PRIMO MAGGIO 2025: RACCONTO DI UNA LOTTA VERA CHE HO FATTO IN QUALITA’ DI SINDACALISTA DELLA CGIL NEGLI ANNI 70
Avevo 22 anni, quando nel maggio del 1972, in qualità di dirigente
Sindacalista della FILTEA CGIL ( all’epoca raggruppava la categoria dei
tessili e calzaturieri) ogni giorno ero davanti il cancello di una
fabbrica con circa 300 addetti che fabbricava scarpe che si chiamava
“APICE”, in località Massarosa . in quella azienda si scioperava per
ottenere incrementi aziendali tra cui la 14° mensilità e l’istituzione
di esami e visite mediche periodiche ai lavoratori che usavano il
mastice.
Il padrone si chiamava Rontani .. era un “osso duro” ... quindi
fu fatta una lotta, con forme di protesta dure, con scioperi a
“singhiozzo” mezz’ora di lavoro e mezz’ora di non lavoro e “creative”
come quella di montare solo la scarpa sinistra…e l’autoriduzione dei
carichi e dei ritmi di lavoro.
Dopo tre mesi di lotta fu fatto un buon accordo votato ed approvato da 90% dei lavoratori con scrutinio segreto.
Nel 1976, il titolare della dell’Apice Rontani, aveva deciso di
aprire una nuova azienda produttrice stivali in gomma , ma memore della
realtà conflittuale esistente nell’azienda Apice di Massarosa, decise di
costruire l’azienda nuova in una località diversa (tra le colline
lucchesi) di nome Monsagrati... e di applicare i contratto della
plastica perché non voleva più vedere i sindacalisti che seguivano il
settore calzaturiero , quindi il sottoscritto, rompergli i coglioni.
Purtroppo per lui, gli era andata male in quanto io ero passato
proprio dal settore calzaturiero a quello della plastica che faceva
parte del settore chimico.
Un giorno di ottobre del 1977, andai all’ingresso della nuova
fabbrica di calzature in plastica del Rontani, che aveva chiamato
“RONTANI”. La fabbrica aveva circa centotrenta addetti.
Ero andato li per distribuire un volantino dove annunciavo che la settimana successiva avrei fatto un’assemblea .
Ero all’uscita delle ore12 , per l’ora di pranzo, vedo uscire dei
lavoratori con le auto e con le moto, mentre altri con la cappa nera mi
vengono incontro a piedi.
Io sorridendo entro nel cancello aperto e gli vado incontro
porgendo ad uno di essi il volantino, dove comunicavo l’intenzione della
CGIL di fare un’assemblea per verificare la situazione e organizzare
sindacalmente i lavoratori .
Uno con la “cappa” nera, mentre prende il volantino mi da un
calcione in uno stinco e tutti assieme mi spingono fuori dal cancello
dicendo: noi qui non ti vogliamo… stai fuori dal cancello merda di un
sindacalista…siete voi che fate chiudere le fabbriche… avete già fatto
troppi danni all’Apice… non venire qui mai più, a rompere le palle
perché ti ammazziamo !
Non mi spaventai, ma rimasi allibito… malissimo… pensavo che fossero
operai, nel dargli il volantino cercavo di parlare con loro per fargli
conoscere i loro diritti, ma in cambio ne avevo ricevuto un calcio ed
insulti.
In realtà non erano operai ma capi reparto, anzi “capetti”. Ve ne
erano ben 12 (11 uomini ed 1 donna) ed avevano il compito di fare da
cane da guardia al padrone. Cioè dovevano solo stare attenti che gli
operai non parlassero tra loro di organizzazione sindacale, di diritti,
ed accettare ogni possibile ritmo di lavoro e vessazione che gli veniva
imposta.
Io non mi persi d’animo e risposi che sarei ritornato per fare
un’assemblea sindacale e per cercare di organizzare i lavoratori. Loro
mi dissero se torni ti facciamo fuori !
