Emergenza infermieri e concorsi deserti: le possibili strade
Emergenza infermieri e concorsi deserti: le possibili strade per uscire dalla crisi dei fabbisogni
di Stefano Simonetti
S 24 ore
È un fatto di dominio comune che nel Servizio sanitario nazionale vi si una cronica e perdurante carenza di personale, soprattutto di quello afferente alle professioni sanitarie. È altrettanto noto che questa carenza non riguarda soltanto il personale in servizio e il mancato ripristino del turn over ma spesso si evidenzia nella circostanza oggettiva di concorsi che vanno del tutto deserti o che non riescono a coprire interamente i posti previsti nel bando. Tuttavia – al netto di alcune sicure certezze dimostrate dai fatti – non sempre le situazioni sono così lineari e semplici e si evidenziano, a volte, dei veri e propri misteri inspiegabili. Nei giorni scorsi sulla stampa locale è stata data ampia e rilevante notizia di un concorso bandito in Friuli Venezia ed espletato dalla Arcs di quella Regione per l’assunzione di ben 639 infermieri necessari per sette aziende ed enti sanitari regionali. Hanno inoltrato domanda 966 candidati e alla prova scritta si sono presentati in 506 (già quindi in numero insufficiente). Di questi 311 non hanno ottenuto l’ammissione alla prova pratica successiva e, ancora, all’orale sono risultati presenti solo in 124, più o meno un quarto dei candidati iniziali.
Il fatto di cronaca sopra riportato non può non far pensare alla contemporanea notizia, ripresa anche dai Tg nazionali, riguardo a un concorso per 500 posti di magistrato ordinario bandito il 1° dicembre 2021 e attualmente in fase di espletamento. Ebbene, alla data del 1° marzo 2023 la commissione ha esaminato 1.580 buste (ogni busta contiene i tre elaborati) e, dopo la correzione, risultano idonei soltanto 294 candidati. I candidati che hanno consegnato gli elaborati sono 3.606 per cui la tendenza percentuale dei bocciati è circa dell'81%. Con questo ritmo, alla fine ci saranno più o meno 700 candidati che potranno accedere alla prova orale su 11 materie e si può plausibilmente ritenere che – nonostante la diffusa carenza di magistrati - non saranno coperti tutti i 500 posti messi a concorso; nel precedente concorso era stato bocciato il 95% dei candidati.
Cosa si può ricavare da queste due vicende? Sicuramente che in questo Paese il mercato del lavoro è completamente schizofrenico. Migliaia di ragazzi non vogliono più fare lavori "umili" e sottopagati, gli imprenditori lamentano la mancanza di mezzo milione di lavoratori di basso profilo, ma i concorsi per laureati vanno deserti o quasi e alla fine ci sono, secondo l’Istat, cinque milioni di disoccupati. La situazione è, a dir poco, irreale. Certamente l’incontro della domanda e dell’offerta di lavoro non riesce da troppi anni a trovare la propria quadratura e non sembra davvero che si profilino speranze concrete che qualcosa possa cambiare nel breve periodo.
Riguardo al caso segnalato all’inizio, si possono ipotizzare due spiegazioni. La prima è che il livello dei laureati in infermieristica è molto basso, ipotesi a valenza generale apparentemente confermata dalla qualità delle prove scritte per la magistratura. La seconda che la commissione esaminatrice sia stata troppo severa o che i contenuti delle prove fossero esageratamente complessi. In tutti i casi, si rileva una evidente patologia nel reclutamento perché alla fine – qualunque possa essere la motivazione dell’accaduto – le aziende sanitarie friulane rimangono senza gli infermieri necessari e, contemporaneamente, molti ragazzi sono tuttora disoccupati. Senza dubbio da tempo si riscontra un crollo della attrattività del sistema pubblico per le professioni sanitarie mentre tanti – anche già in servizio da anni – sono attirati dal privato, e già questa considerazione ha dell’assurdo.
