L’emergenza climatica non esiste. Parola di 1500 scienziati.
Emergenza climatica?
Conversazione con il prof. Alberto Prestininzi, ordinario all’università La Sapienza di Roma di Geologia Applicata e Rischi Geologici, sul manifesto “There is no climate emergency”
L’emergenza climatica non esiste.
Questo è il titolo del manifesto firmato da più di 1500 scienziati provenienti da diverse nazioni che provano a contrastare, con studi scientifici, la teoria delle responsabilità umane sul cambiamento climatico.
Gli scienziati non negano che il clima viva dei mutamenti, è così da sempre, ma escludono la relazione tra le attività antropiche e l’insorgenza di manifestazioni climatiche estreme.
Al contrario sostengono che “la scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche climatiche dovrebbero essere più scientifiche”.
Ne abbiamo parlato con uno dei firmatari, il prof. Alberto Prestininzi, ordinario all’università La Sapienza di Roma di Geologia Applicata e Rischi Geologici, già fondatore del Centro di Ricerca CERI “Previsione Prevenzione e Controllo dei Rischi Geologici” della Sapienza”.
Perché avete sentito l’esigenza di firmare un appello che afferma che non c’è un’emergenza climatica?
Perché i dati analizzati mostrano che “non c’è un’emergenza climatica”, ovviamente. Coloro che ritengono che ci sia questa emergenza ci portino dei dati e delle proiezioni sulla base di modelli predittivi che siano nella condizione di simulare i fenomeni passati, in questo caso il fenomeno del riscaldamento globale dovuto all’emissione di gas serra e, in particolare, della CO2. Questi modelli affermano che se si continua a emettere CO2 al ritmo attuale si arriverà a una situazione insostenibile e pericolosa per il pianeta. Tutto questo non è sostenuto da alcuna prova scientifica.
Perché?
Perché un modello tenta di ricostruire un fenomeno sulla base dei dati reali tratti dal passato. Noi abbiamo a disposizione tutta la storia della terra che ci dice come si è evoluto il clima in passato. Per tutte le variazioni passate disponiamo dei valori della CO2 presente in atmosfera, oltre ai valori della temperatura. Una volta che si costruisce un modello questo deve essere in grado di simulare ciò che è avvenuto in passato, se riesce a fare questo, allora possiamo utilizzare tale modello per cercare di fare delle previsioni future. Ma i vari modelli presentati non sono assolutamente in condizione di simulare ciò che è avvenuto nel passato.
Quindi come possiamo pensare di utilizzarli per il futuro?
La cosa grave è che l’Europa, e molti paesi occidentali, stanno assumendo importanti decisioni di carattere sociale ed economico che stanno rischiano di provocare gravissime crisi. Se tutto questo fosse circoscritto al mondo della ricerca, cosa legittima, cercando di studiare e capire cosa accade realmente a seguito delle immissioni di gas serra in atmosfera, nessuno potrebbe fare obiezioni. Ma la sfida scientifica ormai è stata sottratta all’Accademia, se ne discute solo nei talk show, ne parlano persone che non hanno contezza della questione scientifica; quindi, è diventata un argomento gestito esclusivamente dal sistema della comunicazione e dalla politica.
Infatti, lo slogan numero uno della vostra dichiarazione sulla non esistenza dell’emergenza climatica chiede meno politica e più scienza.
Con l’appello alla depoliticizzazione della scienza a cosa vi riferite?
La nostra preoccupazione deriva dal comportamento dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) un’organizzazione intergovernativa affidata all’ONU, pertanto finanziata da tutti i governi che hanno aderito a questa iniziativa.
L’IPCC emana dei Report periodici che sostengono la necessità di assumere decisioni economiche di grande importanza per salvare il pianeta. Lo fanno dal 1989 fornendo scadenze precise che terrorizzano le popolazioni “abbiamo dieci anni per salvare il pianeta”. Passati i dieci la giostra ricomincia con nuove minacce e nuove scadenze. Tutto ciò che hanno previsto non è avvenuto. Tutti i dati che abbiamo ci dicono infatti che il pianeta non è mai stato bene come adesso. La massa vegetale del pianeta, negli ultimi 20 anni, è aumentata del 30%. A me sembra che vi sia una volontà di confondere le acque anche utilizzando argomenti truffaldini, come quello di confondere il clima con l’inquinamento.
Nella dichiarazione scrivete che il clima non ha nulla a che fare con l’inquinamento.
Certo, se noi continuiamo a sversare plastica gli oceani, o inquiniamo il suolo o le sorgenti d’acqua facciamo una operazione sbagliata e miniamo la salute dell’uomo, ma non produciamo effetti sul clima.
