzazioni fin da quando era presidente dell'Iri, alleatosi con D'Alema, Cossutta e Bertinotti, ha diretto un governo che aveva lo scopo, come egli ha dichiarato in parlamento di ``promuovere lo sviluppo del capitalismo e la privatizzazione delle attività produttive'' e la ``ristrutturazione seria'' dello ``Stato sociale'', di fare entrare l'Italia nell'Euro e di ``proiettare il nostro Paese nel mondo, dando un ruolo importante alle nostre Forze armate''. Su questa base egli ha fatto pagare alle masse una politica economica di lacrime e sangue attraverso due finanziarie per un totale di 125 mila miliardi, col consenso pieno di Bertinotti e Cossutta, e la promozione di quella del '99 di 14.700 miliardi, che è stata fatta propria dal governo D'Alema. La controriforma Bassanini, da Prodi tenacemente perseguita e votata l'11 marzo '97 anche dal PRC, ha introdotto fondamentali elementi del federalismo, nuove misure per la privatizzazione della scuola, il trasferimento dallo Stato alle regioni dei trasporti locali e completato il processo di privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti. Inoltre essa ha stabilito i principi fondamentali cui debbono attenersi le regioni e gli enti locali. Il principio della ``sussidiarietà'', che significa il ritiro dello Stato dai compiti di erogare e gestire i servizi sociali, assistenziali e sanitari della comunità, lascia campo libero ai privati e alla chiesa cattolica con la sua concezione reazionaria della famiglia e della donna. Il principio della ``copertura finanziaria e patrimoniale'' dei costi dei servizi gestiti dagli enti locali, impone a questi ultimi di ``far quadrare i bilanci'' tagliando le prestazioni, il personale e le strutture. Infine il principio dell'``autonomia'' organizzativa e regolamentare degli enti locali funzionale alla privatizzazione dei servizi pubblici. Tutto ciò, come si vantano Prodi e il suo ex ministro Bassanini, già esponente del PSI craxiano, è avvenuto ``a Costituzione invariata'' . Non siamo quindi ancora a un federalismo completo e costituzionale, ma si è avviato comunque un processo che non può non portare alla divisione dello Stato italiano e a forti disparità e tensioni tra regioni e regioni. Il federalismo è stato sempre un cavallo di battaglia dell'antimeridionale Lega Nord di Bossi, che però successivamente è passata al secessionismo dell'Italia del Nord, la cosiddetta ``pada-nia''. Il federalismo è anche sostenuto dalla fondazione Agnelli che nel '92 ha lanciato una ricerca dal titolo ``La Padania: una regione italiana in Europa'' allo scopo di adeguare il nostro Paese all'``economia globalizzata''. Segno evidente che il federalismo risponde alle attuali esigenze economiche e commerciali di certi monopoli nazionali e dei capitalisti medi e minori delle regioni più ricche e più forti economicamente. Noi consideriamo, invece, il federalismo una iattura per l'unità del popolo italiano e del Paese, un ritorno all'indietro, all'Italia divisa in molti Stati prima dell'Unità. In una condizione in cui il divario tra il Nord e il Sud è divenuto abissale e le regioni del Nord hanno bisogno di sganciare il Sud per poter meglio competere con le altre parti dell'Europa nel mercato unico europeo e mondiale. In questa situazione, adottando il federalismo, a farne principalmente le spese sarebbero le masse operaie, lavoratrici e popolari che si frantumerebbero in tante parti, con il rischio di entrare in guerra tra di loro per un tozzo di pane in più, a discapito dell'unità di classe, della lotta di classe e del successo delle comuni rivendicazioni sociali ed economiche. Guardando il federalismo dal punto di vista della classe operaia, ci sembrano attuali le seguenti considerazioni di Marx ed Engels sulla situazione esistente in Germania nel 1850. ``Gli operai - indicano i nostri maestri - debbono opporsi a questo piano (quello di coloro che volevano il federalismo in