L' estrema destra si è presa Italexit e ora punta a entrare in Parlamento
Così l’estrema destra si è presa Italexit e ora punta a entrare in Parlamento con i voti di Paragone
Fin dalla sua nascita nel 2020, Italexit si è presentato come partito antisistema e soprattutto apartitico. Ma i fatti e le testimonianze raccolte da Fanpage.it raccontano una storia diversa, il partito è diventato il contenitore di tutta la destra radicale e neofascista italiana, che conta di usare il “marchio” del leader Gianluigi Paragone per entrare in parlamento, dopo le elezioni del 25 settembre.
È un giorno di agosto. La gran parte dei politici italiani è già immersa nella campagna elettorale. I dirigenti di Italexit, invece, rimangono inchiodati per ore davanti a un computer, per una riunione online fiume dei vertici del partito, fondato da Gianluigi Paragone. Gli ex grillini di Alternativa hanno appena annunciato la volontà di rompere l’alleanza, siglata pochi giorni prima, dopo aver scoperto che Italexit è pronta a candidare nelle liste per le politiche del 25 settembre Carlotta Chiaraluce, dirigente nazionale del gruppo di estrema destra di CasaPound.
La maggior parte dei rappresentanti della direzione di Italexit nemmeno sa chi sia questa Chiaraluce. Molti protestano, chiedono di fare retromarcia sulla sua candidatura e salvare l’alleanza con Alternativa. Secondo chi assiste alla riunione, di fronte alle critiche, lo stesso Paragone a un certo punto sbotta: “Ma io questa Chiaraluce neanche la conosco!”. A questo punto, però, il senatore William De Vecchis accende il microfono e tuona: “Se fate fuori lei, me ne vado anche io”. Poi sposta il portatile e accanto a lui compare un altro personaggio, quasi nessuno dei partecipanti alla riunione lo ha mai visto. Prende la parola e dice: “Voi dovreste solo ringraziare me e De Vecchis per quest’operazione, che inizia nove mesi fa”.
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È qui che per la prima volta, “l’operazione” viene messa in chiaro. Dopo aver consultato dieci diverse fonti a conoscenza dei fatti, Fanpage.it è in grado di rivelare di cosa si tratta: riunire tutto il mondo di partiti, sigle, associazioni dell’estrema destra italiana – molte delle quali protagoniste delle proteste No Vax nei mesi della pandemia – in un cartello elettorale sotto il simbolo apparentemente apartitico e antisistema di Italiexit. Una galassia estremista, nascosta dietro al brand di Gianluigi Paragone, leader conosciuto per i suoi trascorsi televisivi e star del circuito dei social, che si definisce “alternativo al sistema”.
Quella che vi stiamo per raccontare è la storia di come quest’operazione è nata e di come – se avesse successo – il 25 settembre porterebbe a sedere per la prima volta in parlamento degli eletti riferimento politico diretto non solo di CasaPound, ma di Forza Nuova e di molte altre sigle neofasciste.
Le eminenze grigie dietro il marchio Paragone
L’uomo che prende la parola dopo il senatore William De Vecchis, nella riunione convocata per chiarire la genesi della candidatura della dirigente di CasaPound Carlotta Chiaraluce, si chiama Mauro Gonnelli. Formalmente in quel momento non ha nessun ruolo ufficiale dentro Italexit. Ma Gonnelli non ha bisogno di ruoli, perché è molto di più, è il gemello politico e grande consigliere di De Vecchis. “Preferisce mandare avanti l’altro e muoversi nell’ombra”, racconta una fonte che conosce la coppia politica da anni e dice: “Da gente così è meglio tenersi lontani”.