L’inquinamento riguarda le sostanze introdotte dall’uomo e che fanno male all’uomo stesso. Il livello di inquinamento, infatti, lo misuriamo rilevando i livelli di tolleranza di certe sostanze sull’uomo, non ci preoccupandoci degli effetti sugli altri esseri viventi: l’inquinamento è antropocentrico. Ovviamente ci dobbiamo preoccuparci della nostra salute e, per questo, disponiamo di conoscenze e tecnologie capaci di combattere l’inquinamento. Ma questo non sembra essere la preoccupazione principale dell’IPCC. Il loro chiodo fisso è il clima. Il clima è un’altra cosa.
Molte persone, soprattutto i più giovani, scendono in piazza a manifestare per la tutela dell’ambiente, del clima e per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’emergenza climatica.
Lo so, ed è per questo che va chiarito questo equivoco, perché i ragazzi che manifestano per il clima, manifestano anche per l’eccesso di uso di plastica, per i rifiuti che noi non riusciamo a gestire in maniera corretta. Tutte questioni che con il clima non hanno nulla a che fare. Il clima dipende da altri fattori planetari e astrofisici, dal sole ecc. Da cose che nulla hanno a che vedere con la presenza di sostanze tossiche. Io credo che la stragrande maggioranza di questi giovani non abbia livelli di conoscenza sufficienti per affrontare questo tema, ma certamente loro sono in buona fede.
Nel manifesto scrivete anche che l’aumento della CO2 è un fattore vantaggioso.
Certo, la CO2 è il cibo delle piante, è il gas della vita. La vita sulla terra è nata 3,5 miliardi di anni fa da quando le Stromatoliti, prime forme di vita apparse sul pianeta formate da strutture bioricostruite che hanno la capacità di attivare i processi di fortosintesi. Ogni essere umano emette, respirando, un chilogrammo di CO2 al giorno. Con questo processo di respirazione riusciamo a svolgere i principali processi di sintesi degli zuccheri. Quindi la CO2 è fondamentale per la vita sulla terra. Invece nelle scuole rischiamo di trasferire false notizie, incutendo terrore per la presenza della CO2.
Eppure, l’accordo di Parigi impegna a ridurre le emissioni di gas serra dei paesi UE di almeno il 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Ecco, anche se noiosi facciamo quattro calcoli aritmetici semplici a favore di chi sente la necessità di capire. I 27 paesi europei nel 1990 contribuivano all’8% delle emissioni globali (l’Italia 0,8%). L’Europa, infatti, nel 2021 ha prodotto 2,73 Gt rispetto al totale (2,73/33,9 = l’8%). Ossia lo 0,09% del contenuto in atmosfera che è pari a 3000 Gt (2,73/3000=0,09%). È accettato da tutti che della concentrazione atmosferica di 420 ppm (parti per milione) di CO2, l’uomo è responsabile della quota di 120 ppm.
Ridurre del 40% di 2,73 Gt come ci indica l’Europa (2.73 0,4)=1,09 Gt. Questa riduzione inciderebbe a livello globale per lo 0,036% (1,09/3000) (egualmente se calcolato con il 40% di 0,09% = 0,036%). Se volessimo esprimere l’incidenza sulle quantità apportate dall’uomo, lo 0,036% di 120 ppm è 0,043 ppm = 43 ppb. (parti per miliardo) (43 ppb in 15 anni sono 3 ppb all’anno). Questa parte non è misurabile. Gli strumenti più sofistici hanno una sensibilità di circa 1 ppm. A fronte di questa inutile operazione l’Europa fa pagare ai cittadini della Comunità, sotto diverse forme, mille miliardi l’anno.
Da queste considerazioni deriva la necessità del manifesto “There is no climate emergency”?
Esatto. Ecco perché 1500 scienziati, persone che hanno studiato il clima hanno firmato ila dichiarazione There is No Climate Emergency dicendo che l’emergenza climatica non esiste. Pensi che ci sono alcuni scienziati, come R. Lindzen che inizialmente facevano parte dell’IPCC, sono scappati via quando hanno verificato com’funziona l’IPCC, che è gestita da economisti. Gli scienziati sono chiamati a fornire i dati, ma i report finali sono sintetizzati dagli economisti e dai rappresentanti politici dei diversi paesi, i quali non appartengono certamente al mondo della scienza. Ci sono tantissimi grandi ambientalisti che hanno abbandonato questa strada, come Patrick Moore di Greenpeace, ed è andato via da questa organizzazione o Michael Shellenberger, premiato ambientalista, che ha dichiarato: A nome degli ambientalisti, chiedo scusa per l’allarmismo sul clima.
