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  • 13/12/2023 18:40

Giustizia, psichiatri: strutture in emergenza, rivedere legge

Giustizia, psichiatri: strutture in emergenza, rivedere legge 81 Venezia, 13 dic. (askanews) - La psichiatria può curare ma non è in grado di prendere in custodia le persone che hanno commesso reati. Per questo gli psichiatri chiedono di rivedere la legge 81, aggiornando i percorsi di cura. Si tratta di una vera e propria emergenza che riguarda la salute non solo chi chi deve scontare la pena ma anche per la sicurezza degli operatori del settore, vittime spesso di aggressioni e violenze. Se ne è parlato a "Psichiatria e Giustizia al servizio della società", un evento promosso da Motore Sanità, con la sponsorizzazione di CePAC per approfondire il dialogo tra magistratura, Sanità e Regioni su questi temi. Emi Bondi, presidente società italiana di psichiatria, spiega perché le strutture psichiatriche non riescono più a gestire la situazione. "Non sono in grado - afferma - perché sono sempre più in difficoltà, per la diminuzione delle risorse dei posti letto, del personale. Sono anni ormai che siamo definanziati e facciamo fatica a rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Il numero notevole di pazienti autori di reato che rappresenta quasi il 30% delle persone che occupano i posti letto negli Spdc (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura ndr) e il 30% circa delle persone che occupano i posti nelle comunità sta diventando insostenibile per lo svolgimento delle normali attività. Queste persone - aggiunge - restano a volte mesi all'interno dei reparti che dovrebbero essere reparti per acuti, perché per loro non ci sono soluzioni di percorso". Occorre quindi individuare meglio le misure detentive appropriate per ogni singolo paziente. Va in questa direzione il progetto di sperimentazione del CePAC, il Centro di profilazione e analisi criminologica concepito per dare uno strumento in più alla Magistratura e ai Dipartimenti attraverso l'osservazione e la valutazione del comportamento degli autori di reato, in modo da indirizzare il paziente nella struttura più adeguata dove scontare la pena. Oggi, infatti, la pericolosità sociale viene stabilita dal giudice soltanto in base a una perizia psichiatrica e non in seguito ad un'osservazione più lunga e approfondita che la profilazione garantirebbe. Il presidente di Istituti Polesani, Iles Braghetto, spiega le finalità del CePAC e il messaggio alle Istituzioni: "L'obiettivo maggiore è di evitare ricoveri impropri nelle Rems e utilizzare anche le strutture territoriali laddove la pericolosità sociale lo consenta", spiega Braghetto, che aggiunge: "Il messaggio è innanzitutto di utilizzare questa struttura di profilazione, perché all'interno di un percorso è più semplice cogliere gli aspetti che possono consentire poi al giudice di prendere una decisione adeguata. A accanto a questo poi allargare la rete di servizi, soprattutto in alcune regioni: oggi sono carenti in particolare i posti territoriali ma anche i posti in Rems". Sono oltre settecento i pazienti in lista d'attesa per l'ingresso nelle Rems, le strutture sanitarie di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi, su un totale di 630 posti in tutta Italia. link con video https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/giustizia-psichiatri-strutture-emergenza-rivedere-legge-81

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Psichiatria. Metà degli operatori subisce violenza in reparto

Il 74% ha subito minacce verbali negli ultimi tre mesi. Questi i risultati di un’indagine condotta dal Coordinamento Nazionale dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc) su 2.600 professionisti (1400 psichiatri) della salute mentale. Al centro il problema, sempre più difficile da gestire, la presenza di pazienti autori di reato nei dipartimenti di salute mentale. Bondi (Sip): “Abbiamo diritto a lavorare in modo sicuro”
16 NOV -

Spinte e aggressioni fisiche e minacce verbali sono diventate ordinaria amministrazione per oltre metà del personale che lavora nel campo della salute mentale. La percezione del rischio è profondamente peggiorata nel corso degli ultimi e rappresenta uno degli elementi di fuga degli operatori dal servizio sanitario nazionale.

Sono numeri ‘pesanti’ quelli che emergono da un’indagine preliminare condotta dal Coordinamento Nazionale dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc), su 2600 professionisti della salute mentale, di cui 1400 psichiatri.

Il 49% ha subito violenza (dalla semplice spinta all’aggressione vera e propria) durante il lavoro nel corso degli ultimi due anni (il 27% più di una volta), il 74% ha subito minacce verbali da parte di pazienti durante il lavoro nel corso degli ultimi tre mesi (il 52% più di una volta), il 57% degli psichiatri sente a rischio la propria incolumità sul lavoro. Solo il 7% degli psichiatri rileva un’adeguata tutela per la loro sicurezza (protocolli di sicurezza e collaborazione con le forze dell’ordine).

In sintesi, un quadro di grandissima criticità in cui l’evento drammatico della morte della psichiatra Barbara Capovani questa primavera sembra rappresentare solo la punta dell’iceberg e che vede al centro il problema, sempre più difficile da gestire, la presenza di pazienti autori di reato nei dipartimenti di salute mentale inviati dall’autorità giudiziaria.

“Proprio a seguito di quel tragico evento – spiega Emi Bondi, presidente sia del Coordinamento Spdc che della Società Italiana di Psichiatria, oltre che direttore del dipartimento di salute mentale dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – un gruppo di lavoro della Società Italiana di Psichiatria ha deciso di condurre questa survey sugli operatori della Salute Mentale. Al centro la percezione dell’esposizione alla violenza, la sicurezza sul lavoro in Pronto Soccorso, nei reparti di psichiatria e nelle strutture territoriali. Si è inoltre indagata la percezione di sicurezza sulle tematiche connesse alla diagnosi e alla cura di persone affette da patologia psichiatrica e autrici di reato. I risultati hanno confermato quanto si poteva percepire da tempo: una situazione di costante pericolo per chi lavora. Non solo dentro l’ospedale. Non dimentichiamo, infine, che oggi circa il 30% dei posti nei dipartimenti è occupato da pazienti autori di reato che possono mettere a rischio la sicurezza anche degli altri pazienti”.

“In attesa di effettuare analisi più specifiche ed approfondite dei dati su tutti gli operatori sanitari, che necessiteranno di tempo – aggiunge Giancarlo Cerveri, direttore del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze ASST Lodi e coordinatore dell’indagine – abbiamo l’occasione in questo nostro congresso di confrontarci e di valutare proposte e indicazioni da proporre a chi decide non solo della nostra professione ma, a questo punto, anche della nostra sicurezza e della nostra vita. Tra queste vi sono almeno tre necessità: adeguare il numero di posti letto per acuti che attualmente risultano insufficienti, ai bisogni della popolazione e sono in continuo calo per la chiusura di molte strutture a causa della carenza di operatori; trovare una soluzione legislativa per coniugare il diritto alle cure adeguate per i soggetti autori di reato con patologia psichiatrica e la sicurezza degli operatori, e – infine – creare spazi di ricovero adeguati per rispondere ai bisogni di cura emergenti di pazienti sempre più giovani con problematiche nuove spesso connesse all’uso di sostanze stupefacenti”.

mario - 13/12/2023 23:19

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