Wiliam De Vecchis è arrivato tardi nelle stanze della politica che conta. Dopo anni di militanza prima nel Msi e poi in Alleanza Nazionale, nel 2018 entra in Senato sul carro di Matteo Salvini. Sono gli anni d’oro della Lega sovranista, in cui il leader del Carroccio ammalia arnesi vecchi e nuovi della destra radicale italiana. De Vecchis ha costruito il feudo politico nel suo comune d’origine, Fiumicino, partendo dalla sede di una piccola associazione culturale, la “2Punto11”, i cui numeri stanno per le iniziali nientemeno che di Benito Mussolini. Il modello è quello tipico del mondo della destra sociale di An: tenere insieme una facciata più moderata, utile a prendere voti e conquistare postazioni istituzionali, con la capacità di coltivare una comunità militante, che non disdegna di tracciare croci celtiche sui dazebao e i riferimenti diretti al neofascismo.
Solo per fare un paio di esempi, De Vecchis partecipa alle feste di Lealtà e Azione e a gennaio di quest’anno era in prima fila a trattare contro le forze dell’ordine per bloccare, senza successo, lo sgombero di un circolo di Casapound a Casal Bertone, zona est di Roma. Nel 2018, già senatore, De Vecchis si candida a sindaco di Fiumicino. Perde ma costruisce uno dei laboratori “verde-nero” più significativi di tutta Italia: a sostenerlo c’è Forza Nuova e una lista civica di estrema destra che significativamente si chiama “Legittima Difesa”. Un’antipasto di quello che riuscirà a fare su più larga scala con Italexit.
Quando all’inizio di quest’anno, De Vecchis si sposta in Italexit, Mauro Gonnelli lo segue, rimanendo però un passo indietro. Era stato così già ai tempi della comune militanza nella Lega, quando da vicecoordinatore regionale del partito, Gonnelli aveva costruito le candidature di De Vecchis prima in Senato e poi al Comune di Fiumicino, dove anche lui ha le radici politiche.
In realtà, qualche anno prima, Mauro Gonnelli aveva provato a esporsi direttamente, come candidato primo cittadino del centrodestra , sempre di Fiumicino, con il solito appoggio del circolo 2punto11. Aveva perso, ma soprattutto, un anno dopo, il suo nome era spuntato, nelle carte di Mafia Capitale, in bocca al boss ex banda della Magliana Ernesto Diotallevi, intercettato nel periodo della campagna elettorale per il Comune. Diceva Diotallevi, che Gonnelli “è un mitomane, impiastrato con la malavita”. E continuava, ”se diventa sindaco sai come piottiamo, c’è da arricchisse”. Gonnelli non è mai stato indagato, ma quell’etichetta scomoda gli è rimasta sempre un po’ appiccicata addosso.
Un passato scomodo se lo porta dietro anche un’altra eminenza grigia del mondo più nero, che oggi è riemersa a muovere i fili, dietro le quinte di Italexit. È Stefano Andrini, che viene dalla militanza della destra più estremista e violenta di fine anni Ottanta, protagonista del pestaggio a Piazza Capranica, all’epoca punto dove facevano comitiva gli skinhead neofascisti. Andrini ha 18 anni e viene fermato per la violenza assieme al fratello.
Negli anni di Alemanno al potere finisce a fare il dirigente di alto livello all’Ama, poi anche lui viene travolto da Mafia Capitale (la sua posizione è stata archiviata per l’insufficienza di elementi). Oggi con Italexit, come ieri con la Lega non ha ruoli formali di partito, ma è sempre lì nelle piazze che contano, figura di garanzia e raccordo tra camerati di storie e generazioni diverse.
Forse anche a causa del loro passato ingombrante e controverso, né Gonnelli, né Andrini saranno candidati alle prossime elezioni. E però tutti e due hanno piazzato dentro le liste persone a loro decisamente vicine: per Gonnelli, la figlia Giada; per Andrini, la moglie Angela Maria Zanella.
Così l'estrema destra ha colonizzato Italexit
Sono questi personaggi – con la loro rete di contatti – che tirano le fila dell’operazione con cui di fatto Italexit è stata trasformata in un contenitore di tutta la parte più radicale della destra italiana. Il primo punto importante da chiarire è quando inizia questa operazione. “Nove mesi fa”, dice Gonnelli nella riunione di inizio agosto. Il fatto è che nove mesi prima, a novembre 2021, William De Vecchis è ancora un senatore della Lega, in Italexit entrerà solo nel febbraio 2022 e ancora nei mesi successivi alla gran parte della base del partito viene presentato solo come un senatore semplice che ha aderito al progetto.
