Qualche giorno fa ho scoperto che, nell’ambito del ciclo di incontri “Le grandi riforme degli anni ’70: un decennio di lotte per l’applicazione della Costituzione” – organizzato dalla CGIL di Lucca in collaborazione con Sinistra Con, Articolo 21, Arci e la Fondazione Sinistra, Storia e Valori – si sarebbe tenuto un appuntamento dedicato all’“Interruzione volontaria della gravidanza: insieme alle donne cambia l’Italia”. Dato che si trattava di un tema a me e ad altri membri de Il Popolo della Famiglia di Lucca molto caro, abbiamo deciso di partecipare per conoscere il taglio con cui sarebbe stata affrontata la questione.
Siamo arrivati intorno alle 21, a incontro già avviato. In quel momento stava parlando l’avvocata Gioia Elisabetta Commisso, dell’Arci Bassa Val di Cecina, la quale sottolineava come la legge 194 rappresenti una conquista di libertà per le donne e vada pertanto difesa, specialmente dagli attacchi di chi tende a colpevolizzare le donne che scelgono di abortire, dipingendole come “facili” o irresponsabili. Successivamente è intervenuta Benedetta La Penna, operatrice di Arci Pescara, che ha illustrato i vari punti della legge 194, evidenziando come essa, a suo dire, conceda sì la possibilità di abortire, ma non sia un vero e proprio “diritto” garantito dallo Stato, a differenza di quanto accade in Francia o altrove. Il suo invito, quindi, era di impegnarsi affinché anche in Italia si arrivi a riconoscere tale diritto in modo esplicito, oltre a promuovere una mentalità che non faccia sentire in colpa le donne che, come lei, scelgono di non avere figli.
Alcuni presenti hanno poi preso la parola per proporre ulteriori spunti e criticare gli aspetti della 194 che, a loro avviso, dovrebbero essere riformati. In particolare, si è contestato il fatto che i Consultori e gli operatori ProVita – ritenuti da costoro “colpevoli” di violare la libertà delle donne – abbiano margini d’azione che rallentano o ostacolano l’applicazione della legge stessa.
È stato a quel punto che mi sono sentita chiamata in causa. Ho chiesto di poter intervenire e, ottenuta la parola, ho detto: “Non sono una volontaria di ProVita, ma, come loro, mi sento in dovere di proporre un punto di vista differente rispetto a quanto emerso finora. Rappresento Il Popolo della Famiglia, il movimento politico che nel 2019 ha presentato la proposta di legge sul Reddito di Maternità, l’unica, a mio parere, che mette al centro la donna, offrendo la possibilità di scegliere se fare la mamma a tempo pieno o continuare a lavorare. Perché – e voi ne sarete consapevoli – non è scontato che alle donne venga serenamente riconosciuto il diritto di diventare madri.
Io ho tre figli e sono stata fortunata: i miei datori di lavoro non mi hanno mai imposto di firmare dimissioni in bianco (da utilizzare in caso di gravidanza). Ciononostante, ho dovuto subire frecciatine e prese in giro per aver avuto ‘tanti’ figli. Ecco perché, soprattutto da un sindacato come il vostro, mi sarei aspettata un’attenzione maggiore per i diritti delle madri e per il sostegno concreto alla genitorialità, invece di concentrarsi su come ampliare l’accesso all’aborto e, in particolare, all’aborto farmacologico. Voi avete parlato della RU486 come una conquista da integrare nella 194, così da permettere alle donne di assumere comodamente il farmaco a casa, data la sempre crescente difficoltà di abortire in ospedale. Io, al contrario, credo che un farmaco abortivo non dovrebbe mai essere assunto altrove se non in ospedale, dove le donne potrebbero essere assistite tempestivamente nel caso di complicazioni, purtroppo non rare.
Lei, Benedetta, ci ha raccontato che, a 35 anni, è fiera di non volere figli e grata alle donne che si sono battute per la 194. Io, invece, credo che dovremmo essere tutti riconoscenti ai nostri genitori per averci permesso di vivere, non abortendo. E concludo ricordando che, come affermano 9 biologi su 10, la vita inizia al momento del concepimento. Dunque, l’aborto, da quel punto di vista, è un atto soppressivo di una vita umana e non dovrebbe esistere una legge che lo consenta. Al contrario, occorrerebbe promuovere una mentalità diversa, che responsabilizzi le persone sul piano sessuale, specialmente le nuove generazioni, e che faccia comprendere come non possa esserci una vera autodeterminazione femminile senza tutelare anche la vita del nascituro”.
Queste sono state le mie parole, dette con convinzione e con la speranza che aprano a una riflessione più ampia sui diritti delle donne e sul rispetto per la vita nascente.
E’ inoltre intervenuto Mario Motta, in rappresentanza anche lui del Popolo della Famiglia, che ha sottolineato come, dai dibattiti degli anni ’70 incentrati sull’assenza di tutele per le donne, si sia passati oggi a una carenza di diritti per gli uomini, che dopo il concepimento non hanno più voce nelle decisioni della partner e vengono spesso accusati di “patriarcato”. Secondo Mario Motta, è fondamentale che il concetto di “diritto” venga rispettato tanto per le donne quanto per gli uomini, senza trascurare (come invece spesso accade) il diritto di nascere e, dunque, la tutela del bambino, la parte più debole che potrebbe essere privata della vita in caso di interruzione di gravidanza.