Chi sono i Sionisti? Significato, storia e ideologia politica del movimento
Chi sono i Sionisti? Significato, storia e ideologia politica del movimento
Chi sono i Sionisti? Significato, storia e ideologia politica del movimento
Chi sono i Sionisti? I sionisti costituiscono uno dei pilastri fondamentali della scena politica in Israele, accompagnando l’intera evoluzione storica dello Stato ebraico. Esploriamo la loro identità e gli obiettivi che perseguono.
Chi sono i Sionisti? Significato del termine “sionismo”
Il sionismo è una dottrina o un movimento che si propone di riunire gli ebrei in Palestina per fondare uno Stato proprio. Questo concetto ha trovato il suo primo sviluppo politico nel 1896, con l’opera “Stato degli ebrei” di Theodor Herzl, ha poi ottenuto una chiara definizione nel 1897 con il Congresso mondiale sionista tenutosi a Basilea, e ha raggiunto un significativo punto di svolta il 15 maggio 1948, quando è stato fondato lo Stato di Israele
Riguardo all’origine del termine, il “sionismo” deriva dalla parola “Sion,” che è la collina di Gerusalemme simbolo della Terra promessa. Si crede che questa collina possa ospitare la tomba del re Davide e rappresenta il luogo in cui ogni credente ebreo auspica di fare ritorno.
Storia e ideologia politica del movimento sionista
Alla base del sionismo giace innegabilmente il concetto di un legame profondo, secondo i suoi sostenitori, tra gli ebrei e la Terra Santa. Questo collegamento è stato trasmesso attraverso il ricordo della ‘patria perduta’ e il forte desiderio di fare ritorno. Quattro fondamentali presupposti costituiscono il fondamento dell’ideologia di Herzl: l’esistenza di un popolo ebraico distintivo, l’idea che l’assimilazione in altre società sia impossibile a causa della rapida dispersione degli ebrei, il riconoscimento del loro diritto alla ‘Terra promessa’ e la convinzione che non vi sia un altro popolo che possieda diritti sovrani su quel territorio.
Herzl immaginava la creazione di uno stato-nazione ebraico che avrebbe posto fine alle persecuzioni subite dagli ebrei in Europa, dalle violenze dei pogrom russi all’infamia dell’affare Dreyfus in Francia. Tuttavia, i ‘sionisti’, come vennero chiamati i seguaci di Herzl, non considerarono l’importante fatto che su quella terra vivevano già mezzo milione di arabi con profonde radici e tradizioni millenarie.
Il sionismo perseguì una politica che implicava un’alleanza con le grandi potenze capitalistiche, ma al contempo negava al popolo palestinese il riconoscimento del diritto all’identità nazionale, che invece veniva rivendicato per il popolo ebraico. Questo approccio, con radici eurocentriche, si ricollega a figure come Cecil Rhodes, Jules Ferry e il cancelliere Bismarck, e ha lasciato un’impronta indelebile, dalla quale il sionismo non è stato ancora in grado di emanciparsi, nonostante l’esistenza di correnti interne di sinistra e persino settori che si autodefinivano socialisti.
Il sionismo, da un lato, considerava gli ebrei come esuli da raccogliere da ogni angolo del mondo e organizzò un ‘ritorno’ in Palestina. Nei primi anni del XX secolo, in Palestina vivevano circa mezzo milione di arabi e 50.000 ebrei, un numero che salì a 300.000 nel decennio tra il 1930 e il 1940. La persecuzione antisemita nell’era nazista tedesca portò a un aumento dell’immigrazione che superò le ‘quote’ consentite dalla legge. Gli inglesi, che avevano autorità sulla Palestina, si preoccuparono poiché vedevano minacciata la loro egemonia nella regione.
Nel 1939, il Regno Unito dichiarò che l’obiettivo non era più la creazione di uno stato ebraico, ma piuttosto uno stato palestinese indipendente ‘in cui entrambi i popoli partecipassero al governo’. I sionisti, con l’aiuto di contributi raccolti tra gli ebrei di tutto il mondo, che spaziavano dai banchieri alle persone comuni, acquistarono terre arabe da ricchi proprietari che spesso risiedevano a Beirut o Parigi, dimostrandosi indifferenti al destino dei loro affittuari, i contadini palestinesi. Gli ebrei arrivarono con titoli di proprietà, cacciarono le famiglie agricole locali e stabilirono colonie agricole, i kibbutzim, che venivano difesi da milizie sioniste contro un ambiente percepito come ostile.
Di fronte all’escalation degli attacchi anti-britannici, Londra presentò la questione palestinese alle Nazioni Unite nel febbraio 1947. Un comitato speciale raccomandò la suddivisione del territorio in due stati indipendenti, uno arabo e uno ebraico, con Gerusalemme sotto autorità internazionale.
Le diramazioni del sionismo
Il movimento sionista ha conosciuto nel corso degli anni diverse sfaccettature e filoni del suo pensiero originale. Tra questi troviamo:
il sionismo socialista, caratterizzato da ideali di sinistra e dall’istituzione dei kibbutz;
il sionismo religioso, che si fonda su una stretta osservanza delle pratiche religiose ebraiche;
il sionismo revisionista, emerso in Israele e con connotazioni di estrema destra, rappresentato oggi dal partito Likud di Benjamin Netanyahu.
Oggi, soprattutto tra i suoi critici, il sionismo è spesso associato a un nazionalismo ebraico che mira a espandere lo Stato d’Israele su tutto il territorio della Palestina, incluso l’occupare le terre assegnate all’origine alla popolazione araba dall’ONU nel 1948. In questo contesto, l’attività dei sionisti moderni è concentrata sulla pressione e sull’isolamento della Striscia di Gaza, oltre alla continua colonizzazione dei territori della Cisgiordania.
Differenza tra movimento sionista e Stato di Israele
È importante distinguere tra il movimento sionista e lo Stato di Israele, creato da esso, da un lato, e la maggioranza degli ebrei che hanno scelto di rimanere nei paesi dei cinque continenti in cui hanno sempre vissuto, dall’altro. Questa distinzione è diventata particolarmente rilevante quando la politica di oppressione aperta e brutale portata avanti da Israele contro i palestinesi, a nome di una visione distorta dell’ebraismo, rischia di generare nel resto del mondo, insieme alla legittima critica, manifestazioni di antisemitismo.
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