Il terremoto Vannacci

E se alla fine il «caso Vannacci» non fosse che un’altra, dolorosa riprova del fossato che divide il paese reale dall’Acropoli della cultura e della politica? Se l’irruzione tra i besteseller di Il mondo al contrario costringesse a meditare sulla brutalità con cui idee nobili, etica, filosofia politica possono venire spazzate via dalla prosa manesca di un soldataccio? Arrivati all’undicesimo giorno del cataclisma scatenato dal libro del generale, diventa difficile non confrontarsi con l’impressione che l’indignazione per le sparate di Roberto Vannacci sia rimasta patrimonio di una élite. Isolato politicamente - eccettuate le profferte di Forza Nuova, gli emoticon di Gianni Alemanno e le strizzate d’occhio di Matteo Salvini - il generale marcia spedito verso la trasformazione in icona di un pezzo di paese che della politica si interessa poco o nulla («se ne frega», direbbe forse Vannacci). Il problema è che Vannacci ha scoperchiato l’acqua calda, ha dato forma a quello che era sotto gli occhi di tutti ma veniva confinato nel non detto. C’è chi ha mostrato persino stupore davanti alla scoperta che nelle forze armate, e in particolare nei reparti speciali, albergano ideologie estreme. Eppure ai tempi della guerra in Iraq nella base italiana di Nassirya si avvicendavano giornalisti di tutte le grandi testate e nessuno trovò bizzarro che sulla caserma del Col Moschin (già comandato proprio da Vannacci) sventolassero le bandiere col teschio della Decima Mas. Certo, ha ragione l’ex colonnello Gianfranco Paglia a dire che nella Folgore c’è anche gente di sinistra. Ma il Dna è un altro e lo sapevano tutti. Un nobile mix di senso civico e di ipocrisia teneva nascosta la realtà: non solo dell’anima fascista (per dirla semplicemente) di un pezzo di forze armate, ma anche della diffusione carsica, sotterranea, in ampi pezzi della società di umori che si vorrebbero circoscritti a quelli che si esaltano facendo il saluto romano. Insomma, nel caso Vannacci, a stupire dovrebbe essere lo stupore. Anche perchè essendoci in Italia più o meno duemila generali, per la legge dei grandi numeri era quasi scontato che uno di loro prima o poi uscisse dai binari. Eppure quando l’inevitabile è accaduto ha colto il sistema impreparato. Il ministro Crosetto è partito bene, ma tutto quanto accaduto dopo non ha spostato l’asse del caso, ovvero la contiguità tra sparate del generale e umori di popolo. Ieri sulla Stampa Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, definisce «devastante» il messaggio trasmesso dalla faccenda, ma alla fine sembra rimproverare a Vannacci più il metodo della sostanza, come se alla fine si parlasse di bon ton istituzionale. Quando gli chiedono della replica brusca di Vannacci al presidente Mattarella risponde «Non è proibito, certo. Non c’è nessuna legge che lo vieta. Non è un reato. Ma semplicemente non si fa». Vannacci è pronto a spiegare le sue ragioni al ministro Crosetto? «Un militare, se vuole avere la possibilità di parlare con la catena gerarchica, fa la sua richiesta di essere messo a rapporto». E via di questo passo. La sostanza, la sintonia tra Vannacci e pezzi di paese profondo, il libro che scavalca la Murgia, scivola via. Idem per Fabrizio Cicchitto, che su Repubblica si avventura in un retroscena da brividi, dietro Vannacci ci sarebbe nientemeno che la lunga mano di Vladimir Putin, «l’obiettivo è piazzare elementi contrari all’ortodossia atlantica nel prossimo europarlamento». Vero, falso, chissà. Ma intanto si svicola dal contenuto, si aggira l’ostacolo. In Francia avevano provato a liquidare nello stesso modo le intemperanze di Michel Houellebecq, ma l’operazione non era riuscita benissimo. L’altra sera a Ceglie Messapica, all’evento di Affaritaliani, anche il leader di Forza Italia Antonio Tajani fa appello alle regole, ai doveri di un militare «mio padre era un ufficiale e io non ho mai saputo per chi votava, diceva che era solo al servizio della Repubblica e non era suo compito esprimere idee politiche». Verissimo. Ma ormai l’affare Vannacci ha mollato gli ormeggi, viaggia nel mare aperto del consenso dell’uomo qualunque, che del rispetto delle regole - come è noto - non si è mai preoccupato molto. il giornale
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