La “lista stupri” al liceo di Lucca: il caso, le reazioni e la necessità di una risposta forte
La “lista stupri” al liceo di Lucca: il caso, le reazioni e la necessità di una risposta forte
La comparsa della “lista stupri” nel bagno maschile del liceo scientifico Vallisneri di Lucca ha colpito tutti come un pugno allo stomaco. Due studentesse si sono ritrovate il loro nome scritto in un contesto che non ha nulla di goliardico: una minaccia sessuale vera e propria, accompagnata da un disegno osceno. Non è un gesto stupido, non è una bravata: è violenza simbolica, quella che non tocca il corpo ma mira a ferire la dignità.
La preside, Maria Rosaria Mencacci, ha agito immediatamente: scritta rimossa, autorità avvisate, piena collaborazione con chi indaga. Ha parlato di un atto gravissimo e probabilmente ispirato da episodi simili successi altrove, ricordando che non basta cancellare la parete per cancellare il danno.
Gli studenti si sono schierati subito. I rappresentanti d’istituto hanno definito il gesto “abominevole”, sottolineando che non si tratta di un gioco. Hanno insistito sul rispetto delle ragazze coinvolte e sull’importanza di non trasformare l’episodio in spettacolo mediatico, ma di garantire ascolto, protezione e dignità.
La politica locale e regionale ha risposto con fermezza. L’assessora regionale alle Pari Opportunità, Cristina Manetti, ha parlato di atto intollerabile, un attacco diretto ai valori fondamentali che una scuola deve rappresentare. L’assessora comunale all’istruzione, Simona Testaferrata, ha usato parole ancora più dirette: ha invitato i responsabili ad autodenunciarsi e ha ricordato che un episodio del genere ferisce un’intera comunità, non solo le vittime.
Anche il sindacato della scuola ha reagito, ricordando che il Vallisneri è sempre stato un istituto attento al rispetto e all’inclusione. Proprio per questo, la notizia ha colpito ancora di più chi ogni giorno cerca di costruire un ambiente scolastico sano.
Le indagini sono partite subito. Gli inquirenti stanno incrociando testimonianze, orari, movimenti nei corridoi e possibili riprese interne. Individuare i responsabili non è un dettaglio: è la prima forma di giustizia verso le ragazze e un segnale che nessuno può nascondersi dietro un muro.
Ma accanto all’indagine, c’è un tema che non si può evitare: la punizione. Non parliamo di vendetta, ma di responsabilità. In un caso così, la sanzione scolastica più forte — la bocciatura — non è fuori luogo. Anzi, è perfettamente coerente con la gravità del gesto. Chi scrive una minaccia sessuale su un muro non sta facendo uno scherzo: sta esercitando un atto di dominio e umiliazione. Ed è giusto che la scuola risponda in modo chiaro.
Bocciare i responsabili, una volta accertati i fatti, avrebbe un doppio effetto: riconoscere il danno subito dalle ragazze e mandare un messaggio potente a tutta la scuola. Significherebbe dire, senza mezzi termini, che la dignità e la sicurezza delle persone vengono prima di tutto e che certe linee non si superano senza conseguenze reali.
Allo stesso tempo, la punizione da sola non basta. Serve prevenzione. Servono percorsi seri sull’educazione al rispetto, al consenso, alla gestione delle emozioni. Serve che la scuola parli ai ragazzi senza moralismi, ma in modo competente. Serve coinvolgere le famiglie, perché molte cose che esplodono nei corridoi iniziano nei salotti di casa. Serve formare gli insegnanti, così da riconoscere i campanelli d’allarme prima che si trasformino in minacce su una parete.
Questo caso è grave, inutile girarci intorno. Ma può diventare un momento per scuotere coscienze e cambiare rotta. Le ragazze hanno fatto la cosa più difficile: hanno avuto il coraggio di non restare zitte. Ora tocca agli adulti — scuola, istituzioni, comunità — dimostrare che la loro voce non è stata inutile e che un muro scritto non resterà senza risposta.
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