La violenza contro medici e infermieri è una ferita alla nazione
Non è solo cronaca locale. Non è un fatto isolato. Ogni volta che un medico o un infermiere viene aggredito, non viene colpita solo una persona in camice bianco: viene ferita l’intera comunità, viene incrinata la fiducia che ci permette di vivere insieme.
Lo ricorda con chiarezza il professor Andrea Fagiolini, ordinario di Psichiatria: la violenza non può e non deve diventare parte del paesaggio urbano, né negli ospedali né nelle piazze. Il rischio peggiore non è la paura, ma la rassegnazione. Abituarsi al sangue, agli insulti, agli schiaffi. Dire “ormai è normale”. Non è normale, non deve esserlo.
La sicurezza non nasce solo dalle pattuglie e dai controlli, ma da una cittadinanza attiva, che segnala, che non gira lo sguardo, che difende i propri spazi. Le forze dell’ordine fanno la loro parte, ma senza la collaborazione dei cittadini restano sole.
Il dibattito sulla nazionalità degli aggressori è sterile: la violenza non ha passaporto. Chi vive in Italia, italiano o straniero che sia, deve rispettare le regole della convivenza. L’accoglienza è un valore, ma non può trasformarsi in alibi.
Se davvero vogliamo spezzare questa spirale, dobbiamo guardare oltre l’emergenza: educazione, cultura, rispetto reciproco. Parlare ai giovani, insegnare che un conflitto non si risolve mai con la forza. Dare alternative sane, creare luoghi di aggregazione che tolgano terreno fertile al disagio e alla rabbia.
Gli episodi di violenza non lasciano soltanto lividi sulle vittime dirette: producono traumi collettivi, generano insicurezza diffusa, trasformano città e ospedali in luoghi percepiti come ostili. Questo non possiamo permetterlo.
Il messaggio deve essere uno solo, e deve valere per tutta la nazione: la violenza non è accettata, mai. Non negli ospedali, non nelle piazze, non nelle scuole. L’Italia è un Paese che accoglie, ma che non tollera chi calpesta il rispetto e la dignità.
La sicurezza non è un favore che qualcuno concede: è una responsabilità condivisa. Solo così paura e rassegnazione possono trasformarsi in forza collettiva.
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