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  • 27/03/2024 09:32

Vivere in Palestina

ActionAid Vivere in Palestina La vita in Palestina. La vita quotidiana in Palestina si svolge tra controlli ai checkpoint, blocchi stradali, richieste di permessi e lunghi viaggi per percorrere piccole tratte. La mappa del territorio ha subito molte variazioni nel corso dei decenni ma quella che vediamo oggi si rifà a quella stabilita negli accordi di Oslo del 1993. In base agli accordi di Oslo la Cisgiordania (o West Bank) è stata divisa in tre aree principali: Area A: sotto pieno controllo palestinese Area B: sotto il controllo amministrativo palestinese e il controllo israeliano per la sicurezza Area C: sotto il pieno controllo amministrativo e di sicurezza israeliano A complicare il quadro vi è la presenza di molti insediamenti israeliani illegali, comprendenti solo i cittadini israeliani, che a partire dalla Guerra dei 6 giorni (5-10 giugno 1967) si sono lentamente diffusi all’interno del territorio palestinese della Cisgiordania e di Gerusalemme Est e che sono considerati illegali dal diritto internazionale perché violano l'articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra - ratificata anche da Israele - che vieta alla potenza occupante di “procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”. Ad oggi, oltre 20 anni dopo Oslo, e a 50 anni dalla Guerra dei 6 giorni che ha dato origine all’occupazione da parte di Israele di un vasto territorio palestinese, la vita in Cisgiordania per i palestinesi è sempre più complessa e difficile. La difficoltà di movimento incide in maniera rilevante nella quotidianità, nel modo di lavorare, nel modo di partecipare alla vita pubblica. Ibrahim è un collega in Palestina: “Qui non abbiamo la stessa libertà di movimento che c’è in Italia e in Europa: qui potete organizzare la vostra giornata e sapete che niente vi impedirà di portare a termine i vostri impegni. Inoltre avete molti mezzi di trasporto e potete scegliere quello più adatto ogni volta. Nel mio Paese invece è molto difficile pianificare i propri impegni, sia giornalieri che mensili, e questo è dovuto principalmente all’organizzazione del territorio palestinese, diviso in diverse aree. Sia per uscire che per entrare in un’area dobbiamo attraversare i checkpoint israeliani per i controlli, operazione che rende incerto il tempo necessario a raggiungere la propria destinazione: possono volerci 15 minuti come 2 o 3 ore e talvolta può essere pericoloso. I palestinesi in Area C inoltre hanno bisogno di permessi militari israeliani appositi, che nella stragrande maggioranza vengono rifiutati, per costruirsi una casa o coltivare la terra. Tutto questo chiaramente genera un sentimento di insicurezza e di incertezza sul futuro”. Il nostro lavoro in Palestina. Nel giugno 1967 Israele ha occupato la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est; aree conosciute oggi come territori palestinesi occupati. L'occupazione è stata condannata dalla comunità internazionale e a Israele è stato chiesto il ritiro dalle aree occupate (Risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e molte altre che sono seguite). Dopo mezzo secolo la Palestina è ancora occupata. Israele ha frammentato la Palestina in aree separate: Gerusalemme Est è stata annessa illegalmente, Gaza è da 10 anni sotto un blocco illegale da terra, mare e aria e oltre la metà della terra palestinese della Cisgiordania è stato confiscata da Israele per la costruzione di insediamenti illegali, zone agricole e industriali, muro di separazione, una vasta rete di strade a uso esclusivo dei coloni, ecc. ActionAid lavora in Palestina dal 2007, operando a stretto contatto con le comunità più vulnerabili e focalizzandosi in particolare su giovani e donne, che sono gravemente colpite dalla situazione politica. L'occupazione limita ulteriormente la capacità delle donne di essere più proattive e sfidare le pratiche patriarcali della società palestinese. Ad esempio, i tassi di disoccupazione femminile, a parità di livelli educativi, sono molto superiori rispetto a quelli degli uomini (28,4% contro 19,2%). Le politiche e le pratiche di Israele hanno paralizzato l'economia palestinese, con un conseguente alto livello di disoccupazione, in particolare dei giovani. C’è inoltre una limitata opportunità per i giovani di partecipare ai processi decisionali. In Palestina, come negli altri paesi in cui siamo presenti, sosteniamo il diritto all’autodeterminazione dei popoli e lavoriamo per difendere i diritti umani. Nei governatorati di Hebron e Betlemme, ad esempio, abbiamo coinvolto oltre 5.000 persone di 12 diverse comunità in percorsi di empowerment e formazione. I partecipanti hanno avuto modo di approfondire la loro conoscenza dei diritti umani, sviluppare doti di leadership e comunicazione, nonché di gestione di attività economiche e marketing. Abbiamo fornito, inoltre, supporto finanziario alle donne per avviare delle attività produttive e rendersi autonome in una società fortemente patriarcale e aiutato i giovani nella realizzazione dei loro progetti imprenditoriali. Nella città vecchia di Hebron, dove l’organizzazione della vita è particolarmente complessa supportiamo le attività dello Sharek Center, un centro polifunzionale, dove si svolgono corsi e attività per bambini e giovani. Le donne palestinesi hanno subito numerosi abusi dall'occupazione israeliana che ha colpito la loro vita, la loro resilienza e il loro comportamento. La loro sofferenza va oltre l'impatto fisico dell'occupazione militare e coinvolge ogni aspetto della loro vita. Oltre a essere più vulnerabili agli effetti dell'occupazione israeliana, le donne palestinesi sono esposte alla negazione dei propri diritti umani in conseguenza delle pressioni e degli atteggiamenti discriminatori frutto di una società ancora molto patriarcale. Una parte fondamentale del nostro lavoro è quindi quella di potenziare la consapevolezza legata ai loro diritti sociali, culturali ed economici e il potere delle donne in aree emarginate. Lo facciamo perché crediamo profondamente che le donne abbiano la forza e la capacità di contribuire al benessere delle loro famiglie e delle loro comunità anche divenendo membri più attivi all’interno delle comunità. Actionaid

