«Meloni fascista». Repubblica non rinuncia al suo “rito tribale” preferito
«Meloni fascista». Repubblica non rinuncia al suo “rito tribale” preferito
La campagna politico-culturale del quotidiano fondato da Scalfari è martellante. Prende di mira Fdi, evocando inesistenti spettri fascisti, per nascondere le magagne della sinistra
La campagna politico-culturale di Repubblica è martellante. Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ha preso di mira Fratelli d’Italia, probabile primo partito della destra, e la sua leader Giorgia Meloni con una evocazione continua dello spettro fascista. Di fronte ad una sinistra divisa e senza nerbo narrativo Repubblica dà al suo pubblico ciò che vuole: sentirsi migliori di gran parte degli elettori, rassicurarsi di essere dalla parte giusta nonostante la debolezza del messaggio politico e il fallimento del campo largo, coltivare una ossessione per erigere le mura della cittadella della sinistra.
Nessuno crede allo spettro del fascismo
Nessuno studioso serio crede alla spettro del fascismo semplicemente perché i fenomeni storici non possono essere staccati dal contesto. Oggi non veniamo dalla prima guerra mondiale, non ci sono in giro masse di giovani disoccupati, armati e violenti, non veniamo dal biennio rosso, il suffragio universale non è stato introdotto pochi anni fa, Fratelli d’Italia non ha milizie né squadracce, Mattarella non è un re Savoia.
Senza contare che il partito della Meloni è nato e cresciuto nel contesto costituzionale, senza contestarne i fondamenti, ha rispettato il Parlamento, nell’ultimo anno e mezzo ha espresso una opposizione collaborativa con il governo guidato da Mario Draghi.
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Il “rito tribale” di Repubblica
L’evocazione del fascismo è un rito tribale di Repubblica per chiamare a raccolta i suoi. Ciò non significa che la destra di Fratelli d’Italia a volte non peschi eccessivamente nella simbologia del passato o che continui ad utilizzare formule retoriche eccessivamente nazionaliste.
Ad ogni modo, come ha notato anche Massimo Cacciari, il pericolo fascismo non c’è e anche gli ultimi refoli di neofascismo si sono esauriti negli anni Settanta. Dunque, le casematte del potere, gli avamposti della cultura di sinistra, dispiegano una disperata strategia di mobilitazione mentre la coalizione si ingarbuglia.
Un governo di centrodestra può durare
Parallelamente, gli emissari più raffinati dell’establishment progressista ventilano ipotesi che suonano più o meno in questo modo: perderemo le elezioni ma questa destra non riuscirà a governare in un contesto internazionale ed economico molto complicato. È davvero così? Ci sono sicuramente dei rischi: parte della classe politica di Fratelli d’Italia è inesperta; Silvio Berlusconi è anziano e il suo partito ristretto; Matteo Salvini è un leader in decadenza, appannato e sovraesposto; le due più grandi forze politiche della destra sono fuori dai partiti che governano l’Unione Europea e non hanno legami con i governanti degli altri grandi paesi. Servirà un lavoro paziente per guadagnare qualche credito internazionale.
Tuttavia, non è scritto da nessuna parte che la caduta di un governo di destra possa essere immediata. Il governo della destra potrà durare cinque mesi o cinque anni, dipenderà dai numeri in Parlamento, dagli attori politici e dalla situazione internazionale. Il centrodestra dovrà scegliere tra la classica cooptazione politica e spartizione tra partiti oppure se avviarsi verso un esperimento diverso: politici e tecnici d’area insieme, orecchio ai suggerimenti di Draghi, collaborazione con Mattarella, politiche economiche che convincano i mercati. È un percorso più difficile, poiché presuppone unità politica e messa da parte delle gelosie e delle ambiguità sul fronte internazionale ma è anche la via più sicura per restare in sella a lungo.
Giorgia Meloni ha molto da lavorare
Inoltre, non è scritto da nessuna parte che uno scenario difficile indebolisca un governo appena entrato in carica. Spesso le emergenze e le tensioni rafforzano gli esecutivi, anche in modo casuale e legato alle contingenze. Per questo è bene che il centrodestra si prepari ad entrare nella scia del nuovo scenario di un vincolo Atlantico rafforzato, di processi di deglobalizzazione delle catene del valore e di inevitabile rafforzamento della politica economica europea. Non l’Italia contro l’Unione Europea, ma una Italia protagonista in Europa bilanciando vincolo esterno e obiettivi nazionali.
Se questo scenario si materializzasse un eventuale governo di destra potrebbe stabilizzarsi piuttosto che scomporsi. Per Giorgia Meloni ci sarebbe l’opportunità non solo di essere azionista di maggioranza del nuovo esecutivo, ma anche di poter lanciare forse un nuovo partito unico di destra. È presto, le elezioni vanno prima vinte e le variabili in campo sono molte, non tutte controllabili dalla politica italiana. Tuttavia, alla sinistra piace raccontarsi delle storie per offuscare le proprie difficoltà. Queste narrazioni possono avere un fondamento di verità, ma possono anche essere del tutto smentite dalla realtà. Non sarebbe la prima volta.
@LorenzoCast89
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