Germania, nostra nota) e lavorare non soltanto per la repubblica tedesca una e indivisibile, ma anche, entro di essa, per una decisissima centralizzazione del potere nelle mani dello Stato. Essi non debbono lasciarsi ingannare dalle chiacchere democratiche sulla libertà dei comuni, sul governo locale autonomo, e così via. In un paese come la Germania, in cui occorre ancora liquidare tanti residui del medioevo, e si devono spezzare tanti particolarismi locali e provinciali, non si deve in nessun modo tollerare che ogni villaggio, ogni città, ogni provincia ponga un nuovo impedimento all'attività rivoluzionaria che, in tutta la sua forza, può diffondersi soltanto dal centro. Non si deve tollerare che si rinnovi l'attuale stato di cose in cui i tedeschi debbono battersi di volta in volta, separatamente, in ogni città, in ogni provincia, per conseguire un solo progresso, sempre lo stesso. E meno ancora può tollerarsi che una forma di proprietà che è ancora più arretrata della proprietà privata moderna e si dissolve dappertutto necessariamente in questa - la proprietà comune - e i conflitti che ne derivano fra comuni ricchi e poveri, così come il diritto pubblico comunale, esistente a fianco del diritto pubblico di Stato, si perpetuino attraverso una cosiddetta libera costituzione dei comuni, con i suoi cavilli contro gli operai'' . Anche per questi motivi noi marxisti-leninisti italiani ci battiamo per una Italia unita, rossa e socialista. Vogliamo che i nostri amati proletariato e popolo rimangano uniti. Vogliamo che le nostre regioni e l'intero nostro amato Paese rimangano uniti. Vogliamo che le lotte quotidiane per le stesse cose comuni e generali siano fatte unitariamente dalle masse del Sud, del Centro e del Nord. Vogliamo che le lotte che riguardano settori delle masse e singole regioni siano sostenute da tutte le masse italiane e da tutte le regioni d'Italia nell'ambito di una stessa strategia. Vogliamo che tutte le masse operaie, lavoratrici, popolari e giovanili siano interpretate e coinvolte nella lotta di classe e nella rivoluzione proletaria per l'Italia unita, rossa e socialista. Questo è quanto abbiamo cercato di far capire anche visivamente alle masse partecipando ufficialmente, con un grosso sforzo organizzativo ed economico, alla grande manifestazione antisecessionista che si è svolta a Milano il 20 settembre dell'anno scorso. Formalmente il governo Prodi è stato costretto a dimettersi perché gli è mancato il sostegno del suo stretto alleato Bertinotti, che non poteva più coprirlo nel massacro sociale. In realtà il grande regista del suo abbattimento è stato Massimo D'Alema che da tempo brigava con Cossiga per fargli le scarpe. Non si può infatti improvvisare un governo come quello attuale in quattro e quattro otto e senza una lunga e accurata preparazione degli equilibri governativi e del programma. La fondazione dell'UDR, evidentemente, doveva servire anche a questo scopo. Era nel conto che prima o poi D'Alema dovesse prendere il posto di Prodi, già logorato e non più utile al disegno della seconda repubblica. è quindi bastata la mancanza di un solo voto, dovuta a un calcolo errato di previsione, nella votazione della fiducia alla Camera per far fuori Prodi e sostituirlo immediatamente con D'Alema. Il governo di questo rinnegato non è un governo moderato, come sostiene quell'imbroglione trotzkista e cacasotto Bertinotti, ma un governo organicamente di destra. Lo dimostrano la composizione, le alleanze politiche e sociali, il programma, la collocazione internazionale e i primi atti politici di politica interna e internazionale. Lo dimostrano il sostegno determinante di Cossiga, che non molto tempo fa lo stesso partito di D'Alema lo accusava di essere un ``eversore'' e un ``golpista'', l'attacco di stampo fascista e craxiano al diritto di sciopero nei trasporti e le manganellate della polizia agli studenti, che lottano contro il finanziamento