È ipotizzabile, quindi, che per lungo tempo le trattative di Italexit con gli ambienti dell’estrema destra siano state portate avanti sottotraccia, all’oscuro dei più. “Noi siamo caduti dalle nuvole, nessuno si aspettava una virata a destra così repentina”, spiega un militante della prima ora, uno di quelli che fin dalla nascita del partito nel luglio 2020 aveva creduto nel progetto “né di destra né di sinistra”, sbandierato da Paragone.
La prima volta che una parte del piano comincia a emergere è solo il 26 giugno 2022, durante il congresso nazionale di Italexit. In quell’occasione il coordinatore del Lazio Alessio Pietrobon viene sostituito proprio da De Vecchis, che entra anche a far parte ufficialmente del gruppo dirigente. Già nelle ore successive, alcuni esponenti del partito confidano la loro preoccupazione per quello che questa novità potrebbe significare e rivelano che nelle settimane precedenti c’erano state diverse riunioni alle quali, oltre a Paragone e De Vecchis, avevano partecipato anche Mauro Gonnelli e Stefano Andrini, ufficialmente, ricordiamolo ancora una volta, senza ruoli dentro al partito.
Le preoccupazioni si rivelano fondate. “Negli incontri successivi al congresso, De Vecchis prende in mano la situazione e insiste sul fatto che dobbiamo aprirci a certe frange… ”, spiega un dirigente di Italexit. Ben presto, questa “apertura”, si traduce nella pratica. “Nelle città della mia zona di competenza, De Vecchis mi scavalca e inizia a piazzare tutti i suoi, tutta gente di Casapound”, racconta l’ex responsabile di un’area dell’alto Lazio. “La sua mano arriva anche al Sud, segnala persone in Puglia, in Calabria, millantando di portare nuovo consenso”, aggiunge un dirigente del Sud Italia, che ha da poco lasciato il partito.
La fine di un'illusione
In breve tempo, per molti militanti di Italexit, l’illusione di un partito senza capi o padroni è infranta. Le decisioni sono sempre di più accentrate, nelle mani di un gruppo ristretto di persone. Una gran parte delle regioni viene commissariata, chi protesta è allontanato o apostrofato a muso duro. “Noi dalla base abbiamo avuto solo dettami: dovete fare questo, quello, ma mica siamo militari – dice un militante -, di fronte alle critiche, Paragone ci apostrofava come straccioni”. E un’altra fonte spiega: “C’è stata una deriva verticistica, in cui Paragone e chi gli sta intorno hanno imposto: si fa come diciamo noi”.
Di fronte a questa deriva, arrivano le prime defezioni dentro al partito. E per ogni esponente del nucleo originario se ne va o è spinto ad andarsene, nuovi elementi riconducibili a gruppi di estrema destra li sostituiscono. “Persone che non avevamo mai visto e ci siamo ritrovati dalla sera alla mattina”, racconta un esponente di spicco di Italexit nel Sud Italia. Con la caduta del governo Draghi, il 20 luglio, e la successiva necessità di compilare le liste elettorali, la situazione precipita definitivamente. L’esplosione del caso Chiaraluce porta alla rottura con Alternativa, dopo il rifiuto opposto da Paragone alla richiesta di visionare tutti i nominativi proposti da Italexit per le liste.
Paragone e De Vecchis presentano i candidati di Italexit nel Lazio
“Ci era stato riferito che il settanta percento dei nomi in Lazio avevano una storia dentro Casapound – dice a Fanpage il deputato di Alternativa Pino Cabras -, abbiamo capito che non si trattava di casi singoli, ma di un accordo politico con un’entità organizzata”. Rincara la dose una fonte che ha visto da vicino la metamorfosi del partito nella regione: “Casapound ha trovato terreno fertile in Italexit. A questo punto inutile nascondersi, Italexit cambi direttamente nome in Casapound o Forza Nuova”.