I commenti

Israele sta per invadere Rafah. Per cui non ci sarà un cessate il fuoco permanente. Per cui gli aiuti dovranno arrivare in altro modo. A meno che non riusciate a convincere Hamas a rendere la libertà agli ostaggi. In tal caso si avrebbe un cessate il fuoco temporaneo, ma abbastanza lungo da poter introdurre a Gaza molti aiuti. Provate a parlare con Hamas.

Anonimo - 29/03/2024 01:17

Striscia di Gaza: ActionAid, “solo un cessate il fuoco permanente garantirà ingresso aiuti umanitari senza altri morti per fame e malattie”

“Siamo sollevati nel vedere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite prendere finalmente una posizione a favore dell’umanità e usare la sua voce per chiedere collettivamente un cessate il fuoco disperatamente necessario a Gaza. Ogni singolo giorno che passa senza un cessate il fuoco vede un numero maggiore di bambini morire per malnutrizione mentre la carestia diventa sempre più reale”. Lo afferma oggi ActionAid, commentando il voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “La risoluzione ha chiesto un cessate il fuoco immediato per il mese di Ramadan e, anche se questo offrirebbe un po’ di sollievo alla popolazione assediata di Gaza, due settimane di calma prima che le bombe ricomincino a cadere non daranno il tempo sufficiente per far arrivare gli aiuti vitali a tutti coloro che ne hanno bisogno. Solo un cessate il fuoco permanente garantirà che gli aiuti umanitari possano entrare a Gaza e scongiurare ulteriori morti per fame e malattie”, sottolinea l’organizzazione umanitaria. “Approvando questa risoluzione oggi, i membri del Consiglio riconoscono che l’orrore a Gaza deve finire, ma le parole non sono sufficienti: devono essere seguite da azioni urgenti – conclude -. Devono ora essere prese tutte le misure necessarie per garantire l’attuazione immediata di un cessate il fuoco permanente a Gaza, per porre finalmente fine alle uccisioni e consentire la distribuzione su larga scala di aiuti salvavita”.

X man - 28/03/2024 09:02

In Palestina come descritto nel vostro articolo vi sono realtà positive e costruttive a contatto con la cittadinanza.
Purtroppo sono sempre i cittadini a rimetterci rappresentati da politici che per i loro sporchi interessi non importa se fanno vittime e quante ne fanno.
E' la riprova del Governo di Israele, un governo in mano a dei pazzi che per prendersi un lembo di terra sono pronti a sacrificare civili e bambini in un vero GENOCIDIO DI MASSA DIABOLICO con la scusa del terrorismo di HAMAS finanziata dai servizi segreti Israeliani e dalla stessa CIA.
Una retorica quella della Guerra che ha profondi vantaggi nel traffico e nella produzione di armi dove TUTTI I GOVERNI SONO COINVOLTI.
Vedi l'Ucraina con un altro estremista nazista che come fantoccio degli USA e della CIA ha innescato uno scontro ai confini russi dove hanno fatto saltare apposta i trattati di Minsk e dove ora tutti i Governi occidentali sono disposti a fabbricare armi e venderle con finanziamenti statali mentre i cittadini stentano in Francia, Germania e Italia.
Bisogna fermare questi politici pazzi in un gioco al massacro di civili sia in Palestina, sia in Ucraina e questo tocca solo e solamente ai cittadini comuni invertire il corso.
LM

