Occhio non vede, cuore non duole. Come risolvere l’epidemia di Covid?

Occhio non vede, cuore non duole. Come risolvere l’epidemia di Covid? Giuseppe Imbalzano, medico Il Covid, in Italia, lo possiamo ritenere un invasore, e appropriatamente. Ne ha tutte le caratteristiche. È arrivato senza essere invitato, si è insediato comodamente, è stato aiutato a diffondersi in modo assai liberale, coadiuvato da cattivi consiglieri locali, garantito nei suoi spostamenti, pasticciato nella sua gestione. Adesso lo premiamo per queste sue conquiste di spazi, tempi e poteri. Dopo quasi 200 mila morti e decine di milioni di casi, con la certezza che è una malattia gravemente mortale e invalidante (in particolare cuore, polmoni, pancreas, cervello e molti altri organi, oltre al long covid, ne sono coinvolti), con danni imponenti alla organizzazione sanitaria, economica e sociale, con una sottostima dei casi che è, oggi, di almeno il 50%, lo escludiamo dai nostri pensieri. - Come si cura l’infarto? - Accechiamo il Paziente. - Occhio non vede cuore non duole. Era la battuta che girava, in passato, per curare l’infarto. Cosa non è stato fatto? Il primo punto, in ogni infezione, è l’interruzione della catena di trasmissione infettiva. Il lockdown? Certo. Ma basta molto di meno. Gli ospedali (e le RSA). Nell’800 abbiamo costruito gli ospedali a padiglioni per separare i malati infettivi dagli altri. Ben distanti tra loro erano i corpi di fabbrica e chi ci lavorava. Oggi abbiamo mischiato i malati nel medesimo reparto, con personale in comune e attività sanitarie miste. Ospedali per acuti trasformabili in ospedali misti con malati infettivi? Pura, disgraziata, feroce, follia. Bastava separare nettamente gli ospedali e così dividere i malati infettivi dai non infetti, in modo assolutamente rigoroso e assoluto. E così il personale. Destinato in specifici stabilimenti, personale adeguatamente formato per queste nuove esigenze professionali e di sicurezza, e protetto, nel modo più rigoroso possibile, ad attività specifiche. E i malati sarebbero stati assistiti adeguatamente, senza i tanti, gravi ed enormi errori di gestione clinica che si sono ripetuti. Evitando qualsiasi diffusione indesiderata. L’ultima analisi di un ospedale scozzese ha dimostrato che l’infezione di covid, in personale adeguatamente protetto e formato per gestire malati e tecnologie, non si trasmettevano ai lavoratori. 2 Ma ce n’era bisogno? Non della protezione, ma di questa valutazione? Non è già noto e indicato nelle norme sulla sicurezza generale? La seconda ed essenziale attività è individuare i casi attivi che possono diffondere l’infezione. Abbiamo strumenti essenziali che sono i test, persino domiciliari. Hanno una percentuale di errore, ma spesso sono corretti. E poi la situazione clinica, che aiuta non poco. E queste persone vanno isolate, separate dai sani per evitare l’ulteriore diffusione. Curare a casa? È noto che l’isolamento domiciliare è una pratica nota e qualificante del sistema, ma lo puoi fare con malattie endemiche che hanno una copertura di protezione biologica altissima in famiglia, non con una infezione che colpisce una popolazione vergine. E di cui abbiamo visto che la malattia pregressa o la vaccinazione non garantiscono in modo sicuro la salute di chi si è già ammalato o vaccinato. Ma questa soluzione non può essere abbandonando a sé stesse le famiglie, vanno dati supporto e materiale alle famiglie che abbiano condizioni ambientali adeguate necessarie ad evitare il contagio (protezioni specifiche, sistemi di sicurezza e informazioni corrette, oltre al supporto clinico continuo). E supportate anche per le esigenze quotidiane generali e specifiche. Le altre situazioni vanno separate in tempi rapidi e controllate attivamente. La gestione pasticciata ha comportato che almeno il 60% dei nuovi casi di covid sono nati, cresciuti e diffusi in famiglia. In queste condizioni è assolutamente impossibile garantire la sicurezza dei più fragili e di chi ha esigenze di assistenza tra i cronici. La scuola. È noto che gli ambienti comunitari sono il luogo di massima diffusione delle malattie aerotrasmesse. E quindi quelle più a rischio. Ed è scritto su tutti i manuali e libri di malattie infettive. In particolare in quelle comunità in cui la permanenza è prolungata. E per diffondere questa infezione basta la presenza di un malato per pochi minuti. E in questo caso la presenza è persino reiterata in giorni successivi. E cosa si fa? Si tolgono le mascherine, si ammettono più casi contemporaneamente, si costringe il fragile a partecipare alle attività. Si costringono i lavoratori a vivere in un ambiente a rischio. L’informazione. Definirla carente è poco. Troppo lungo il discorso. Ad oggi nessuno ha acquisito idee, informazioni e linee di comportamento chiare e definite se non lo sapeva