delle scuole private, e agli antirazzisti. Lo dimostrano la liberalizzazione e la privatizzazione dell'Enel, la fiducia posta sul decreto che stabilisce gli straordinari a partire dalla 45· ora, l'inserimento nella legge finanziaria del finanziamento della scuola privata e il perseguimento dell'obiettivo di dare a essa una funzione pubblica e la parità scolastica. Lo dimostra il fatto che non ha preso ancora alcun provvedimento urgente, adeguato e radicale per iniziare la ricostruzione dei paesi alluvionati del Sarno e quelli terremotati dell'Umbria e delle Marche. Per tutti questi motivi, questo è il governo della borghesia in camicia nera con il simbolo di Gladio e della controriforma costituzionale affidata a Giuliano Amato, architetto della ``Grande riforma'' craxiana e piduista. Questo è il governo che intende realizzare la ``pace sociale'' tra i lavoratori e i padroni e accreditare le ``forze dell'ordine'' dello Stato borghese come amiche e protettrici delle masse, come emerge chiaramente dalle seguenti parole di D'Alema: ``I carabinieri rappresentano lo Stato che non opprime, ma protegge i più deboli'' . Questo è il governo che si propone di fare dell'Italia una grande potenza imperialista dandole ``un ruolo globale sulla scena internazionale''. Questo è il governo che sta in-troducendo nello Stato i dogmi del papa e della chiesa cattolica sulla famiglia, la maternità, l'embrione e l'aborto. La politica sociale fa-milista è l'espressione di questo orientamento ideologico, morale e politico. Essa si incontra perfettamente con le attuali esigenze del capitalismo che ha bisogno che sia ridotta al minimo la spesa pubblica per arraffare più finanziamenti dallo Stato e che siano privatizzati tutti i servizi sociali e i servizi pubblici. La politica sociale familista, da sempre bandiera della destra cattolica, democristiana e fascista, già praticata da Prodi a dosi più forti di quelle di Craxi, pone la famiglia, fondata sul matrimonio possibilmente cattolico e strettamente eterosessuale, come soggetto principale dei diritti economici e sociali al posto delle masse lavoratrici, femminili e popolari. Con ciò si scarica sulla famiglia, e quindi sulle donne, tutto il peso dei servizi sociali, assistenziali e sanitari. Da qui i tagli selvaggi alla spesa sociale e previdenziale, ai servizi sociali che vengono privatizzati. Da qui le misure di sostegno economico ai figli e alla maternità in perfetto stile mussoliniano. Tutto ciò porta inevitabilmente all'azzeramento dello ``Stato sociale''. Noi siamo risolutamente contrari alla politica sociale familista e rivendichiamo con forza che sia lo Stato, non la famiglia, i privati, il ``non profit'' e il volontariato, ad occuparsi dei bisogni economici, sociali, sanitari e assistenziali, attraverso servizi sociali pubblici, adeguati, accessibili a tutti ed estesi in ogni regione, in modo da creare le condizioni affinché le donne e gli uomini possano avere uguale diritto al lavoro, a tempo pieno e a salario pieno, e liberarsi dalla schiavitù domestica e familiare. In questo quadro rivendichiamo il lavoro per le donne e la socializzazione del lavoro domestico attraverso la costruzione di una fitta rete di servizi sociali pubblici a basso costo su tutto il territorio nazionale, specie nel Mezzogiorno. Ciò è assolutamente necessario affinché non vi siano più mamme, mogli, casalinghe, figlie schiave domestiche, oggetti sessuali, succubi, mortificate, sottomesse alla famiglia, all'uomo e alla società come vorrebbero il capitalismo, il papa e la chiesa cattolica. Neofascismo e liberismo all'interno e interventismo, neocolonialismo e imperialismo all'estero; affamare i lavoratori, i disoccupati e i pensionati e arricchire i borghesi e i capitalisti; manganellare la sinistra e proteggere la destra: questa è in sintesi la politica del governo del rinnegato D'Alema. Poiché è questo governo che amministra oggi gli