Luigi - 28/03/2024 06:04

Andrebbe ricordato che alla fine della Guerra dei Sei Giorni Israele aveva in mano il Golan, tutta la West Bank, Gaza e il Sinai. Poi Israele ha fatto pace con l'Egitto e restituito il Sinai. Avrebbe restituito anche Gaza se gli egiziani l'avessero voluta riprendere. In ogni caso ha lasciato Gaza al governo dei palestinesi (ricevendo in cambio solo violenza). Con Oslo Israele ha lasciato altro territorio e tale atto era preliminare ai famosi due stati affiancati. Poi Arafat decise di bloccare il processo di pace. Israele ridette volentieri il Sinai all'Egitto perché ritenne che l'Egitto fosse affidabile, il che si è dimostrato vero, visto che dal 1973 non ci son più state guerre tra Israele ed Egitto. Si noti che Israele riconsegnò il Sinai agli egiziani già nel 1978, ovvero solo cinque anni dopo una guerra di aggressione che aveva dovuto subire (quella di Yom Kippur). Allo stesso modo Israele non avrebbe avuto nessun interesse a rientrare a Gaza, ma purtroppo la dichiarazione di guerra fatta da Hamas in modo cruento il 7 ottobre ce l'ha costretta. Più duro per gli israeliani rendere agli arabi tutto il West Bank (la famosa Cis Giordania), in quanto ci sono ebrei ortodossi che considerano tali terre parte integrante di Israele stessa. Ricorderete tutti l'ottimo generale sionista Ytzak Rabin che venne ucciso da un altro ebreo perché aveva intenzione di lasciare tutta la West Bank. Ritengo però che una pace sarebbe possibile solo se gli arabi palestinesi:

1. Riconoscessero lo stato di Israele
2. Rinunciassero al terrorismo

Non ci sarà invece nessuna pace con i metodi di Hamas, che dichiara di volere la distruzione di Israele, la morte degli ebrei e fa azioni criminali come il 7 ottobre.

Si può arrivare ai due stati con capitale araba nei sobborghi Est di Gerusalemme, purché gli arabi riconoscano Israele e rinuncino al terrorismo.

Se voi state lì a piangere sulle difficoltà degli arabi, ma non chiedete agli arabi di riconoscere Israele, voi fate tanta propaganda, ma non fate un servizio alla causa della pace. Il piagnisteo secolare (tra due decenni lo sarà) della nakba e del miraggio folle del ritorno di tutti i discendenti degli arabi che se ne andarono o furono espulsi da Israele nel 1948 è un piagnisteo criminale che produce e ha prodotto migliaia di morti. Sarebbe come se oggi l'Italia pretendesse di far rientrare a Zara, Pola e Fiume tutti i discendenti dei profughi del 1948. Vi rendete conto di quali follie criminali voi avallate???

Le difficoltà di movimento dei palestinesi non sono dovute ad un qualche sadismo degli ebrei, bensì alla necessità di prevenire atti terroristici.

Senza il reciproco riconoscimento non si avrà alcuna pace.

Anonimo - 28/03/2024 03:04

Vivere oggi in Ucraina, vivere oggi in Israele (i missili cadono anche lì sui civili), vivere oggi in Tibet, vivere oggi in Hong Kong, vivere oggi in Afghanistan, vivere oggi in Turkestan orientale, vivere oggi in Sud Sudan, vivere oggi a Belgorod, vivere oggi in Crimea, vivere oggi in Ossezia del Sud, vivere ieri in Nagorno Karabakh (oggi pulizia etnica armeni effettuata), vivere oggi in Transnistria..... e domani in Moldavia (se i russi dovessero vincere in Ucraina la Moldavia sarebbe certo da loro attaccata), domani a Taiwan (quando la bombarderanno i cinesi).............. Insomma, nel mondo non ci sono solo i palestinesi, amatissimi da una parte degli europei che odiano Israele solo perché essa è sostenuta dagli USA.

Anonimo - 28/03/2024 02:38

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