Stalking, paura e coraggio: la storia di Lucca e un’Italia che prova a cambiare

Quando una relazione finisce, dovrebbe finire anche tutto ciò che la circonda: messaggi, abitudini, presenza. Invece per molte donne non è così. Una donna lucchese lo ha capito sulla propria pelle: «Quando ho capito che non ero più libera di uscire senza guardarmi alle spalle, ho capito che quello non era amore». Non è una frase da film, non è retorica da manifestazione: è la realtà di una vita che, dopo la fine di una storia, si è trasformata in un incubo fatto di messaggi insistenti, telefonate, appostamenti sotto casa, controlli e paura. Paura vera, quella che ti entra nelle ossa e non ti lascia dormire. La prima denuncia arriva nel 2022, con l’aiuto dell’avvocata criminologa Alessandra Severi. Il Tribunale di Lucca condanna l’uomo per molestie, condanna poi confermata in Appello. Pensare che bastasse è stato un errore comprensibile: invece l’incubo riparte, anzi peggiora. Pedinamenti verso il luogo di lavoro, profili falsi sui social, telefonate continue. A quel punto si arriva alla seconda querela: atti persecutori, stalking. La condanna questa volta è più pesante: un anno e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento. Ora la causa è in appello e lei, intanto, prova a riprendersi una normalità che le è stata strappata a pezzi. Il termine stalking non è solo un articolo di codice penale: viene dalla caccia, dal gesto di braccare una preda. Una descrizione brutale, ma terribilmente fedele a quello che molte donne vivono: sorveglianza, controllo, contatti ripetuti, impossibilità di sentirsi al sicuro. Numeri e vissuti che diventano più reali quando li si guarda in faccia: secondo l’Istat più di due milioni di donne italiane hanno subito comportamenti persecutori da partner o ex partner. Una cifra enorme, che va oltre la statistica e diventa un pezzo oscuro della cultura relazionale del nostro Paese. Negli ultimi anni qualcosa però si sta muovendo. Le nuove leggi, dal Codice Rosso alle recenti misure cautelari più rapide, cercano di ridurre i tempi, prevenire, proteggere. Si parla di braccialetto elettronico obbligatorio nei casi ad alto rischio, di interventi immediati al primo segnale. Ma sulla carta è tutto più semplice che nella vita reale: per denunciare servono forza, supporto e un sistema che funzioni davvero. E spesso le donne arrivano a farlo solo quando la paura è diventata più grande del silenzio. Non è un caso isolato quello di Lucca: simili storie emergono a Milano, Palermo, Torino, Perugia, paesi piccoli e grandi città. Cambiano nomi, accenti, lavori, ma la dinamica resta identica: amore malato che diventa ossessione, controllo che finge affetto, violenza che indossa la maschera della gelosia. La donna che ora non vive più a Lucca ha deciso di raccontare la sua storia, senza vergogna: «Scrivere tutto è stato come rimettere ordine. Non so se la condanna basterà, non so se la paura sparirà del tutto. Ma se la mia esperienza potrà aiutare un’altra donna a uscire da una situazione simile prima che sia troppo tardi, allora ne sarà valsa la pena». Forse il vero cambiamento inizia da qui: non soltanto dalle leggi, ma dalla possibilità di non sentirsi sole mentre si dice basta.
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