La Strage di Ustica non ha più misteri..
RaiNews.it
ANSA / Max Cavallari
Il 27 giugno 1980 un Dc9 passeggeri si trovò in mezzo a un'azione di guerra nei cieli sopra il basso Mar Tirreno e per questo precipitò: perché ormai si può esserne certi
Giuseppe Asta
“Guarda, cos’è?”. Sono le 20.59 del 27 giugno 1980, 42 anni fa, e a pronunciare queste parole è uno dei due piloti di un Dc9 di una compagnia aerea che non esiste più, l’Itavia. Il volo è il numero IH870, decollato meno di un’ora prima da Bologna e diretto a Palermo. A ripulire l’audio della scatola nera per distinguere queste parole è stata RaiNews24, in un’inchiesta di due anni fa a firma Pino Finocchiaro.
“Guarda cos’è?”. Pochi istanti dopo, il Dc9 precipita in mare, al largo dell’isola di Ustica. Muoiono tutti, equipaggio e i passeggeri, 81 persone. I resti del velivolo saranno recuperati solo otto anni dopo, oggi sono esposti in un museo a Bologna. Tre settimane più tardi, sulla Sila, altopiano dell’appennino calabro, vengono ritrovati i resti di un aereo militare libico, un Mig 23.
Il pomeriggio seguente alla redazione romana del Corriere della Sera arriva una telefonata da qualcuno che si accredita come componente dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), una delle principali organizzazioni neofasciste attive ai tempi in Italia. Dice che sull’aereo c’era un loro camerata, portava con sé un’ordigno, è esploso per sbaglio. Tutto falso, come sarà dimostrato. È il primo depistaggio.
In parallelo iniziano le indagini della magistratura e quelle di una commissione d’inchiesta del ministero dei Trasporti. Nella relazione di quest’ultima, il 16 marzo 1982, conclude che non è possibile stabilire se sia stato un missile o una bomba. Esclude al contempo l'ipotesi del cedimento strutturale, troppo tardi per l'incolpevole compagnia Itavia, che pochi mesi dopo l'incidente era fallita travolta dallo scandalo.
Il 6 maggio 1988 arriva una telefonata anonima, in diretta, alla trasmissione di Rai3 Telefono giallo, condotta da Corrado Augias. Poco prima in trasmissione si era parlato di un buco di alcuni minuti nelle tracce della stazione radar di Marsala. L’uomo al telefono si qualifica come “aviere in servizio a Marsala la sera dell'evento della sciagura del DC-9” e di quei tracciati dice: “Noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo, il maresciallo responsabile del servizio ci disse praticamente di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella vicenda. La verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti”
Intanto il recupero del relitto porta alla luce evidenze tali da rendere impossibile che sia trattato di una bomba: molti oblo sono integri, con un’esplosione dall’interno sarebbero dovuti andare tutti in frantumi. Il wc e la stiva, i due luoghi dove secondo le tesi avanzate dall’Aeronautica Militare Italiana e da diversi uomini di Stato sarebbe stato piazzato l’ordigno, non presentano segni compatibili con un’esplosione dall’interno. A queste evidenze si aggiunge il fatto che l’aereo decollò con quasi due ore di ritardo, e per un ipotetico attentatore sarebbe stato quantomeno complicato tenere conto di ciò programmando un timer.
Ciò nonostante la tesi della bomba sopravvive a lungo: nel 1994 a sostenerla è un collegio internazionale di esperti incaricato dal giudice istruttore Rosario Priore. Gli sviluppi dell’inchiesta romana andranno però in direzione di uno scenario diverso, evidenziando nel 1997 la presenza di aerei militari quella sera nei cieli sopra Ustica.
A settembre 2000 vanno a processo quattro generali dell’Aeronautica accusati di ''concorso in alto tradimento mediante attentato continuato contro gli organi costituzionali'' in relazione ai depistaggi delle indagini: sette anni e tre gradi di giudizio dopo i generali saranno tutti assolti e le altre posizioni prescritte.
