“Antisemita”: un’accusa che oggi vola troppo facile.
“Antisemita”: un’accusa che oggi vola troppo facile. Ma se guardiamo al significato originario, i semiti non sono solo gli ebrei, bensì anche arabi, fenici e quindi gli stessi palestinesi. Difficile allora non notare la contraddizione: chi reprime e affama un popolo semita finisce per accusare di antisemitismo chi lo difende.
Già Edward Said denunciava come i governi israeliani avessero trasformato questo termine in un’arma politica, utile a screditare chiunque sollevi critiche. Una strategia affinata con il tempo, sfruttando la forza del linguaggio per ribaltare il senso comune, un po’ come è accaduto in Italia con parole come “giustizialismo” o “populismo”.
Il risultato? Israele si presenta come vittima perenne, mentre milioni di palestinesi vivono da decenni sotto occupazione. Nel frattempo, l’Occidente giustifica e copre, perché considera quello Stato militarizzato una sorta di assicurazione contro nuove minacce.
Dietro resta l’amara sensazione che la memoria della Shoah, invece di insegnare, venga trasformata in rendita politica. E che il linguaggio, piegato a interessi di potere, perda il suo senso più autentico.
L’arma spuntata delle parole
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