Con l’approssimarsi della scadenza per la presentazione delle liste, anche Mauro Gonnelli – che fino a quel momento era rimasto nell'ombra – inizia a partecipare attivamente alle riunioni. Le scelte sulle candidature vengono decise tutte a Roma, esautorando gli organi di partito e i territori, contravvenendo alle stesse norme scritte nello statuto e nel codice etico. Il risultato è una vera e propria diserzione di massa in tutta Italia di chi fino a quel momento aveva portato avanti il percorso di Italexit. E nello stesso tempo, cade qualsiasi argine verso il dilagare di uomini e gruppi dell’estrema destra dentro il partito. Tra poco vedremo nel dettaglio chi sono i soggetti di cui stiamo parlando.
Prima però, bisogna farsi un’altra domanda. Qual è il ruolo di Gianluigi Paragone in questa storia? Il leader indiscusso di Italexit è parte attiva dell’operazione o è solo un marchio, più o meno consapevole, dietro al quale il mondo neofascista fa il proprio gioco? Per rispondere dobbiamo tornare indietro di qualche mese e spostarci in Toscana, precisamente a Lucca.
Il laboratorio Lucca
Il 12 giugno 2022, a Lucca, si vota per l’elezione del nuovo sindaco. Tra gli altri candidati, si presenta Fabio Barsanti, leader di Casapound, in una delle città dove la Tartaruga ha i consensi tra i più alti in Italia. Nelle settimane precedenti al voto, Barsanti con la sua lista civica “Difendere Lucca” stringe un accordo elettorale con Italexit. Può sembrare solo un’intesa locale, ma dietro le quinte significa molto di più. A raccontarlo a Fanpage è chi quell’intesa l’ha costruita, cioè Giovanni Pezone, in quel momento alto dirigente di Italexit in Toscana, ora anche lui fuoriuscito dal partito. Ricorda Pezone: “Il 2 aprile 2022 andai nella sede di Casapound di Lucca per siglare l’intesa con Barsanti, con me c’era Loredano Ghilardini (coordinatore regionale di Italexit, già candidato con Casapound a Firenze)”.
A suggellare l’accordo, la sera della chiusura della campagna elettorale, arriva in città anche Gianluigi Paragone. L’intesa tra Italexit e Casapound a Lucca, però, ha una postilla: se le cose fossero andate bene, sarebbe stata replicata in tutta Italia. E le cose vanno più che bene, visto che Barsanti ottiene quasi il 10 percento al primo turno. "Lucca è stata un laboratorio”, dice Pezone. E aggiunge che era chiaro a tutti i partecipanti al patto – benedetto da Paragone e da Francesco Polacchi, dirigente di Casapound e fondatore di Altaforte, casa editrice di area neofascista -, come da Lucca l’intesa tra Italexit e Casapound sarebbe stata esportata a livello nazionale . Iscritto al Msi fin dal 1969, Pezone non rimprovera al leader di Italexit l’accordo con i fascisti del Terzo Millennio, ma semmai il fatto che “lo stesso tipo di accordo è stata portato avanti nel resto d'Italia, ma non più alla luce del sole, nascondendolo, come ci si vergognasse”.
Le bugie di Paragone
E infatti ancora il 31 agosto scorso, parlando con Fanpage a margine dell’evento di presentazione dei candidati nel Lazio, Paragone derubrica la candidatura di Carlotta Chiaraluce a caso singolo, negando qualsiasi accordo organico con Casapound. Eppure il leader di Italexit in quel momento non può non sapere che, nella stessa sala dove lui ha appena finito di parlare, sono presenti in massa i militanti della formazione di estrema destra, capitanati dal portavoce nazionale Luca Marsella, marito di Chiaraluce.
Paragone presenta le liste di Italexit: "Casapound non sta con noi", ma la candidata lo smentisce
120629647Pubblicato da Marco Billeci
Così come non può non sapere che a presenziare all’evento ci sono, oltre a Gonnelli e Andrini, altri candidati tipo Vincenzo D’Intino, ex portavoce del circolo neofascista 2Punto11 (lo stesso frequentato da De Vecchis) o Pasquale Velardi, che sui social scrive post inneggianti al Fascismo e contro la Resistenza, il giorno della Liberazione. E poi rappresentanti locali del partito come Alessandro Aguzzetti e Liborio Maresca, già parti integranti di Casapound in Lazio.