Il giorno dopo, feci venire con me un Compagno alto e grosso,
Delegato alla Cucirini Coates (fabbrica tessile che all’epoca aveva
oltre 3.000 dipendenti) , che aveva la fama di essere un duro… “un
cattivo”… Ritornai quindi con lui davanti il cancello per distribuire un
altro volantino dove annunciavo la prossima assemblea sindacale che
avrei svolto all’interno dell’azienda (come previsto dalla legge) il
lunedì della settimana successiva . Nel volantino aggiungevo che
nell’assemblea avremmo esaminato la situazione aziendale e chiesto ai
lavoratori di organizzarsi con il Consiglio di Fabbrica e scrivendosi
alla CGIL
Alle12, solita ora, i lavoratori iniziano ad uscire e tra essi i
soliti “capetti” con la cappa nera. Il primo a venirmi incontro fu
proprio quello che mi aveva dato il calcione il giorno prima. Appena lo
vedo gli dico: vieni fuori dal cancello se vuoi il volantino. Lui esce
dal cancello, mi viene incontro ed io gli sferro un grosso pugno nel
naso facendolo cadere per terra.
A quel punto, tutti gli altri “capetti”, mi afferrano le braccia e mi
riempiono di cazzotti in tutte le parti del corpo. Io mi aspettavo una
reazione del mio amico Compagno in mia difesa, ma lui se ne stette da
una parte fermo immobile…impaurito … senza nemmeno fiatare . Dopo la
sfuriata e le botte prese, con due costole fratturate, montai sull’auto
con il compagno.
Decisi di non rimproverarlo perché aveva avuto paura, e senza mai
parlare ritornammo nella Sede della Camera del Lavoro di Lucca.
Raccontai tutto al Segretario Responsabile dell’epoca Sergio
Gigli, il quale mi disse di denunciare il fatto alla Questura. Cosa che
mi guardai bene dal fare…
Il lunedì successivo mi presentai in fabbrica per fare l’assemblea.
Nella mensa si erano riuniti tutti gli operai ed i capetti. Ad ogni
parola che dicevo, c’èra un boato di molti, insulti, alcuni che
gridavano “viva il duce” ogni mia parola , una contestazione di un
capetto… il più cattivo sembrava proprio quello a cui avevo dato un
pugno, che a sua volta in precedenza mi aveva dato un calcio.
Pur tra molte urla e contestazioni, avevo spiegato, con calma, i
loro diritti sindacali ed invitato i lavoratori a candidarsi per essere
eletti nel Consiglio di fabbrica, avevo anche consegnato ai lavoratori
le deleghe per l’iscrizione volontaria al Sindacato, dicendo di pensarci
e che avrei fatto un’altra assemblea dopo 10 giorni. Le deleghe furono
raccolte da un “capetto” e buttate sulla mia auto mentre andavo via.
Ma nell’assemblea c’èra anche chi era stato zitto… chi mi ascoltava
con attenzione… chi non ne poteva più della angherie subite.
Il giorno dopo venne nel mio ufficio un giovane operaio della
Rontani di nome Paolo Santini, il quale mi dice: mi volevo complimentare
per il tuo coraggio ed inizia a raccontarmi tutta la realtà della
fabbrica. Mi racconta dei capetti che erano tutti di destra ed asserviti
al padrone. L’Azienda ne aveva nominati uno ogni 10 operai proprio con
il compito di aumentare in continuazione i ritmi di lavoro della catena
di montaggio, far lavorare il più possibile gli operai e non farli mai
parlare mai di Sindacato. Mi disse anche che lui ed altri due operai
erano disponibili a fare qualche cosa per portare la CGIL in azienda… ma
sarebbe stata molto dura.
Io continuai a fare un’assemblea per tutti i mesi successivi e dopo 7
mesi riuscii a fare eleggere un consiglio di Fabbrica composto da 5
persone due affidabili e disposti a fare anche una battaglia per avere
un contratto integrativo aziendale (tra cui il Compagno Santini Paolo),
due molto deboli e piuttosto sensibili alla tesi padronale che se
facevamo rivendicazioni aziendali la fabbrica avrebbe chiuso, ed uno ,
anzi una, era una “Capa Reparto con la cappa nera” che stava nettamente
dall’altra parte, ma era stata eletta da quelli come lei.
La battaglia alla Rontani fu durissima. Il padrone prese di mira
Paolo, trovando ogni pretesto per fargli lettere di contestazioni e
provvedimenti disciplinari fino al licenziamento del medesimo per il
venir meno del rapporto fiduciario tra le parti.
Il licenziamento fu immediatamente impugnato da me unitamente al
Santini Paolo. Feci venire appositamente un Bravissimo Avvocato dalla
Camera del Lavoro di Bologna di nome Pedrazzoli, docente universitario
all’Università Sapienza di Pisa. L’Azienda Rontani fece altrettanto,
facendosi difendere dall’Avvocato Pera anche esso Docente Universitario
alla Sapienza di Pisa. Dopo circa 3 mesi dal licenziamento vincemmo la
Causa con l’obbligo di riassunzione del Santini Paolo ed il pagamento di
tutte le giornate perse.