già prima. Ma sarà occasione di approfondimento. L’informazione che ha avuto maggiore repliche è stata “lavatevi le mani”. Le mani vanno lavate, sempre, tornando a casa ed anche se siamo in giro. Con o senza covid. Ma questa è una infezione aerotrasmessa. La mascherina, ricordiamolo, è usata in tutti gli ambienti di lavoro in cui può esistere “il rischio” di un danno. Qui del rischio ne siamo certi, in particolare per le modalità di gestione della infezione e della diffusione in questi anni. E le mascherine non sono “eterne”. Hanno tempi di protezione assai limitati (alcune ore) e poi vanno sostituite. Regolarmente. E vanno ben tenute e portate nella linea di circolazione respiratoria. Non sotto il naso. Non servono per “travisarsi” Vaccini e vaccinazione. Ringraziamo chi ha prodotto i vaccini perché la vaccinazione di massa (non ancora universale - mancano ancora categorie di età che, associate alla cattiva informazione, hanno impedito la giusta e completa protezione di tutta la popolazione) è stata resa disponibile dieci mesi dopo essere stata avviata la sperimentazione invece dei due anni soliti (e così sono milioni le vite salvate nel Mondo). Vaccino che dimostra, in assoluto, una elevatissima sicurezza biologica tra tutti quelli in uso. Una azione, in Italia, organizzata, sviluppata ed agita ottimamente da un Generale, da un Militare. Appena ha lasciato il ruolo di Comando la situazione è decaduta, precipitata, a livelli minimi per non dire peggio. Perché siamo in questa situazione “così confusa”? Non cito il CTS che non ha avuto compiti di governo della emergenza ma a cui hanno sottoposto quesiti. Non è stata una ”unità di crisi”. Non certo il meglio come compito, comunque, per Loro, e un risultato non sempre, purtroppo, brillante, nelle scelte. Una malattia infettiva si previene, si evita che si diffonda, si limita e poi si “spegne”, come un incendio. E se per i primi mesi l’epidemia è stata orientata ad essere “controllata”, con tutti i limiti che stiamo segnalando, successivamente questo controllo non è più avvenuto per scelte che nulla hanno a che vedere con una corretta gestione dei modelli di freno alla diffusione infettiva e di mitigazioni dei fattori di rischio. In particolare con due atti legislativi, che hanno letteralmente inventato soluzioni prive di coerenza e di logica preventiva e hanno ancora di più determinato la diffusione infettiva. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 novembre 2020. Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19», e del 4 decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19» e DECRETO-LEGGE 18 maggio 2021, n. 65 Che, invece di prevenire le azioni di mitigazione le pongono successivamente al danno. Come è noto, e abbiamo detto, nella gestione delle malattie infettive va impedita la diffusione. Se un palazzo brucia, ne restano solo le ceneri o poco più. Le azioni da mettere in atto dovevano essere orientate a favorire finanziamenti alle Regioni che avessero abbattuto il rischio, non i meri costi di ricovero e di assistenza e controllo. Ricordiamoci che la Sanità, in Italia, è regionale. Pura logica inversa e budgetaria di fronte ad esigenze di eliminazione dei fattori di rischio e del rischio. Un ritorno al medioevo. Abbiamo seppellito i morti, non evitato la diffusione infettiva, e la moltiplicazione dei malati. E oggi abbiamo milioni di malati cronici in più, oltre a quelli non assistiti regolarmente in questi due anni. Oltre gli errori, gravissimi, che sono stati commessi sin da principio (diffusione delle infezioni negli ospedali generali, nelle RSA) con malati cronici già ricoverati che sono deceduti per l’infezione da covid sopravvenuta durante la degenza. La diffusione al personale, con un numero di malati e di decessi degli stessi impressionante (sia ospedaliero che territoriale) non ha portato a nessuna soluzione seria e corretta e ad aggiustamenti adeguati ad evitare l’assoluta libertà di diffusione virale. Un sistema informativo serve per modificare le azioni in atto, non per esporre quotidianamente numeri che dimostrano la totale assenza di coerenza con quanto debba essere fatto per evitare che lievitino senza controllo. E adesso abbiamo occhio non vede e cuore non duole, per non parlare di quanto siano state e sono calpestate tutte le norme sulla sicurezza sul lavoro, sulla diffusione infettiva e Costituzionali sulla salute del singolo e della comunità. Forse è il momento di agire e mettere in atto azioni efficaci oltre alle troppe, inutili, parole spese in questi quasi tre anni. Ah, il piano pandemico c’era, andava solo aggiornato in pochi giorni e messo in atto efficacemente. Giuseppe Imbalzano Già Direttore Sanitario Az. USSL Melegnano, ASL mI2, AO Legnano, ASL Lodi, AO Lodi, ASL Bergamo, ASL Mi1
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