E ancora Paragone non può essere all’oscuro del fatto che uno degli uomini di punta di Italexit per le elezioni in Calabria è Massimo Cristiano, nel 2018 capolista alle politiche delle Tartarughe. O che il 10 settembre, alla festa nazionale di Casapound a Grosseto, sul palco si sono abbracciati De Vecchis e Chiaraluce, insieme a Alessandro Balocco, coordinatore dell’ufficio nazionale di Italexit, indagato per apologia di fascismo.
Con loro c’era anche Matteo Rossino, già leader di Cp a Torino, ora coordinatore di Italexit a in città. Potremmo proseguire a lungo a tracciare esponenti dei fascisti del Terzo Millennio accolti nelle liste di Paragone da Nord a Sud Italia, ma dobbiamo andare oltre. Perché quella di Casapound è solo una parte della storia, nella costruzione del cartello elettorale neofascista, sotto le insegne di Italexit. E quello che segue è ancora più inquietante.
Candidati e dirigenti di Italexit alla festa nazionale di Casapound il 10 settembre 2022
Forza Nuova e le piazze No Vax
Le piazze No Vax e No Green Pass hanno coagulato un universo di sigle piccole e piccolissime, sindacati e associazioni di categoria, coordinamenti dai nomi roboanti, ma che spesso si riducono a canali Telegram o gruppi social, gestiti anche da una sola persona. Un inverso quasi impossibile da mappare con certezza, tra continui litigi, scomuniche e riposizionamenti interni. Quel che è certo è che una parte consistente dell’autonominata galassia anti sistema ha scelto Italexit, come proprio riferimento politico, rispetto ad altre formazioni che si candidano a raccogliere la bandiera delle proteste contro la dittatura sanitaria. E ancora una volta, l’adesione più convinta a Italexit è di quelle frange legate a doppio nodo con gli ambienti dell’estrema destra, in particolare a Forza Nuova.
Forza NuoVax - "Restituiamo il potere al popolo": così i fascisti hanno fregato i No
L’Italia Mensile è il portale web di Giuliano Castellino, leader di FN, indagato per l’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre 2021. Qui compare a poche settimane dal voto un appello ai candidati "anti sistema", per certificare di non essere vaccinati e di non aver mai scaricato il green pass. Molti dei candidati che hanno risposto presente all’appello per rappresentare il popolo della resistenza”, si trovano in Italexit. Secondo un importante dirigente nazionale del partito, ad aver portato questo pacchetto di candidati in dote a Paragone è stato il professor Giovanni Frajese, uno dei nomi di punta delle liste di Italexit, sospeso dall’Ordine dei Medici per le sue posizioni su Covid e vaccini.
Protetta di Frajese sarebbe Simona Boccuti, romana, portavoce de “Il Popolo delle mamme" – nome inventato proprio da Castellino – che più volte sui social e in piazza si è presa la briga di difendere gli squadristi del 9 ottobre, ovviamente “perseguitati” e “ingiustamente detenuti”. Con lei anche Serena Tagliaferri – presidente di A.F.I. Associazione Fieristi Italiani – anche lei passionaria di piazza e protagonista delle mobilitazioni a Torino. Sia Boccuti che Tagliaferri appartengono alla misconosciuta associazione “Il Popolo Italiano”, da cui le liste di Paragone attingono a piene mani”. Il presidente è Rosario Rocco Del Priore – anche lui candidato -, che è stato dirigente di Forza Nuova in Campania. Il Popolo Italiano è una sorta di associazione ombrello dei rappresentanti delle singole sigle, dove tentare un coordinamento più formalizzato. A maggio scorso organizzano un convegno dal titolo “Scienza e Cultura. Dati che danno i numeri”. Si parla ovviamente di vaccini e presunti danni collaterali. A fare la parte del leone c’è proprio Giovanni Frajese.