Il giorno dopo feci l’assemblea per informare i lavoratori.
La vicenda del Paolo Santini, non finì lì. Nella fabbrica lavorava
anche la moglie del Santini e l’azienda…con i “capetti” iniziarono ad
isolare e trattare male anche lei, per il solo fatto che era la moglie
di un delegato sindacale come il Paolo Santini.. Questa situazione era
divenuta insopportabile per lei e decise di licenziarsi .
Dopo circa un anno, nel 1978, riuscii anche ad iscrivere alla
CGIL 22 operai, non erano molti ma erano già un gruppo consistente:
decidemmo anche di elaborare una Piattaforma aziendale rivendicando un
premio ferie, alcune qualifiche e le visite mediche periodiche.
Chiedemmo un incontro presso l’Associazione Industriali di Lucca, dove
nel frattempo il Titolare, Sig. Rontani, ne era divenuto il Presidente.
Il primo incontro fu del tutto negativo, ci fu un diniego su
tutto, quindi nell’assemblea successiva in fabbrica proposi uno sciopero
di 4 ore. Questa volta gli operai si divisero tra i pro ed i contro lo
sciopero, ma nella votazione finale prevalsero a maggioranza quelli che
volevano scioperare. Fu quindi proclamato un primo sciopero di 4 ore per
il giorno successivo. Lo sciopero riuscì al 50%, ma per l’azienda
Rontani fu comunque già un gran successo. Dopo ulteriori tre scioperi,
l’azienda decise di firmare il 30 aprile del 1978 (per il primo maggio)
con noi, il Contratto aziendale sul premio ferie, le qualifiche e le
Visite mediche. Fu sicuramente una bella vittoria che mi ripagava di
tanti torti subiti.
La vicenda non finiva lì. Ogni giorno il Direttore dello Stabilimento
nonché marito della figlia del Titolare, in ogni momento insultava il
Delegato aziendale Santini Paolo. Lo aveva isolato in magazzino “un
Reparto Confino” e tutti i giorni andava da lui insultandolo, dicendogli
che aveva fatto già andare via sua moglie e ci sarebbe riuscito anche
con lui. Ma il Santini aveva le palle ed un giorno rispose al Direttore
dicendogli : “devi smettere di rompermi i coglioni” io non andrò mai via
dalla fabbrica.
Questa frase dette il pretesto all’azienda per licenziare
nuovamente il Santini Paolo per insubordinazione grave verso i
superiori. Così dopo circa un mese dalla firma dell’accordo ed un anno
dal precedente licenziamento, l’azienda tentò nuovamente di sbarazzarsi
del Delegato più combattivo. Questa volta io mi incazzai veramente.
Chiesi ai lavoratori di scioperare per protesta. Qualcuno lo fece ma la
maggioranza si impaurì nuovamente. In azienda si era sparsa anche la
voce che al Direttore della Rontani qualcuno mandò anche un cartuccia di
pistola… Comunque ci fu nuovamente una Causa legale con richiesta di
riassunzione al lavoro e per la seconda volta il Giudice del lavoro
obbligò la Rontani ad Assumere il lavoratore pagando le giornate perse.
Dopo l’ultima riassunzione l’azienda Rontani ha cambiò atteggiamento
divenendo più costruttiva, l’organizzazione sindacale, con il passare
degli anni, si è rafforzata, alcuni dei capetti che avevano orientamenti
di destra sono diventati di sinistra. Quello che mi aveva dato il
calcio e preso il pugno venne emarginato dall’azienda e gli fu tolto un
superminimo mensile che aveva acquisito in precedenza. Per questo motivo
venne da me ed io riuscii a farglielo ridare in quanto era un diritto
acquisito.
Per questo dopo è voluto diventare mio amico… si è iscritto alla
CGIL, è entrato nel Direttivo della CGIL assieme ad un altro ex
Capetto…cambiati nel profondo… Visto, con la lotta, come può cambiare la
realtà?
Umberto Franchi
Lucca PRIMO MAGGIO 2025
Tratto dal mio libro autobiografico “LA VITA E IL SOGNO “
Estratto da www.lavocedilucca.it/post/19062/primo-maggio-2025--racconto-di-una-lotta-vera.php