affari della borghesia, esso costituisce il nemico principale del proletariato e delle masse lavoratrici, popolari e giovanili. Contro il governo D'Alema bisogna quindi far fuoco ad alzo zero usando tutte le armi ideologiche, politiche, sindacali, propagandistiche e giornalistiche di cui disponiamo senza risparmi di energie. L'avvento della seconda repubblica rappresenta una svolta politica, oltreché istituzionale. Dal governo Craxi a quello D'Alema è stata smantellata la vecchia politica dell'Italia capitalista, piccola potenza subalterna agli Usa e introdotta progressivamente e sempre più velocemente una politica adeguata al rango di quinta-sesta potenza industriale mondiale autonoma e indipendente dagli Usa che ambisce ad avere un ruolo sempre più grande in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo. Da qui il via libera al liberismo, alle privatizzazioni, alle grandi fusioni bancarie e industriali, alla massiccia fiscalizzazione degli oneri sociali e gli altri lauti regali ai padroni, allo smantellamento dello ``Stato sociale'', ai drastici tagli alla spesa pubblica e alle strette fiscali senza precedenti, alla cancellazione dei diritti economici e sociali conquistati dalla classe operaia e dalle masse con dure lotte e col sangue. Da qui una politica estera che impegna l'Italia imperialista, consapevole di essere la tredicesima potenza militare mondiale, in avventure militari in regioni assai lontane, come il Golfo Persico, e in quelle limitrofe, come in Albania, Bosnia e in Kossovo. Nel discorso alla Camera sul voto di fiducia D'Alema ha detto chiaramente che il suo governo intende ``guardare ai grandi processi di mondializzazione con la maturità di una grande nazione avanzata che ha conquistato la piena legittimità a svolgere un ruolo globale sulla scena internazionale''. Per questo, egli ha aggiunto nella replica al Senato, occorre adottare un ``nuovo modello di difesa... che significa Forze armate più snelle, più efficienti, in grado di integrarsi in un sistema internazionale di difesa o riconquista della pace, certamente Forze armate - egli sottolinea - che dovranno avere una componente professionale maggiore e un livello tecnologico adeguato'' . Il PMLI si è fatto in quattro per impedire l'instaurazione della seconda repubblica denunciando tempestivamente i primi segnali e i passi successivi che tendevano ad abbattere da destra la prima Repubblica e la vigente Costituzione, lanciando un forte allarme antifascista attraverso il documento del Comitato centrale del 20 febbraio 1988 e mettendo in guardia sulla pericolosità dell'allora presidente della Repubblica. Per metterci a tacere si ricorse anche alla via giudiziaria promuovendo delle inchieste, anche se poi archiviate, sugli autori e stampatori degli editoriali ``Fare piena luce sui rapporti Cossiga-P2'' e ``Attenti a Cossiga'' pubblicati rispettivamente sui numeri 37/1990 e 13/1991 de ``Il Bolscevico''. Purtroppo non ce l'abbiamo fatta a far giungere alle masse le nostre denunce antifasciste per via delle nostre poche forze, ma anche perché i mezzi di informazione si sono ben guardati dal diffonderle e tutti i partiti parlamentari hanno fatto orecchi da mercante ai nostri allarmi e ai nostri inviti pubblici a lavorare insieme contro la restaurazione del fascismo sotto nuove forme. Gli avvenimenti successivi hanno poi dimostrato che tutti quanti costoro, in un modo o nell'altro, direttamente o indirettamente erano coinvolti e cointeressati al progetto della P2. In tal modo la Costituzione del '48, pur essendo giuridicamente tuttora in vigore, è stata gravemente violata e fatta a pezzi. La seconda parte di essa è stata virtualmente cambiata, e D'Alema si propone di riscriverla possibilmente nel corso stesso di questa legislatura, almeno nella parte che riguarda il presidenzialismo e la legge elettorale. Ma poiché l'appetito vien mangiando, già si parla di cambiarne anche la