di Massimo Gramellini - corriere.it
In attesa di scoprire quale nazionale conquisterà i Mondiali (Francia, Brasile e Marocco il mio podio), già sappiamo quale nazione li ha vinti.
Un paese decisamente bizzarro, dove i tifosi ripuliscono lo stadio e i giocatori lo spogliatoio prima di andarsene, con una naturalezza figlia dell’abitudine che in Italia ho visto solo in qualche sala operatoria e in qualche cucina. E dove l’allenatore reagisce alla delusione più cocente, essere sbattuti fuori ai rigori, senza dare in escandescenze e senza isolarsi nel suo ego ferito, ma preoccupandosi della sofferenza altrui.
Dapprima consola i calciatori a uno a uno, poi li arringa in gruppo e infine va sotto la curva dei tifosi, immagino già spolverata e disinfettata, per prodursi in un inchino che rimarrà una delle immagini simboliche di questi Mondiali. Si è piegato come un cric e ha tenuto la posizione per un tempo insopportabilmente lungo anche per chi non ha problemi d’artrosi. In base al codice non verbale del suo paese, era un modo per dire: io vi rispetto.
Ecco, nei Mondiali dei non diritti e dei troppi dritti, quei tifosi, quei giocatori e quell’allenatore hanno mostrato ai tanti bulli che ne parlano di continuo che cosa sia veramente il famoso «rispetto»: per le persone e per le cose, in fondo anche per sé stessi. Grazie ai tifosi, ai giocatori e a un allenatore del genere (dal nome quasi pronunciabile, Hajima Moriyasu) il Giappone lascia i Mondiali con una vittoria in educazione civica per tre a zero.
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