Da pisano a Lucca, pochi giorni prima di Natale

Sono venuto a Lucca in questi giorni che mancano poco a Natale con uno spirito semplice: curiosità e zero pregiudizi. Da pisano, lo ammetto, la tentazione di fare confronti c’è sempre, ma l’avevo lasciata a casa. Volevo solo camminare, guardare le vetrine, respirare quell’aria natalizia che a Lucca, nella mia testa, avrebbe dovuto avere un sapore tutto suo. E invece no. O meglio: non proprio. Le luci ci sono, le vetrine anche, la gente passeggia come ovunque a dicembre. Tutto corretto, tutto ordinato. Forse troppo. Ho avuto la sensazione di essere in una città qualsiasi, una di quelle che potresti scambiare con un’altra senza accorgertene. Stesse decorazioni viste mille volte, stesse scelte un po’ anonime, stesso Natale “standard” che ormai gira ovunque come un pacchetto pronto all’uso. La cosa che delude non è la mancanza di grandezza o di sfarzo, perché Lucca non ne ha mai avuto bisogno. La delusione nasce proprio dal contrario: dalla sensazione che una città con una storia, una bellezza e un carattere così forti abbia deciso di non usarli. Come se avesse preferito non rischiare, non osare, non raccontarsi. Camminando sotto le mura o nelle vie del centro, pensavo che Lucca potrebbe permettersi un Natale più intimo, più curato, più coerente con sé stessa. Meno copia-incolla, più anima. Invece mi sono ritrovato a dire: “Potrei essere a Pisa, potrei essere altrove”. Non è una critica cattiva, né una sfida tra campanili. È la constatazione di chi sperava di tornare a casa dicendo: “Lucca mi ha sorpreso”. Stavolta non è successo. E forse è proprio questo che dispiace di più: sapere che poteva andare diversamente, senza fare di più, ma facendo meglio. Famiglia Ceccanti M.
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