prima parte. Tra gli sponsor di questo nero progetto si annoverano Cesare Romiti, ex presidente della Fiat, finanziere legato a Cuccia e a Mediobanca e proprietario del ``Corriere della Sera'', Mario Segni e Antonio Maccanico, attuale presidente della Commissione affari costituzionali della Camera. Il primo, nel giugno '96, parlando a un convegno italo-americano che si è svolto a Bologna ha invocato ``una nuova costituzione economica'' in cui si tuteli esplicitamente il mercato e la concorrenza, si dichiari l'autonomia della Bankitalia, l'obbligo dello Stato di ridurre al minimo la gestione diretta di enti economici. Il secondo, qualche giorno dopo, il 25 giugno su ``La Repubblica'' ha chiesto esplicitamente di cambiare anche la prima parte della Costituzione. Il presidente della Commissione parlamentare intervistato da ``l'Unità'' del 27 novembre scorso ha addirittura avanzato delle proposte concrete in merito, appoggiando apertamente delle iniziative del Polo di Berlusconi e Fini, con queste parole: ``Abbiamo per esempio un'iniziativa che viene proprio dall'opposizione: la riforma degli articoli 41-42-43 della Costituzione economica. è una riforma importante, che io porterò avanti'' . Al momento i fautori della seconda repubblica stanno ricercando un compromesso per una legge elettorale più marcatamente maggioritaria e per l'elezione diretta del presidente delle regioni. Questa nuova legge completerebbe così la controriforma elettorale iniziata nel '91 con l'abolizione delle multipreferenze e proseguita nel '93 con la legge maggioritaria e uninominale e con quella dell'elezione diretta dei sindaci e del presidente delle province. La controriforma elettorale ha soppresso il sistema elettorale democratico borghese conforme alla Costituzione del '48 e stabilito quello consono alla costituzione neofascista. Contrariamente a quanto sostengono i suoi promotori, essa ha aumentato il potere delle lobby economiche e finanziarie, ha personalizzato le battaglie elettorali, ha accentrato i poteri sui vertici istituzionali ai vari livelli, ha diminuito il peso dell'elettorato sugli eletti, sulle istituzioni e sui governi centrale, regionali e locali, ha eliminato i partiti più piccoli e più deboli, salvo quelli che si alleano e si sottomettono ai partiti maggiori. In sostanza è stata compiuta la stessa operazione fatta nel '23 da Mussolini con la legge Acerbo che istituì il sistema elettorale maggioritario. Artefici della seconda repubblica sono stati i vecchi partiti governativi, in primo luogo il PSI di Craxi, Amato e Martelli e la DC di Forlani e Andreotti, spazzati via da tangentopoli, il più grave e colossale scandalo della prima Repubblica ancora in atto, scoperchiato dalla procura di Milano nel febbraio '92, nonché i ``nuovi'' partiti del regime, che vanno da Forza Italia e da Alleanza nazionale all'Ulivo, ai Verdi e ai tre partiti - DS, PRC e PdCI - nati dalla liquidazione del PCI nel '91. Anche le Confederazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil hanno partecipato al cambio di regime soprattutto per la parte economica e sociale. Lo conferma indirettamente l'attuale ministro del tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, con queste parole: ``Gli accordi del luglio '93 che io feci firmare alle parti sociali sono stati uno dei punti di svolta cruciale nella storia di questo paese'' . Con gli accordi di luglio '92 e luglio '93 e di questo dicembre, le tre Confederazioni sindacali sono divenute totalmente dei sindacati liberali, governativi e filo padronali e hanno concorso attivamente a cambiare le ``relazioni sindacali'' e il sistema contrattuale in senso cogestionario e neocorporativo di stampo mussoliniano. Esse hanno sposato interamente la ``nuova cultura aziendale'' e conformemente ad essa si muovono, agiscono, si organizzano e contrattano nel rigoroso rispetto della ``competitività'' economica e commerciale internazionale