È fuori discussione che la programmazione dei fabbisogni sia fallita miseramente. Si potrebbe approfondire nelle giuste sedi anche il livello di preparazione che ottengono i laureati. Ma c’è un dato sconcertante: nella Sanità pubblica, da una parte i concorsi vanno deserti o non forniscono vincitori sufficienti e, dall’altra, si continua imperterriti a espletare le procedure di reclutamento seguendo le regole di due decreti vecchi e superati (quello per la dirigenza è di 26 anni fa e quello per il comparto di 22) che erano obsoleti già quando entrarono in vigore. In particolare, nei confronti degli infermieri, si è visto di tutto, passando, neanche troppi anni fa, da concorsi di proporzioni bibliche - basti pensare ai tanti concorsi con 15.000 domande – all’odierna desertificazione. Credo che il nocciolo del problema sia il concetto stesso di concorso fondato su tre prove (scritta, pratica e orale) che non regge più rispetto alle congiunture odierne. Se si pensa davvero che per assumere un infermiere possano servire domande a risposta multipla tipo "La definizione più appropriata di Risk management" o "L'approccio interpretativo fenomenologico è stato introdotto da: …", allora continuiamo pure a bandire concorsi ingestibili. Tanto per essere chiari su questo cruciale aspetto, si ricorda che è in corso di revisione la normativa concorsuale contenuta del Dpr 487/1994, come da specifica delega da parte dell’art. 3, comma 6 della legge 79/2022. Ebbene, nello schema di decreto in elaborazione si legge espressamente nell’art. 1, comma 6 che "le disposizioni del presente regolamento non si applicano al reclutamento del personale del Servizio sanitario nazionale". E allora chi deve mettere mano nel caos della normativa concorsuale della Sanità, il ministero della Salute? le Regioni? la Magistratura?
Ma cosa si potrebbe fare nel breve periodo? Per ciò che riguarda gli infermieri – cioè il profilo nettamente più numeroso della Sanità pubblica – sono anni che suggerisco di ricorrere ai contratti di formazione lavoro. Se si tiene conto che gli infermieri si laureano presso le facoltà di medicina e i corsi di laurea sono "appoggiati" alle aziende sanitarie per gli aspetti del tirocinio e del corpo docente, si dovrebbe poter ritenere che un neo laureato sia stato ampliamente valutato nei tre anni del corso e, in particolare, proprio dai docenti con i quali presumibilmente andrà ad operare una volta assunto. Allora perché non pensare a stipulare nell’ultimo anno del corso di laurea un contratto di formazione e lavoro che consenta dopo due anni la trasformazione del Cfl in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato? La selezione avverrebbe al momento dell’iscrizione al corso e poi ulteriormente all’atto della firma del contratto di Fl e dovrebbe essere sufficiente per il rispetto del principio sancito nell’art. 97, comma 3 della Costituzione. Basti pensare che più di quaranta fa il Pio Istituto di S. Spirito – all’epoca il più grande ente ospedaliero di Europa – prevedeva nel proprio Statuto che gli infermieri diplomati presso le proprie scuole fossero immediatamente assunti dopo l’esame finale: e negli anni ’70 l’art. 97 era vigente. Tra l’altro, in termini di compatibilità costituzionale della proposta, si dovrebbe bilanciare la norma citata anche con quella contenuta nella stesso art. 97 che impone il principio del buon andamento delle pubbliche amministrazioni. È di tutta evidenza che è necessaria una disposizione legislativa soprattutto perché il citato art. 97 prescrive che ai pubblici uffici "si accede mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge". La legge in questione non dovrebbe fare altro che adattare alla specificità degli infermieri i contenuti dell’art. 16 della legge 19 luglio 1994, n. 451. Inoltre, a livello concreto, c’è da chiedersi se appare più affidabile e veritiera una prova scritta, pratica od orale svolta in modo compulsivo insieme a migliaia di persone o la conoscenza sul campo (intesa in aula e in reparto) verificata costantemente per tre anni? Si pensi alla inutilità della prova pratica fatta in quelle condizioni che mai e poi mai è in grado di rilevare la reale capacità manuale e la tecnica infermieristica del soggetto.
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