Nel 2008 i familiari delle vittime citano in sede civile i ministeri della Difesa e dei Trasporti per le “omissioni e negligenze” che avrebbero ostacolato la ricostruzione giudiziaria dei fatti.
Lo stesso anno l’ex capo dello Stato Francesco Cossiga, che all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio dei ministri, in diverse dichiarazioni a organi di stampa afferma che “Giuliano Amato, allora sottosegretario, mi disse che erano stati 2008 i francesi ad abbattere l'aereo di Ustica”: i due verranno sentiti dalla Procura di Roma, che deciderà di riaprire l’inchiesta. Non è chiaro cosa abbia spinto Cossiga a cambiare versione, dopo anni passati a parlare di “cedimento strutturale” e “normale incidente aereo”. Due anni dopo sarà ancora più specifico, intervistato dagli autori del film inchiesta Sopra e sotto il tavolo, e parlerà esplicitamente di “un aereo francese” che “si era messo sotto il Dc9, per non essere intercettato dal radar” di un “aereo libico che stava trasportando Gheddafi”, l'uomo che detenne in potere in Libia dal 1969 al 2011, "a un certo punto lancia un missile per sbaglio, volendo colpire l’aereo del presidente libico”.
Il 12 settembre 2011 termina il processo civile contro i ministeri della Difesa e dei Trasporti, con la condanna, confermata negli anni successivi dalla Cassazione, a risarcire oltre 100 milioni ai parenti delle vittime. Nelle motivazioni i giudici accreditano con fermezza la ricostruzione per cui quella sera sopra il Tirreno ci fosse un’azione di guerra, che coinvolgeva tre diversi veicoli militari: ''Tutti gli elementi considerati - scrive la giudice Paola Proto Pisani - consentono di ritenere provato che l'incidente si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell'esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l'aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l'aereo nascosto ed il Dc9''.
Il 20 aprile 2014 l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncia l’avvio della desecretazione dei documenti in possesso dello Stato sulle stragi, Ustica compresa.
Il 20 dicembre 2017 il Corriere della Sera e la trasmissione di La7 Atlantide riportano la testimonianza di Brian Sandlin, che all’epoca dei fatti era marinaio sulla portaerai americana Saratoga: quella sera, afferma, assistette dalla plancia della nave ancorata vicino al Golfo di Napoli, al rientro di due caccia Phantom disarmati, scarichi. Sarebbero serviti ad abbattere altrettanti Mig libici (come quello ritrovato in rottami sulla Sila) in volo proprio lungo la traiettoria aerea del Dc-9. "Quella sera - racconta l'ex marinaio - ci hanno detto che avevamo abbattuto due Mig libici. Era quella la ragione per cui siamo salpati: mettere alla prova la Libia”
Le indagini aperte nel 2008 non sono mai state chiuse. Un anno fa, e poi nuovamente venerdì scorso, Daria Bonfietti, presidente dell'associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, ha fatto appello alla magistratura perché pervenga in fretta alle conclusioni, che permetterebbero di rendere pubbliche le risposte alle rogatorie internazionali avanzate nei confronti di Stati Uniti e Francia, stati che sarebbero informati sui movimenti degli aerei militari quella sera sopra Ustica.
Oggi, stando a quanto affermato nei giorni scorsi sempre da Bonfietti, la desecretazione dei documenti è stata completata: “Si può definitivamente affermare che non vi sono carte segrete su Ustica, tutto è depositato secondo le direttive date, e si possono spazzare via tutte le falsità, gli evidenti depistaggi, le false piste con le quali si è voluto nascondere soprattutto agli occhi dell'opinione pubblica la verità imbastendo campagne di pura disinformazione".
“Guarda, cos’è?”. Era un missile o un aereo da guerra, 42 anni dopo i fatti la storiografia non ha più dubbi, nonostante alcuni militari e uomini politici restino attaccati alla tesi della bomba, sconfessata in più sedi. La giustizia italiana è riuscita a metterlo nero su bianco solo in una sentenza civile, passata in giudicato. Chissà se si potrà mai assistere a un processo penale.
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