del capitalismo italiano. Come dimostra l'accettazione della concertazione, della flessibilità, della mobilità, del merito, delle differenze salariali tra il Nord e il Sud, del ``salario d'ingresso'', dei differenti rapporti di lavoro (a tempo pieno e indeterminato, a termine, stagionale, part-time, apprendistato, con contratto di formazione lavoro, ora in via di abolizione e sostituiti con gli stage e con l'apprendistato che potrà essere praticato addirittura fino a 26 anni nel Mezzogiorno, in affitto, precario), dei ``contratti d'area'', dei ``patti territoriali'', della cancellazione del ``posto fisso'', com'è avvenuto in questi giorni negli istituti creditizi e alle poste dove è stata introdotta la ``cassa integrazione'', e così via. Hanno cambiato persino linguaggio. Un esempio per tutti: non dicono più padroni ma ``datori di lavoro'' , non più lotta di classe ma ``conflitti di interessi'' . Tutto questo perché, come auspica Sergio Cofferati, Segretario generale della Cgil, ``la vecchia guerra tra capitale e lavoro possa finalmente considerarsi finita'' . Ed è proprio per far finire questa guerra tra il proletariato e la borghesia, che però non potrà mai avere fine, che le tre Confederazioni cercano di ridurre al minimo gli scioperi. è stato calcolato che la quantità di ore di sciopero nel '98 è pari a un ventesimo rispetto al '78. Da 23.206 mila ore di sciopero nell'88 siamo passati a 8.150 ore nel '97. Niente in confronto agli 80 milioni di ore di sciopero in media l'anno tra il 1949 e il 1969, ai 100 milioni di ore annue in media tra il 1965 e il 1975, nel solo 1969 vi sono state 294 milioni ore di sciopero. Nella prima metà degli anni '90 vi sono stati 20 milioni di ore in media l'anno. 13 milioni e mezzo nel '96. Nel '97 gli scioperi sono calati del 38,6% rispetto all'anno precedente. Nei primi 9 mesi del '98 sono calati del 59,4% rispetto allo stesso periodo del '97. Ora addirittura si propone di abolire gli scioperi, almeno nei ``servizi pubblici essenziali'', proclamando degli ``scioperi virtuali'' , come ha auspicato Cofferati nell'intervista a ``La Repubblica'' dell'11 novembre scorso. Questo in una situazione in cui le masse avrebbero invece bisogno della più vasta mobilitazione sindacale per combattere la miseria, la disoccupazione e lo sfruttamento che li affliggono. Nel nostro Paese a fronte del 10% della popolazione che detiene nelle proprie mani il 23% del reddito nazionale, di manager come il nuovo presidente della Fiat, Paolo Fresco, che gode di uno stipendio annuo di 11,5 miliardi, dei parlamentari che riscuotono come stipendio base ogni mese 18 milioni e 730 mila lire lorde oltre una serie di privilegi da nababbo, esistono ben 7 milioni di poveri, tre su quattro nel Sud, 3 milioni di disoccupati, la maggior parte dei quali, secondo calcoli ufficiali, rimarrà per sempre senza lavoro, 5 milioni di lavoratori in nero, e quindi senza assistenza sanitaria e previdenziale, 300 mila bambini sono già a lavoro. Inoltre i salari e le pensioni sociali e minime sono bassi e insufficienti, le donne sono le prime ad essere licenziate e ricacciate tra le mura domestiche ad occuparsi della famiglia, ogni giorno si registrano in media 4 morti e 140 infortuni sul lavoro e ogni anno 40 mila lavoratori in media contraggono malattie professionali, 4 milioni e 571 mila famiglie vivono in affitto con canoni esosi che falcidiano i redditi familiari. Se non sarà raggiunto l'obiettivo governativo per il triennio '99-2001 di conseguire la crescita del prodotto interno lordo del 2,8% medio annuo, cosa che ormai sembra impossibile in base alle stesse dichiarazioni del governatore della Bankitalia, inevitabilmente le condizioni delle masse diventeranno ancora più difficili e insopportabili. In particolare ne pagheranno le conseguenze l'occupazione e il Mezzogiorno. 23 novembre 2022 pmli.it

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