Negozi etnici


Qualche giorno fa ho avuto il piacere di ritornare a Lucca, la mia città di origine, da dove sono lontana da troppo tempo.

Abitando mia mamma nel quartiere di Sant’Anna vado spesso a fare le spese nella zona e mi sono recata verso un negozio che ho conosciuto tempo fa, per acquistare (nelle mie intenzioni) un oggetto per la casa.

Mi sono trovata invece davanti ad un ennesimo negozietto etnico dall’incerta aria di bazar.

Riso, semi vari, frutta secca, frutti ed ortaggi esotici, tutti esposti senza confezione né protezione; bottiglie di aceto in plastica, alcoolici e liquori, salse di soia poggiate in terra, spezie sfuse esposte alla polvere e sottoposte al calore.

In più lasciati alla possibile manipolazione dei clienti; il tutto in barba alle più elementari norme di igiene.

In quanto al personale, solo un ragazzino seduto sullo scalino del condomino di fronte e che, secondo noi, avrebbe dovuto essere invece alla scuola dell’obbligo.

Ho dato una occhiata all’interno e credo proprio che mancasse sia la pulizia ordinaria che quella straordinaria, vista la presenza di numerose ragnatele.

E’ vero che anni fa il Comune di Lucca ha impedito l’apertura di nuovi ristoranti etnici e kebab dentro le Mura, ma Lucca è fatta anche della zona “fora” e non solo della zona “drento”, quest’ultima divenuta ormai palcoscenico quasi giornaliero di mega-eventi.

Nei quartieri della Lucca “fora”, dove gli eventi sono invece fatti di quotidianità e forse non ritenuti degni di attenzione da parte dell’Amministrazione, attualmente è sempre più raro trovare negozi tradizionali, sia di alimentari che di generi vari. Qui  si andava giornalmente non solo  a fare la spesa  ma ci si incontrava tra conoscenti, ci si aggiornava sulle notizie relative ai vicini, si veniva a sapere se qualcuno era in difficoltà.

Attraverso questi rapporti tradizionali si sapeva chi nasceva, chi si ammalava, chi moriva, partecipando così attivamente alla vita del territorio e  creando così una catena di rapporti famigliari e umani ormai scomparsi.

Invece di continuare con la pratica della reiterata apertura di commerci caratterizzati dalla mancanza di regole, da orari selvaggi, senza alcun rispetto delle norme, sarebbe il caso di sostenere una politica a favore di tanti negozianti locali, in modo che non siano costretti alla disoccupazione o a mendicare un posto in qualche centro commerciale.

E’ triste pensare che molte realtà locali siano destinate a sparire nel nulla per l’aumento dei costi ed anche per la concorrenza sleale; urge una Legge quadro con regole precise e sanzionate da fare rispettare da tutti gli operatori commerciali, nessuno escluso.

Queste non sono parole indirizzate contro qualcosa o contro qualcuno, ma vogliono essere alcune riflessioni a difesa del nostro territorio e della nostra cultura.

Valentina Vangelisti

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