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  • 19/08/2024 19:28

Come si gestiscono i matti pericolosi?

LO STATO DELLE COSE Come si gestiscono i matti pericolosi? Viaggio in una Rems, le strutture che han preso il posto degli Opg; La psichiatra Barbara Capovani, uccisa il 21 aprile a Pisa Prologo Barbara Capovani, psichiatra pisana, era la migliore amica della mia fidanzata dei tempi dell’università. Com’era prevedibile era poi diventata una donna e una psichiatra piuttosto formidabile. Negli anni ho avuto bisogno dei suoi consigli che ha sempre dispensato con una generosità e una competenza rare. È stata uccisa brutalmente, con ogni probabilità, da uno che era stato brevemente suo paziente (nel senso che le avevano chiesto di valutare la sua presunta infermità mentale). Ho quindi cercato di trarre, da questa immane tragedia, almeno l’occasione per capire dove sarebbe dovuto stare il suo presunto assassino (era ai domiciliari, evidentemente molto laschi). E per parlare di una sua importante eredità professionale. LE REMS, QUESTE SCONOSCIUTE Per farlo mi sono fatto portare da Alfredo Sbrana, uno psichiatra che l’aveva preceduta come capo della psichiatria territoriale pisana, in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), le strutture che hanno preso il posto degli Opg. La cosa che Sbrana ha chiarito è che l’assassino NON sarebbe comunque dovuto stare in una Rems perché il suo è un chiaro disturbo della personalità che è cosa diversa da una malattia mentale. I dettagli nel pezzo sul Venerdì in edicola. Intanto un estratto su questi luoghi sconosciuti: Troppi pochi posti? «Non necessariamente» spiega Sbrana: «Se dai 650 attuali si arrivasse a 8-900 non mi dispiacerebbe, ma il problema è che spesso qui finiscono persone che dovrebbero stare altrove». La legge istitutiva del 2014, che puntava a superare l’orrore di certi Opg, «bolge infernali con camere da 2-3 persone dove ne finivano tranquillamente anche 7-8», le aveva previste come “extrema ratio” per pazienti infermi di mente, quindi non imputabili. Ma dal momento che una sentenza della Cassazione nel 2005 aveva ritenuto tali anche i casi gravi di disturbo della personalità ora ci possono finire anche loro (il Dsm, la bibbia diagnostica, invece distingue chiaramente tra malattie, asse 1, e disturbi, asse 2). Spesso si è desunta, sbagliando, la presunta infermità dall’efferatezza di certi crimini. Patrizia Orcamo, la dirigente della Regione con cui ho negoziato i termini della visita, è ancora più netta: «Se ci mandassero solo le persone giuste i posti attuali sarebbero più che sufficienti». Lo dice sventolando l’ultima lista ricevuta del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (questa Rems è l’unica che prende internati esclusivamente dalle carceri, di tutta Italia, una specie di refugium peccatorum di ultima istanza) che indica una quarantina di potenziali candidati di cui «solo una decina risponderebbero ai requisiti originari di malattia». Mentre se il rapporto tra patologia e reato è debole avrebbe molto più senso cercare sistemazioni diverse, tipo comunità residenziali, senza sbarre. 30 OPERATORI PER 20 OSPITI Questa conversazione avviene nella sala riunioni della struttura, una bella palazzina ocra, circondata da due anelli di recinzioni di circa tre metri, con vista sul giardino dove 4-5 dei quindici internati sui 20 posti totali chiacchierano vicino a due palloni di cuoio. È qui che, via Teams, il giudice di sorveglianza si collega con loro per ri-valutarne la pericolosità sociale. Lo staff prevede una trentina di persone tra infermieri, oss, educatori, assistenti sociali, psicologi e 4 psichiatri, tra cui il direttore Sbrana e la coordinatrice Elisabetta Olivieri che, per conto della Asl proprietaria dello stabile (il personale è invece assunto da una cooperativa privata) sovrintende ai rapporti con l’esterno. Simona Rombola, un’educatrice dagli occhi vispissimi ma uno scricciolo rispetto agli internati, tutti maschi, sui trent’anni di media, massicci, piuttosto imprevedibili, snocciola una serie di attività, dal calcetto alla musica, dall’insegnamento dell’italiano per i sei extracomunitari presenti, con sproporzione simil-carceraria, fino alla pet therapy con i cani e il Chi Gong, una specie di Tai Chi rilassante, in attesa di attivare corsi di teatro. Attività incastonate in una griglia che, nel riassunto del coordinatore infermieristico Alessio Tedesco, prevede sveglia alle 8 con colazione a seguire, spuntino alle 10.30, pranzo alle 12.30, merenda alle 16.30 e cena alle 19.30 e tre turni di somministrazione di farmaci «obbligatori, perché questo è un luogo di cura, con otto occhi per assicurarsi che li prendano davvero». Interviene Sbrana: «Le loro sono malattie da cui non si guarisce ma che vanno curate, per stabilizzarli. Con risultati a volte stupefacenti, tipo quando uno entrato col Tso, così agitato da arrampicarsi sui muri, è poi uscito salutando gli operatori». Sì perché oltre al clima interno, con tanta riabilitazione oltre al contenimento, l’altra fondamentale differenza rispetto a prima è che, se tutto va bene, non si è condannati a restare. «In questo primo anno sono entrate 23 persone e ne sono uscite 8, verso altre residenze e una addirittura a casa» calcola Olivieri: «E tutti sanno che potrebbe capitare anche a loro». Magari non a quel paziente che Sbrana aveva conosciuto prima all’Opg di Montelupo e poi ritrovato nella Rems a Volterra che, con tre ammazzamenti datati 1990, è sempre dentro. Né ai due qui per omicidio, che invano cercherò di individuare, ma la semplice possibilità è la fiammella che illumina occhi altrimenti piuttosto spenti. LO STATO DELLE COSE https://riccardostagliano.substack.com/p/100-come-si-gestiscono-i-matti-pericolosi

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