Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere

Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere È “la stessa cosa della carne tradizionale”, affermano gli scienziati, ma “togliendo dal processo produttivo gli animali”. Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere Il primo hamburger al mondo coltivato in laboratorio, mostrato nella foto, è stato presentato a Londra nel 2013. Quella che un tempo sembrava fantascienza è diventata un’industria multimilionaria che, secondo alcuni, ci fornirà il cibo del futuro. FOTOGRAFIA DI DAVID PARRY, REUTERS A giugno il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha approvato la produzione e la vendita di carne di pollo da parte di due aziende, Upside Foods e Good Meat, che inizialmente collaboreranno ognuna con un ristorante (Upside con il Bar Crenn di San Francisco e Good Meat con il China Chilcano di José Andrés a Washington D.C) nella speranza di commercializzare altre carni coltivate in laboratorio e renderle disponibili nei supermercati e nei ristoranti. La decisione del suddetto dipartimento rende gli Stati Uniti il secondo Paese, dopo Singapore, a legalizzare quella che i fautori chiamano “carne coltivata” o “carne sintetica”, dando una spinta significativa a un settore che solo un decennio fa era pura fantascienza. Oggi viene sviluppata da oltre 150 aziende, per un totale di 896 milioni di dollari (circa 825 milioni di euro) nel solo 2022. Ma cos’è la carne coltivata e perché così tante persone sono interessate a questo prodotto? Come viene fatta la carne coltivata? La produzione di carne coltivata consiste nel “prendere cellule da animali normalmente allevati per produrre carne e usare quelle cellule come ‘starter’ per far crescere la carne al di fuori dell’animale”, spiega David Kaplan, direttore del Centro per l’agricoltura cellulare della Tufts University. Per Claire Bomkamp, scienziata a capo del dipartimento per la carne e i frutti di mare coltivati presso il Good Food Institute, è “la stessa cosa della carne tradizionale, ma “togliendo dal processo produttivo gli animali”. Il primo passo per la creazione di carne coltivata prevede di procurarsi cellule animali, spesso tramite biopsia di un animale – vivo o appena macellato – oppure prelevando delle cellule da un ovulo fecondato. Queste cellule vengono poste in mezzi di coltura per stimolarne la proliferazione; ma se vi state immaginando un gruppo di scienziati chini su delle piastre di Petri, pensate più in grande. Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere Presso la sede di Upside Foods a Emeryville, San Francisco, i dipendenti allestiscono vasche di coltivazione dove viene prodotta la carne coltivata in laboratorio. Quella che era iniziata come una ricerca scientifica in piastre di Petri è diventata un’operazione che ricorda di più la produzione della birra. FOTOGRAFIA DI BRENT STIRTON, GETTY IMAGES FOR NATIONAL GEOGRAPHIC Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere La pietanza a base di pollo raffigurata in foto è prodotta da Upside Foods. A differenza delle carni di origine vegetale, la carne coltivata in laboratorio viene prodotta partendo da vere cellule animali. Quello che alcuni definiscono ‘il cibo del futuro’ è oggetto di accesi dibattiti incentrati su aspetti etici, religiosi e di sostenibilità. FOTOGRAFIA DI BRENT STIRTON, GETTY IMAGES FOR NATIONAL GEOGRAPHIC “Immaginate qualcosa di simile alla produzione della birra”, suggerisce Kaplan, “si tratta di proporzioni molto, molto grandi”. Le cellule usate possono essere cellule staminali (che hanno la capacità di sviluppare quasi tutte le parti di un animale), oppure le cosiddette cellule satellite, che rigenerano e riparano i muscoli. Alcune cellule possono arrivare a riprodursi anche 30-50 volte prima che sia necessaria una nuova biopsia. Ma quello che è considerato il ‘Santo Graal’ – che Kaplan e altri stanno sviluppando – è rappresentato dalle cellule ‘rese immortali’, ovvero cellule che attraverso una manipolazione o una mutazione genetica sono in grado di moltiplicarsi all’infinito senza bisogno di ulteriore tessuto animale fresco. Il risultato, in teoria, è un prodotto che ha l’aspetto, l’odore, il sapore e la consistenza della carne che siamo abituati a consumare, e che è disponibile in modo illimitato. Se l’idea di mangiare carne cresciuta in laboratorio vi lascia perplessi, non preoccupatevi: non siete i soli. “Quando ne ho sentito parlare per la prima volta, ero decisamente scettico”, ammette Bomkamp, “all’epoca lavoravo in un laboratorio di colture cellulari e ho pensato: ‘Nutrirmi di cellule coltivate? No, grazie’. Poi ci ho riflettuto e ho capito che si trattava di qualcosa che poteva avere molti vantaggi”. Il caso della carne coltivata Si stima che a livello globale ogni anno vengano macellati circa 70 miliardi di animali terrestri a scopo alimentare, di cui la stragrande maggioranza è rappresentata dal pollame (sono circa 300 milioni i bovini uccisi ogni anno). L’80% delle scrofe allevate per la produzione di carne suina negli Stati Uniti vivono per tutta la vita in gabbie di gestazione talmente piccole che gli animali non riescono nemmeno a rigirarsi. Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere Uno studente del Centro per l’agricoltura cellulare della Tufts University mostra un grumo di cellule di carne cresciute in laboratorio. FOTOGRAFIA DI ALONSO NICHOLS, TUFTS UNIVERSITY (GENTILE CONCESSIONE) L’impatto ambientale dell’alimentazione di tutti questi animali può essere enorme: il 67% delle colture coltivate ogni anno negli Stati Uniti non serve a nutrire direttamente le persone, ma viene usato per alimentare il bestiame – ettari ed ettari di terreno destinati alla coltivazione di cibo per nutrire ciò di cui ci nutriamo. L’inquinamento agricolo può causare la contaminazione di acque superficiali e freatiche; inoltre, l’agricoltura animale è responsabile del 15% delle emissioni globali di gas a effetto serra. In teoria, la carne coltivata potrebbe risolvere molti di questi problemi, se non tutti; e i sostenitori parlano di ulteriori potenziali vantaggi. Kaplan, ad esempio, sottolinea che, potendo la carne sintetica essere coltivata teoricamente ovunque, verrebbe meno anche l’importazione di cibo da parte dei vari Paesi. Inoltre, “poiché la tecnologia consente un controllo molto maggiore delle componenti e del risultato, si potrebbero avere, ad esempio, cellule di grasso con una composizione di acidi grassi più sana, e si potrebbe ridurre l’uso di antibiotici e altre sostanze chimiche negli alimenti”. Bomkamp aggiunge che il consumo di carne potrebbe diventare molto più vario rispetto a quello attuale: “potremmo mangiare la carne di animali che oggi non sono comuni, in quanto non pratici da allevare”, osserva. Inoltre la carne coltivata potrebbe anche consentire il consumo, ad esempio, di tonno rosso senza impoverire le popolazioni marine. La carne di laboratorio ha dei risvolti negativi? Se tutto questo vi sembra troppo bello per essere vero, c’è chi sostiene che sia proprio così. Marco Springmann, scienziato ambientale dell’Università di Oxford, ha dichiarato a CNBC che la quantità di energia necessaria per il processo di produzione è tale che l’impronta di carbonio della carne coltivata risulta essere cinque volte superiore a quella del pollo. I teologi stanno ancora sviscerando la questione sul fatto che la carne coltivata possa essere veramente halal o kosher. E molti vegani – che potrebbero essere un gruppo determinante di elettori – sollevano obiezioni di tipo etico. Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere L’hamburger tradizionale, prodotto allevando e macellando bovini. La produzione zootecnica, che consiste principalmente nell’allevamento di mucche, è una delle principali fonti di inquinamento del pianeta, per via del metano. Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere Un hamburger prodotto in laboratorio, sulla base di cellule staminali di mucca, coltivate in laboratorio e trasformate poi in una sorta di polpette. Questa nuova scienza sta aprendo la strada alla produzione di veri prodotti a base di carne che non implicano l’allevamento di animali. FOTOGRAFIA DI SIMON DAWSON, BLOOMBERG/GETTY IMAGES Carne coltivata in laboratorio: tutto quello che c’è da sapere Un hamburger vegetale: a differenza della carne di manzo tradizionale e di quella coltivata in laboratorio, la carne a base vegetale non contiene cellule animali, bensì viene realizzata con prodotti vegetali come la soia o i piselli. FOTOGRAFIA DI GRANT CORNETT, NAT GEO IMAGE COLLECTION A livello concreto, si dice che al gusto e all’odore la carne sintetica sia indistinguibile da quella vera, ma ancora non si è riusciti a ricreare la giusta consistenza. La carne allevata in laboratorio è anche costosa. I costi unitari sono attualmente significativamente più alti rispetto all’alternativa tradizionale; secondo un’analisi, la carne di manzo coltivata in laboratorio potrebbe essere otto volte più costosa da produrre, sebbene i costi si siano notevolmente ridotti rispetto al primo hamburger realizzato in laboratorio una decina di anni fa. Kaplan, tuttavia, è relativamente poco preoccupato dal problema dei costi, fiducioso che diminuiranno con lo sviluppo del settore. La sfida pratica più grande al momento, dice, è trovare il modo di realizzare abbastanza prodotti per rifornire le cucine dei ristoranti e le corsie dei negozi di alimentari. “Credo che nessuno si sia mai occupato di applicare questo tipo di tecnologia biologica in queste proporzioni”, afferma l’esperto. “Abbiamo bisogno di nuove soluzioni davvero creative, per raggiungere le quantità necessarie”. Bomkamp crede molto nel potenziale di questo settore appena nato, e pensa che via via che la carne coltivata in laboratorio diventerà comune, sempre più persone saranno portate a provarla. “Forse all’inizio l’idea di mangiare delle ali di pollo sintetiche potrà sembrare strana, e certamente i media la fanno sembrare una cosa strana e legata alla scienza [più che alla gastronomia]”, afferma, “ma alla fine si tratta solo di pollo”. Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.com.
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