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  • 22/01/2024 18:53

103 anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia

di Agenzia Stampa CARC Il 21 gennaio 1921, all’indomani della conclusione dell’esperienza del Biennio rosso, fu fondato a Livorno il PCd’I, il primo partito comunista italiano. Nel 1922 prevaleva la mobilitazione reazionaria: venne formato il governo Mussolini e instaurato il fascismo. Fu la ricetta con cui la borghesia “corse ai ripari” per stroncare la mobilitazione rivoluzionaria (dilagata in un terzo del mondo dopo la Rivoluzione d’Ottobre e che in Italia aveva prodotto il Biennio rosso) e per far fronte al corso distruttivo delle cose imposto dalla prima crisi generale del capitalismo. Il 1° novembre 1923 nell’articolo Che fare? – scritto sulla rivista La voce della gioventù – Gramsci, tirando un bilancio del Biennio rosso, affermava: “bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perso; chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare. […] Perché i partiti proletari italiani sono sempre stati deboli dal punto di vista rivoluzionario? Perché hanno fallito quando dovevano passare dalle parole all’azione? Essi non conoscevano la situazione in cui dovevano operare, essi non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia. Pensate: in più di trenta anni di vita, il partito socialista non ha prodotto un libro che studiasse la struttura economico-sociale dell’Italia. Non esiste un libro che studi i partiti politici italiani, i loro legami di classe, il loro significato. Perché nella Valle del Po il riformismo si era radicato così profondamente? Perché il partito popolare, cattolico, ha più fortuna nell’Italia settentrionale e centrale che nell’Italia del sud, dove pure la popolazione è più arretrata e dovrebbe quindi più facilmente seguire un partito confessionale? […] Noi non conosciamo l’Italia, così com’è realmente e quindi siamo nella quasi impossibilità di fare previsioni, di orientarci, di stabilire delle linee d’azione che abbiano una certa probabilità di essere esatte. Non esiste una storia della classe operaia italiana. Non esiste una storia della classe contadina. Che importanza hanno avuto i fatti di Milano del ’98? Che insegnamento hanno dato? Che importanza ha avuto lo sciopero generale di Milano del 1904? […] Basta porsi queste domande per accorgersi che noi siamo completamente ignoranti, che noi siamo disorientati. Sembra che in Italia non si sia mai pensato, mai studiato, mai ricercato. Sembra che la classe operaia italiana non abbia mai avuto una sua concezione della vita, della storia, dello sviluppo della società umana. Eppure la classe operaia ha una sua concezione: il materialismo storico; eppure la classe operaia ha avuto dei grandi maestri (Marx, Engels) che hanno mostrato come si esaminano i fatti, le situazioni, e come dall’esame si traggano gli indirizzi per l’azione. Ecco la nostra debolezza, ecco la principale ragione della disfatta dei partiti rivoluzionari italiani: non avere avuto una ideologia, non averla diffusa tra le masse, non avere fortificato e coscienze dei militanti con delle certezze di carattere morale e psicologico.” Gramsci, che l’Internazionale Comunista aveva posto alla testa del Partito dal 1923, si dedicò all’opera di “bolscevizzazione del Partito”, ma il suo arresto ad opera dei fascisti (1926) e poi la morte in carcere (1937) privarono il PCd’I dell’unico dirigente che si era dedicato scientificamente a elaborare la strategia per fare la rivoluzione in Italia. La debolezza ideologica della sinistra del Partito lasciò campo libero alla destra, cioè a quella componente che concepiva il Partito comunista come l’ala sinistra di uno schieramento di forze democratiche per abbattere il regime, eliminare i residui feudali ed estendere i diritti democratici, invece di usare la lotta al fascismo ai fini della rivoluzione socialista. Prima la svolta di Salerno di cui fu promotore Togliatti (1944) e poi l’VIII Congresso del PCI nel dicembre 1956 sono i passaggi attraverso i quali la linea di destra si impose alla testa del Partito, forte del successo dei revisionisti di Kruscev nel XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (febbraio 1956). La linea di collaborazione con la borghesia lo portò nei decenni successivi al 1945 a disperdere progressivamente il risultato raggiunto con la direzione della Resistenza e a liquidare quel patrimonio: il PCI divenne l’interprete della via pacifica al socialismo, delle riforme di struttura, indirizzò la classe operaia, nella lotta rivendicativa ed elettoralista, abbandonando via via qualsiasi legame con il movimento rivoluzionario. Dal 1945, ma con più chiarezza dopo il 1956 (ben prima dello scioglimento del primo PCI, nel 1989) si poneva nuovamente all’ordine del giorno il compito della costruzione di un partito rivoluzionario, della ricostruzione di un vero partito comunista in Italia. Con lo stesso spirito con cui Gramsci pone chiaramente i limiti del vecchio PCI ai suoi compagni, noi celebriamo oggi l’anniversario della fondazione del primo PCI promuovendo lo studio e l’analisi della sua esperienza. In questo senso la storia della Carovana si lega strettamente a quella del PCd’I: di quel patrimonio la Carovana ha fatto insegnamenti analizzando criticamente quella storia e arrivando a capire quali fossero le caratteristiche e le idee sbagliate che hanno impedito a quei coraggiosi, generosi, dediti comunisti di fare la rivoluzione socialista in Italia. Uno dei principali limiti che emerge dallo studio della storia del movimento comunista del nostro paese è che quelli che pensavano (intellettuali e dirigenti del movimento comunista) pensavano male, si lasciavano influenzare dal clero e dalla borghesia. La causa della sconfitta del vecchio PCI non è certo da ricercare nell’arretratezza delle masse, ma nei limiti espressi dalla sua testa. Questa ha imposto una linea di destra alla sua base, che mossa dalla sua esperienza pratica, se pur non coscientemente, se ne è infatti progressivamente distaccata. Oggi c’è bisogno di comunisti che si dotino di una concezione adeguata al loro compito, la concezione comunista del mondo. I comunisti non si distinguono per abnegazione o eroicità ma “perché hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base la spingono sempre in avanti” (da Il Manifesto del Partito Comunista, di Marx ed Engels). È dovere quindi dei comunisti oggi rispondere con serietà e rigore ideologico al perché i comunisti italiani non sono riusciti a instaurare il socialismo nel nostro paese, nonostante l’eroicità delle battaglie che hanno condotto e il ruolo di guida che hanno rappresentato per milioni di proletari. YouTube player La playlist YouTube sulla storia del Partito Comunista d’Italia realizzata in occasione del centenario dalla sua fondazione È per questo che scegliamo oggi di celebrare la fondazione del PCd’I rilanciando il ciclo di video lezioni e alcuni articoli di approfondimento che abbiamo prodotto a tal fine. Perché oggi i comunisti in Italia imparino da quella esperienza, per raccogliere sì il testimone, ma per non cadere negli stessi errori, per togliersi di dosso le tare che imbrigliano il movimento comunista e lo avviluppano ancora in limiti e errori che frenano la sua rinascita e la costruzione della rivoluzione socialista in Italia. Il movimento comunista rinasce, e non può che rinascere, imparando da chi ha percorso prima di noi la strada della rivoluzione, da quanto di buono ha saputo fare e anche dai suoi errori. Formazione, educazione e organizzazione. Unirsi alla Carovana del (nuovo)PCI, aderire al P.CARC. Questo è l’appello che rivolgiamo a tanti compagni e tante compagne che condividono lo stesso obiettivo: raccogliere il testimone dei comunisti che fondarono il PCd’I a Livorno per portarne a compimento il cammino che avevano iniziato.

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