Quegli episodi di follia e violenza
Quegli episodi di follia e violenza "La risposta è la cura, non il carcere"
9 mag 2023
Quegli episodi di follia e violenza "La risposta è la cura, non il carcere"
Il procuratore capo Manzione interviene nel dibattito sull’omicidio Capovani e gli ultimi fatti di cronaca "La detenzione è impensabile e non si può affidare il percorso terapeutico alla mera volontà del paziente".
Quegli episodi di follia e violenza "La risposta è la cura, non il carcere"
Quegli episodi di follia e violenza "La risposta è la cura, non il carcere"
Tre aggressioni, di cui uno purtroppo mortale, nel giro di poco più di due settimane, con protagonisti soggetti con conclamati problemi psichiatrici. Tre quelli che hanno interessato la nostra provincia. Dall’omicidio della dottoressa Barbara Capovani, del 21 aprile, per il quale è accusato Gianluca Paul Seung, 35enne di Torre del Lago; all’aggressione in Psichiatria del San Luca del 30 aprile, da parte di due pazienti ai danni di un infermiere. Fino a sabato scorso, quando un 32enne ha picchiato selvaggiamente la madre, in casa a Pietrasanta. Una casistica che preoccupa il procuratore capo di Lucca, Domenico Manzione, a tal punto da intervenire in prima persona sul dibattito, che queste vicende hanno stimolato, sul sistema di cura e gestione.
"Sono preoccupanti perché attestano un sistema che si rivela sicuramente inefficace. Ci dicono che è arrivato il momento di cambiare registro. In questi tempi in cui il disagio è evidentemente cambiato, ha manifestazioni più aggressive, è necessario che la politica italiana - e qui lancio un appello al ministro - metta mano al sistema".
Cosa si dovrebbe fare secondo lei?
"Intanto si dovrebbe partire da due punti fondamentali. In primis dovrebbe essere chiaro a tutti, quindi a sindaci, amministratori e agli esperti, o presunti tali, che il carcere non è la risposta a problemi di disagio sociale o di malattia. Ci vuole consapevolezza su questo. Appurato ciò, il percorso extra giudiziario deve avere la sua efficacia".
I tre episodi citati dimostrano che non è così.
"In questo momento, per debolezza ontologica delle strutture non può esserlo".
In questi giorni si è parlato tanto di Rems e, anche qui, della poca disponibilità di posti.
"Le Rems, che sono la misura di sicurezza per antonomasia, sono strutture altrettanto deboli quanto quelle del servizio sanitario nazionale. E credo la situazione sia stata aggravata da una tendenza a spostare sul versante psichiatrico anche situazioni di disagio minore. Nelle Rems c’è gente che non ci dovrebbe stare. Sia sulle strutture sanitarie che su quelle più giudiziarie, nessuno si è fatto carico di valutare non solo l’insufficienza che già c’è, ma anche quella che poteva derivare dall’aggravamento dei compiti. Non solo, c’è un altro elemento. Le Rems non prevedono nessuna possibilità di contenimento per i soggetti che, oltre ad essere malati, manifestano qualche forma di pericolosità. Affermare “se opportunatamente seguito non è pericoloso“ non ha molto senso se è il soggetto stesso a decidere se essere seguito o meno".
Cosa ci sta dicendo?
"Ripeto, è impensabile che il carcere diventi lo strumento con cui si isola il disagio sociale, o addirittura sanitario. Per questo motivo non si può tornare agli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma, siccome la malattia può avere risvolti sotto il profilo della personalità e alcuni soggetti possono essere un rischio per loro stessi e per gli altri, non ci si può affidare alla volontarietà delle cure. Ma alla possibilità di avere un contenimento nel momento in cui emerge una situazione di pericolo. Fare in modo che la volontà di cura non sia affidata alla mera volontarietà del paziente".
Teresa Scarcella
La Nazione
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