Dopo la morte di Barbara Capovani per la psichiatria un nulla di fatto
QS Edizioni - mercoledì 24 maggio 2023
Dopo la morte di Barbara Capovani per la psichiatria un nulla di fatto
di Andrea Angelozzi
ora che l’onda emotiva per la tragica morte di Barbara Capovani si è attenuata, come ampiamente previsto, non è successo nulla. Il Ministro ha nominato un comitato ristretto che ha prodotto una serie di gruppi che lavoreranno su vari temi. Con le migliori intenzioni e la competenza dei componenti del Tavolo non si può non rilevare che la sua composizione è già comunque la traduzione impoverente del concetto di salute mentale in quello di psichiatria e che i lavori si sono inoltrati nei vicoli dei tempi infiniti per qualunque provvedimento.
In salute mentale, da tempo immemore ogni governo crea tavoli che producono sottotavoli per riesaminare sempre gli stessi problemi, come se i servizi fossero stati creati ieri e non si sapessero da anni quali sono i problemi esistenti e quali le correzioni minimali per lavorare dignitosamente.
Ma ormai è uno stile consueto questa creazione di gruppi di lavoro che danno la illusione di una partecipazione alle decisioni e che in realtà produrranno dopo lungo tempo solo preziosi documenti a cui non seguirà nulla. È un eterno “ci stiamo lavorando” che rischia di essere l’alibi per non cambiare alcunché.
Nel frattempo il tetto alla spesa per il personale permane, Ministero o Regioni non hanno indicato alcun provvedimento relativo alle risorse, e nessuna idea su come affrontare il curioso problema per cui in Italia ci sono tanti modelli di salute mentale con relative organizzazioni e risorse quante sono le Regioni, e che, in ogni Regione, anche ogni ASL è un submodello a parte. La Legge 180/78, che continuiamo a difendere, si è in realtà declinata in un universo di frattali, che continuano a svilupparsi autonomi nella frammentazione, con buona pace dei destini delle persone.
Anche la ipotesi di rivedere il problema della responsabilità relativa alla posizione di garanzia per cui alla fine è lo psichiatra ad essere imputato per il reato commesso dal suo paziente, è stata rapidamente accantonata. Nessuno, a parte Euro Pozzi in una recente lettera a European Journal of Psychoanalysis, ha accennato al problema in merito che la vicenda Capovani solleva.
Anni or sono l’omicidio di un educatore da parte di un paziente, a fronte della non imputabilità dell’omicida, portò alla condanna per “omicidio” del medico che lo aveva visto in consulenza, in virtù della posizione di garanzia. Nella vicenda di Pisa una psichiatra viene uccisa da un paziente, riproponendo quindi una situazione simile, ma ponendo un problema che svela la fragilità del dispositivo giuridico. In questo caso, in cui chi detiene la posizione di garanzia è anche la vittima del proprio paziente, si crea la surreale situazione per cui in fondo la rigorosa applicazione ex art 40 c.p. dovrebbe fare ipotizzare il reato a carico della curante, dando forma alla nuova improbabile fattispecie dell’“omicidio colposo di sé stessi”, e risparmiando alla tragedia la aggiunta della beffa solo perché non si può ulteriormente procedere. C’è al fondo un aspetto surreale in come si declina la posizione di garanzia, attenuato solo dal dolore delle vicende, ma sembra che nessuno lo noti.
Così come è surreale l’agenda dei politici, in grado si suggerire nuove strade alla geometria e alla matematica. Creando infatti nuove geometrie non euclidee e matematiche dove l’uno è molti, i politici assicurano che la questione della salute mentale è in cima alla loro agenda … come la salute pubblica, la fragilità del territorio, la inflazione, la emergenza climatica, l’autonomia differenziata … e tutte le altre questioni che si danno il cambio nel fare notizia per qualche giorno. È una agenda monodimensionale, fatta solo di numerosi argomenti che ne occupano contemporaneamente il primo posto, ma che subiscono anche il rapido turnover che insegue gli umori della opinione pubblica. Quale rassicurazione possiamo avere da questo approccio originale alle priorità?
E gli psichiatri? Assistono, lamentandosi un po’, sperando che qualcosa accada e cercando - a volte purtroppo in senso letterale - di sopravvivere, in una quotidianità sempre più povera di risorse, di prospettive e di soddisfazione. Mi perdonino i Colleghi ma non posso non pensare a certi pazienti cronici prodotti dalla istituzione, che alla fine non aveva più le energie per mettere in discussione in maniera reale né l’istituzione né la propria condizione, cercando quindi un altro orizzonte, ma si accontentavano di rassicurazioni minime e di avere le sigarette.
Credo che se il buon Diogene di Sinope girasse a giorno d’oggi vagherebbe con la lanterna cercando la psichiatria.
Andrea Angelozzi
Psichiatra
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