All'area di Forza Nuova è ascrivibile anche il costituzionalista Daniele Trabucco, candidato in Veneto, fondatore dell’associazione anti-vaccinista Vicit Leo, che secondo diverse inchieste giornalistiche è stata finanziata da un trust britannico riconducibile al fondatore di Forza Nuova, Roberto Fiore. Trabucco è stato inserito anche nell'autoproclamato "governo di liberazione nazionale", tirato su da Fiore e Castellino durante le proteste No Vax.
Tra i firmatari dell’appello di Castellino, spunta poi la candidata campana Stefania Aversa presidente del Movimento Prima Linea – Nova Res Publica. Nei comunicati si firma come suo portavoce, Nicola Trisciuoglio, avvocato di Roberto Fiore, nel processo per i fatti 9 ottobre. Già condannato per truffa, estorsione e istigazione all’odio raziale, nel 2014 Trisciuoglio è stato indagato dalla procura dell’Aquila, che ha portato alla luce le trame per la costruzione di un’associazione clandestina denominata Avanguardia ordinovista, con il presunto fine di realizzare azioni violente, nei confronti di obiettivi istituzionali. Le accuse vanno dall’associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, all’ incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Tutti (gli altri) fascisti di Italexit
In nome della santa alleanza intellettuale delle destre, sotto le insegne di Italexit si riuniscono antichi avversari. E così, accanto a Forza Nuova, si ritrova la Rete dei Patrioti, movimento formato da ex forzanovisti , che nel 2020 hanno lasciato Fn, per dissidi interni. Rete dei Patrioti ha inglobato anche Militia Christi, schieramento fondamentalista ferocemente omofobo, antiabortista, più volte protagonista di scontri e assalti violenti. Con questo gruppo Italexit ha siglato un’altra intesa organica, tradotta in un pacchetto di candidature, tra cui quella di Gianni Correggiari, avvocato di Licio Gelli nel processo per la strage di Bologna e quella del leader Giustino D’Uva.
Evento elettorale per il candidato di Italexit Filippo Deidda, sponsorizzato da Rete dei Patrioti e Casapound
Altre collaborazioni da segnalare sono quella con Vox, il movimento del filosofo Diego Fusaro, che ha portato in dote a Italexit anche l’avvocato Marco Mori, pure lui già candidato con Casapound in passato. E quella con il circolo iper-sovranista romano di Magnitudo, la cui sede è stata tenuta a battesimo da Paragone e De Vecchis il 21 aprile di quest’anno. Innumerevoli poi sono l’innesti nelle liste e negli organi del partito di personaggi con storia e ideologia di ultra-destra, anche se non immediatamente riconducibili a gruppi specifici. Non abbiamo ora il tempo di elencarli tutti, anche perché nel frattempo, il primo settembre è successa un’altra cosa, difficile da credere, per un partito che si professa antisistema.
Paragone e De Vecchis ospiti del circolo Magnitudo per il Natale di Roma
Italexit imbarca Alemanno
La sera del primo settembre, Paolo Bianchini posta sui social un selfie al tavolo di un ristorante di Napoli. Presidente dell’associazione di ristoratori “Mio Italia”, già capogruppo di Fratelli d’Italia a Viterbo, quando entra in Italexit Bianchini ha già le idee chiare: “Vogliamo ricostruire la destra, non il centrodestra, ma destra che non c’è più”. Ecco la cena del primo settembre a Napoli segna un altro passaggio chiave di questo progetto, perché serve a suggellare un patto con il gruppo di post-Missini, poi Fratelli d’Italia, che fanno riferimento all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno.
La foto della cena del patto tra Italexit e Alemanno, postata sui social da Paolo Bianchini
Insieme Bianchini al tavolo c’è Marcello Taglialatela, braccio destro di Alemanno, ex deputato di An e Fdi. Con loro si trova Massimo Abbatangelo, deputato all’epoca del Msi, condannato a sei anni per detenzione di esplosivi e coinvolto nell’inchiesta, poi assolto, sulla strage del rapido 904. E ancora Bruno Esposito, già referente di Ordine Nuovo a Napoli. Infine c’è Roberto Acuto, storico referente di Casapound a Napoli, che secondo le nostre fonti insieme agli uomini di Alemanno avrebbe organizzato la campagna di Italexit in Campania.