Che risposta ha avuto l’appello-manifesto che anche lei ha firmato?
Molto buona, il numero di scienziati aderenti sta aumentando in maniera incredibile, adesso siamo quasi a oltre 1600 adesioni. L’attenzione è alta, lo vedo quando partecipo alle tante manifestazioni o seminari, c’è sempre tanta gente che, in buonafede riteneva che il futuro del pianeta sia a rischio, riesce a comprendere il meccanismo prodotto dalla narrazione diffusa.
Chi è in malafede invece?
Coloro che sono i promotori. Soprattutto il mondo della finanza. Se guardiamo la borsa mondiale, le contrattazioni sul mercato a termine dei prodotti future sono lo specchio di queste politiche. Il risultato complessivo è l’aumento dei poveri e dell’altro il grande accumulo di risorse da parte di gruppi finanziari mondiali. Nel libro da me curato “Dialoghi sul clima. Tra emergenza e conoscenza” (Rubbettino editore), al quale hanno collaborato 16 scienziati italiani. Tra questi c’è il contributo di Mario Giaccio, ex Preside della Facoltà di Economia di Pescara, lì ci sono riportati con dettaglio gli aspetti finanziari che governano questo fenomeno.
Che ruolo ha avuto l’informazione rispetto ai temi dell’emergenza climatica?
Tutto questo è stato veicolato con e attraverso l’informazione. Oggi se io mi mettessi col megafono a esporre le mie idee, giuste o sbagliate che siano, posso raggiungere mille persone al giorno, se mi do da fare. Lei pensi che tutti i telegiornali aprono sempre con queste notizie. E non c’è giorno in cui tutto ciò che accade non viene addebitato al cambiamento climatico. La siccità, l’eccesso d’acqua, le alluvioni sono sempre attribuite al cambiamento climatico. Il clima è sempre cambiato e l’aumento di temperatura che noi registriamo oggi, di un grado circa negli ultimi centocinquanta anni, è naturale ed è connesso alla “coda” dell’ultima piccola era glaciale 1500-1700, durante a quale c’è stato un abbassamento di temperatura che d’inverno faceva ghiacciare il Tamigi e la laguna di Venezia. Da quel momento in poi la temperatura ha iniziato crescere. Noi siamo in questa coda, con piccole oscillazioni, perché nel 1970 la temperatura è diminuita, tra il 2000 al 2015 è rimasta costante. Queste piccole oscillazioni caratterizzano questa coda. Ma nulla hanno a che vedere le alluvioni. Qui entriamo nel campo che io ho studiato, ho insegnato rischi geologici per tutta la vita e ho fatto specifiche ricerche sul tema Rischi, finalizzato alla prevenzione, Con centinaia di pubblicazioni ho dimostrato che le emergenze dovute alle frane o inondazioni, oltre che per i terremoti, accadono perché nel nostro paese non c’è prevenzione.
Anche l’alluvione in Emilia-Romagna deriva da una mancata prevenzione?
Certo. La verità è che l’acqua in eccesso che caratterizza le condizioni meteorologiche del nostro paese noi non riusciamo a regolarla, perché le inondazioni fanno parte del rischio idraulico e noi abbiamo le conoscenze per tenerlo sotto controllo.
E come si deve fare?
Attraverso procedure che si conoscono, che la scienza mette a disposizione, per esempio, quando noi abbiamo le piene dobbiamo fare in modo che ci sia la possibilità di catturare l’eccesso di acqua con i bacini di tenuta (dighe) e laminare le piene, fare in modo che l’acqua non superi certe portate nei corsi d’acqua i fiumi esondano. E tra l’altro esondano perché noi abbiamo rubato parte del loro letto naturale per via della necessaria espansione urbana. Le immagini dell’Emilia-Romagna alluvionata parlano chiaro: era una palude ora antropizzata. Aggiungo che se noi raccogliessimo l’acqua nelle dighe, potremmo evitare le piene, creare energia idroelettrica e, soprattutto, in estate, quando da noi c’è scarsità di pioggia, disporre di quantitativi d’acqua infiniti. L’Italia è il paese più piovoso d’Europa, per conviverci dobbiamo solo mettere in atto questi accorgimenti che la conoscenza ha fornito in maniera molto precisa. Il nostro paese ha vissuto trent’anni virtuosi, in cui queste cose sono fatte dalla Commissione De Marche in poi. In un recente articolo ho chiamato questa moderna incuria “analfabetismo di ritorno”. Nei talk show, quando accadono queste cose, di tutto si parla meno che di prevenzione. E se qualcuno utilizza questo termine lo usa in maniera impropria.
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