Lucca, un profilattico nella mela della degente: assolti due dipendenti di una cooperativa

articolo tratto da il Tirreno riguardante un caso importante di alcuni anni orsono --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- LUCCA. Cinque anni dal momento del fatto alla sentenza, una decina di migliaia di euro spesi per cercare il Dna di venti persone (tra medici, infermieri e personale del centro cottura), analisi di laboratorio sul preservativo incriminato, una delle indagate licenziata dalla cooperativa in cui prestava servizio. Tutto questo sforzo ha portato ieri mattina – 25 settembre – a un’assoluzione con formula piena pronunciata dal giudice Gianluca Massaro – con il rappresentante dell’accusa che parimenti aveva chiesto il proscioglimento con la formula dubitativa – dei due dipendenti della società che si occupava della fornitura dei pasti all’ospedale accusati di aver nascosto un profilattico arrotolato nella mela cotta che avrebbe dovuto mangiare a fine pasto la degente di circa 60 anni residente nella Piana ricoverata nel reparto Obi (osservazione intensiva breve) del San Luca. L’accusa Cinque anni sotto la lente d’ingrandimento per i due dipendenti – lei 53 anni residente a S. Anna, assistita dall’avvocato Nicola Frezza, lui 51 anni, abitante a Nozzano, difeso dall’avvocato Eleonora Andreotti – accusati di aver violato l’articolo 5 della legge 283 del 30 aprile 1962 in materia igienico-sanitaria legata alla distribuzione e al consumo di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione. Un reato punito con l’arresto da tre mesi a un anno e con l’ammenda da 2582 euro a 46.481, ma contravvenzionale. Vale a dire che era ammesso un rito alternativo al giudizio penale mediante il quale, con il pagamento allo Stato di una somma di denaro prestabilita, il reato si estingueva. Una sorta di depenalizzazione negoziata. Ma entrambi gli indagati sapendo di non aver alcuna responsabilità sulla vicenda e certi dell’assoluzione hanno affrontato a testa alta il processo. La donna, che dopo le accuse era stata licenziata dalla ditta di ristorazione aziendale e forniture alimentari ha intentato una causa di lavoro al tribunale di Lucca, l’ha vinta, ha scelto il reintegro anziché il risarcimento e dopo un mese dal suo ritorno in azienda, con le dovute scuse, si è licenziata. I fatti Entrambi gli indagati erano in servizio, assieme ad altre persone, il 27 settembre 2019 al centro cottura che si trova in una palazzina vicina all’ospedale San Luca e collegata con un tunnel sotterraneo. Quella sera, poco dopo le 19, una paziente sessantenne mentre consuma la cena trova il profilattico arrotolato. Succede di tutto. Dalla denuncia dei familiari all’intervento dei politici sino all’indagine interna dell’Asl. Indignazione generale e la procura che apre un’inchiesta. Quel condom, assieme al coccio in cui era contenuto, viene sequestrato dalle forze dell’ordine, repertato, sistemato in una cella frigorifera ed esaminato dopo un anno. Vengono fatti accertamenti sul Dna di 20 persone che quella sera si trovavano in servizio. Vengono rivenute tracce leggerissimamente compatibili al profilo di due persone, un uomo e una donna. E su di loro si focalizza l’attenzione degli inquirenti. Eppure i due erano smontati alle 16 e il carrello con il pranzo incriminato era stazionato in una zona incustodita per oltre 40 minuti senza che il carrello con il pasto avesse una chiusura ermetica e in un luogo di passaggio dove avevano accesso decine e decine di altre persone mai state identificate.
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