Il patto tra Paragone e Alemanno viene ufficializzato il giorno dopo, quando Taglialatela è nominato coordinatore regionale della campagna elettorale del partito. Quarantotto ore più tardi, a Roma, l’ex sindaco della capitale presenta il manifesto “Fermare la guerra in Ucraina”, con posizioni apertamente filorusse. In sala ci sono tutti i protagonisti dell’intesa siglata poche ore prima, e molti candidati di Italexit, capitanati da William De Vecchis che interviene. Si fa vedere anche Giuliano Castellino.
Secondo quello che abbiamo potuto ricostruire, la richiesta di una candidatura diretta da parte di Alemanno sarebbe stata respinta da Paragone, che però avrebbe aperto a un possibile appoggio, in vista delle prossime regionali in Lazio. Intanto, il 6 settembre, Italexit si è imbarcata un altro pezzo della vecchia destra sociale, ovvero il movimento “Io Sud” di Adriana Poli Bortone, ministra del primo governo Berlusconi, poi sindaca di Lecce. Il giorno dell’annuncio, Poli Bortone si è dichiarata delusa da Fratelli d’Italia, che secondo lei ha cancellato le proprie radici, e ha detto: "Con Paragone rappresenteremo la vera alternativa a destra, quella delle origini che non abbiamo mai rinnegato”.
Presentazione a Roma del manifesto "Fermare la Guerra" di Gianni Alemanno
In ginocchio da Giorgia?
L’ultima domanda da farsi è il motivo per cui è stata portata avanti quest’operazione di raccolto del mondo di estrema destra sotto la bandiera di Italexit. La spiegazione più semplice è la ricerca di ogni mezzo possibile per superare la soglia di sbarramento. “Gianluigi ha avuto paura di non passare il tre e si è calato le braghe di fronte a chiunque abbia millantato un po’ di consenso”, dice una delle nostre fonti In questo senso, creare una lista con una chiara impronta di destra radicale, ma farlo di nascosto, senza dichiararlo, avrebbe un’obiettivo chiaro: rastrellare i consensi provenienti da quel mondo, senza perdere i voti di quanti identificano Italexit solo con Paragone e la sua retorica antisistema.
Altri, tra quelli con cui abbiamo parlato, però, hanno un’altra idea. “Siamo diventata la ruota di scorta della Meloni”, dice ad esempio quello che fino a poche settimane fa era un alto dirigente del sud Italia. Secondo questa interpretazione, Italexit avrebbe accolto tutte quelle frange più estreme, che Fratelli d’Italia – nella sua versione istituzionale – non può (più) rappresentare. E sarebbe pronta a offrire dopo le elezioni, i suoi eventuali voti in parlamento a un governo di centrodestra, oltre a immaginare accordi nei diversi territori.
L’ex dirigente di Italexit in Toscana Giovanni Pezzone è sicuro che questa sia la tesi corretta: “Anche perché a Lucca è andata proprio così, al secondo turno delle comunali, il candidato nostro e di Casapound ha appoggiato il sindaco di centrodestra ed è diventato assessore”. D’altronde, racconta ancora Pezzone, “quando in questi mesi ho contattato amministratori locali interessati a entrare in Italexit, l’ordine dall’alto è stato sempre quello di non rompere i c…oni a Fratelli d’Italia”.
Raccontano che un giorno durante la formazione delle liste, di fronte alle proteste dei rappresentanti del territorio, Paragone sia sbottato: “Allora chiudiamo tutto, io vado da Fratelli d’Italia e mi faccio blindare in un collegio sicuro”. Sì trattava probabilmente solo di una boutade. E però l’aneddoto potrebbe rivelare qual è l’approdo finale, immaginato, da chi ha tirato in piedi questo grande carrozzone dell’estrema destra italiana. Rientrare dalla finestra in case dalle quali si è usciti o si è stati accompagnati alla porta. Ammesso e non concesso, che Meloni sia d’accordo.
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