Il sindaco di Firenze ha reagito come un padre di una volta di fronte al ragazzino che imbrattava con «vernice lavabile» Palazzo Vecchio. Così è diventato eroe del mio cuore e salvatore dell’Italia.
Scusami, Dario. Tu non mi conosci, e ti starai chiedendo perché mi scusi. Io neppure ti conosco, e fino a ieri non m’era parso un problema: ho idea dell’esistenza e del profilo Instagram di fin troppi sindaci, abbastanza da avere deciso che i sindaci di sinistra simboleggiano il disastro culturale in cui grufoliamo.
Sindaci che si mettono la mascherina rosa in pandemia così capiscono cosa significa essere donne, sindaci che suonano la chitarra in tv, sindaci che si fanno fotografare mentre leggono libri scritti da loro stessi. La cosa che dico più spesso è che sogno una città il cui sindaco non s’instagrammi e in cui venga raccolta la spazzatura: non ne ho ancora trovata una che unisca le due qualità, perlopiù i sindaci delle città italiane s’instagrammano moltissimo e puliscono pochissimo.
Non so come sia la situazione dell’immondizia a Firenze, e sul tuo Instagram sono stata per la prima volta ieri, quando avevo già deciso che sei l’unica speranza dell’Italia (mi perdonerai se ti do del tu ma, quando si decide che qualcuno è l’unica luce in fondo al disastro dell’infantilizzazione collettiva, non si può perdere tempo in formalità).
I fatti li conoscono tutti quelli che sono passati dai social ieri. Degli ordinari dementi ordinariamente determinati a finire dentro a un telegiornale si sono messi a imbrattare con lo spray Palazzo Vecchio. E qui, prima di proseguire nella cronaca, mi urge una divagazione che poi divagazione non è.
Vi vedo. Sono mesi che vi osservo. Intellettuali, artisti, gente di buoni studi, alcuni pure amici miei. Ogni volta che si dà notizia di qualche ragazzino imbecille che imbratta un quadro, voi – terrorizzati di sembrare gente che ha a cuore la legalità, e quindi di destra, giacché lasciare ordine e legge alla destra è il modo più sicuro per ottenere il risultato cui più tiene la sinistra: perdere le elezioni – ogni volta voi riportate la notizia usando due parole per le quali io vorrei prendervi a coppini.
Quelle due parole sono: vernice lavabile. Lo dite contando sull’ambiguità, sul lettore distratto che dirà «ah ma quindi si può lavare via, tanto rumore per nulla». Lo dite come non foste adulti normodotati che sanno che «lavabile» è quella vernice con cui si pittano i muri delle stanze dei bambini, così puoi pulirli senza che la vernice si scrosti.
«Lavabile» non significa «butta pure un po’ di colori sulla Gioconda, poi le diamo una passata di detersivo e torna nuova», e voi – con tutto quel che hanno speso per farvi studiare – lo sapete, ma avete deciso che tenete più a posizionarvi dalla parte dei giovani ribelli (altrimenti vi dicono «boomer» e ci rimanete male) che alla verità. Oppure non lo sapete, e allora dovete trovarvi un impiego meno di concetto di quanto lo sia commentare la cronaca. Fine della digressione, che poi digressione non è.
Insomma tu, Dario Nardella, sindaco di Firenze e del mio cuore e salvatore dell’Italia e probabilmente unico non imbecille della generazione più imbecille di tutti i tempi, cioè la mia, sei lì vicino che stai dicendo qualcosa a una telecamera, e ti segnalano che ci sono appunto i soliti dementi che come al solito imbrattano.
L’immagine fissa che hanno commentato tutti è il placcaggio dello spruzzatore di vernice. Sembra finta. Sembra un Caravaggio. L’hanno già notato tutti (storia dell’arte è nei programmi della scuola dell’obbligo), non sto dicendo niente di nuovo. Potrei giusto aggiungere che non sembra neanche giovanissimo, il cercatore di telecamere, ma ormai l’assemblea d’istituto dura ben oltre i quarant’anni e i gesti da liceali sono propri di quelli che una volta erano adulti.
L’immagine in movimento che hanno commentato tutti è quella di te che interrompi il tuo monologo, ti volti, vedi il malfattore, e felino scatti a placcarlo: il Tom Cruise che ci possiamo permettere, o forse il Bruce Willis dei tempi di Die Hard.
E poi ci sono le immagini del dopo, quando – un po’ presidente operaio – ti metti lì con spazzola e olio di gomito a sgurare (scusa il bolognesismo) il palazzo prima che la vernice si asciughi (ora si moltiplicheranno i «lavabile», già mi sembra di sentirli).
Ma io vorrei parlare dell’altro filmato, quello che mi ha acceso il cuore. Quello in cui tu, Dario, arrivi dal cretinetti, e gli dici quel che gli avrebbe detto una persona normale. Non un cinquantenne che voglia dire che è importante ascoltare le proteste non violente nell’illusione di sembrare più simpatico ai giovani. Non un giovane così fesso da credere davvero che non sia poi così grave imbrattare i monumenti. Una persona normale, di quelle che pensavo fossero sparite dalla sinistra italiana.
Tu, Dario, arrivi dal cretinetti e, spintonandolo come i padri di una volta facevano coi figli così coglioni da renderli increduli, gli dici «Ma che cazzo fai?». Quello si mette in posa da supereroe (essere privi di senso del ridicolo è riposantissimo, per forza poi non vogliono crescere) e parte col suo discorso da assemblea d’istituto permanente: abbiamo deciso di sanzionare un palazzo del potere.
E tu: «Ma cosa sanzioni?». Non l’hai preso a coppini perché poi ti toccava trovarti un avvocato, ma i coppini erano nel tono. Poi vabbè, i cretinetti si sono buttati per terra, acciocché i loro quindici secondi di celebrità durassero almeno mezzo minuto. (C’è da rivalutare chi, per essere al centro dell’attenzione, si cambia i pronomi: almeno non tocca pagare dei restauratori perché aggiustino il danno).
Insomma, Dario, io volevo dirti che se ti candidi a qualcosa ti voto. Per una sinistra che, di fronte alle demenze da gruppettari che parlano per slogan e cercano disperatamente d’attirare l’attenzione degli adulti, abbia una sola, programmatica risposta: ma cosa cazzo fai, cretinetti.
Guia Soncini -linkiesta.it
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