Fratelli Musulmani: la lunga ombra in Italia ed Europa

La presenza dei Fratelli Musulmani in Italia non è un fatto recente né marginale. Arrivati a partire dagli anni Sessanta con piccoli gruppi di studenti provenienti dal Medio Oriente, nel tempo hanno costruito una rete fitta e radicata, che va ben oltre l’aspetto religioso. Dalle prime associazioni agli anni Novanta Il primo nucleo nacque come Unione degli studenti musulmani in Italia (USMI). Da lì, grazie anche a consistenti finanziamenti esteri, si sviluppò un’infrastruttura fatta di moschee, centri culturali e associazioni caritative. Secondo alcune inchieste giornalistiche, in pochi anni furono stanziati milioni di euro per la costruzione e l’acquisto di edifici destinati al culto e alle attività comunitarie. Negli anni Novanta la nascita dell’Unione delle organizzazioni e comunità islamiche in Italia, guidata da Mohammed Nour Dachan, segnò il salto di qualità. Con circa 130 associazioni affiliate e il controllo sulla gran parte delle moschee del Paese, l’organizzazione si è imposta come interlocutore ufficiale del movimento. Una strategia “parallela” Secondo studi di centri europei di ricerca sul terrorismo e sull’intelligence, i Fratelli Musulmani non si limitano a fornire luoghi di preghiera, ma mirano a costruire “strutture parallele” alla società e allo Stato, in grado di influenzare la vita politica e culturale. L’obiettivo dichiarato è quello di far prevalere un modello di società ispirato ai principi della confraternita, spesso in contrasto con i valori democratici europei. Questa dinamica ha prodotto tensioni: da un lato l’erosione delle identità locali e la nascita di enclave chiuse; dall’altro la crescita di movimenti di estrema destra che reagiscono alimentando lo scontro. Legami internazionali e rischi di radicalizzazione La rete dei Fratelli Musulmani in Italia è parte di un sistema europeo più ampio, collegato a organizzazioni come l’Unione delle organizzazioni musulmane o il Waqf islamico. Alcuni leader italiani ricoprono ruoli di primo piano anche fuori dai confini nazionali. Nel 2022 uno studio pubblicato da European Eye on Radicalization segnalava contatti giudicati “preoccupanti” tra strutture vicine ai Fratelli Musulmani e realtà sciite iraniane, nonostante le storiche rivalità tra sunniti e sciiti. Secondo gli analisti, in nome di obiettivi comuni – dall’opposizione all’Occidente all’ostilità verso Israele – possono nascere alleanze temporanee che complicano il quadro della sicurezza. L’impatto sulla comunità musulmana In Italia vivono oltre due milioni di musulmani, spesso costretti a rapportarsi con l’influenza della confraternita sui luoghi di culto. Il nodo non è la presenza numerica della comunità, ma la diffusione di un’ideologia che rischia di ridurre gli spazi di pluralismo interno e, nei casi più estremi, di alimentare percorsi di radicalizzazione. Il caso svizzero e il dibattito europeo Il problema, intanto, non riguarda solo l’Italia. Un recente rapporto francese ha acceso i riflettori sulla Svizzera, evidenziando come l’influenza dei Fratelli Musulmani si estenda anche a reti educative e finanziarie. Il documento ha scatenato un acceso confronto nel Parlamento federale di Berna: da più partiti, dal centrodestra ai liberali, arrivano proposte per limitare finanziamenti esteri e vietare le associazioni legate all’“Islam politico”. Una questione aperta La vera sfida resta l’integrazione. Come sottolinea la politologa Akila Dbeich, senza politiche capaci di includere le giovani generazioni e di contrastare discriminazioni e marginalità, i Fratelli Musulmani continueranno a offrire risposte alternative, ma pericolose. Una dinamica che, se trascurata, rischia di dividere ancora di più il tessuto sociale europeo.
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