Sull’acqua di Lucca.



1).Situazione attuale. Dopo il parere del prof. Tronca dato all'Amministrazione, con il quale veniva negata la possibilità di una qualsiasi proroga dell'affidamento del servizio idrico a Geal spa, attualmente in gestione, ma in scadenza il 31/dicembre /2025 , il dibattito politico si é concentrato e diviso, quasi esclusivamente, su l'applicazione della legge regionale 28 dicembre 2011, n.69, con la quale la Regione toscana ha dato una disciplina giuridica integrale della gestione del servizio idrico integrato; una tale legge ha ritenuto, innanzitutto, la Toscana, per intero, un "ambito territoriale ottimale", cioè un territorio all’interno del quale i comuni che ne fanno parte dovevano organizzare la gestione dei sevizi idrici integrati e gestire le tariffe che ne derivano; il territorio regionale veniva, poi, diviso in sei conferenze, nella prima della quale, denominata “Toscana Nord”, e amministrata ora da Gaia, la società Geal sarebbe stata costretta, perciò, inevitabilmente a refluire. Una tale posizione era rafforzata dal parere del Presidente di Lucca Holding Porciani; con qualche resistenza, invero, del Sindaco Pardini, che confidava però nel fatto precario e politicamente inaffidabile che in Gaia, al momento, c’è una prevalenza di comuni del centro destra; il più esagitato sostenitore dell’entrata immediata in Gaia ed oppositore di ogni altra soluzione che il Sindaco, nonostante tutto, sta ancora cercando, si è mostrato l’assessore regionale Stefano Baccelli, che ha sollecitato il Sindaco ad entrare in Gaia e a farlo presto, per acquisire all’interno una posizione di rilievo.

Una tale sollecitazione ad una rapida confluenza di Gesam spa in Gaia non tiene conto, però, della normativa nazionale, che, con l’art. 144 del Codice dell’ambiente, precisa ( prima del referendum del 2011), che le acque pubbliche “appartengono al demanio dello stato” e, di conseguenza, secondo l’art. 153, “sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato” ( nel nostro caso a Gaia”); lo stesso succede per quanto riguarda la tariffa “che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato” . A tenore di tutto ciò, a mio avviso, entrare in Gaia costituisce una resa totale per chi difende l’’acqua dei lucchesi, che, contro la tradizione e i sacrifici secolari dei loro padri, saranno costretti a vederla gestire, con autorità, più da Pisa che dalla loro comunità.

2). Ignoranza al comando. Ma il dibattito politico attuale è contrassegnato da una ignoranza totale delle regole giuridiche che dovrebbero caratterizzarlo. Infatti, dopo l’alluvione di Firenze del 1966, che mi ha coinvolto, in quanto assistente universitario all’Università di Firenze, e dopo anni di tentativi mal riusciti, sono stato il promotore di due leggi fondamentali, votate da tutte le forze politiche, perché da me convinte ad uno sforzo di unità, in nome del bene comune: la legge sulla difesa del suolo e dell’acqua, la L. 183 del 18/05/1989 e la legge 5 gennaio 1994, n. 36 ( la cosiddetta legge Galli), sulla riorganizzazione dei servizi idrici. Con entrambe le leggi venivano realizzate riforme molto importanti, espresse dalla stessa terminologia, perché, con la prima, la difesa del suolo e dell’acqua veniva tenuta distinta e separata dalle politiche condotte sul territorio delle diverse istituzioni, ma centrata, per quanto riguarda la prevenzione, la conoscenza, gli interventi, sulla parte del territorio più interessata ai problemi dell’acqua, chiamata appunto “bacino idrografico”, con una differenziazione tra i bacini di maggiore importanza, detti di rilievo nazionale, gestiti da cinque ministri ( ambiente, lavori pubblici, agricoltura, beni culturali, protezione civile, dagli altri bacini, gestiti dalle regioni: affermava, infatti, l’art. 13 della legge che “l’intero territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, è ripartito in bacini idrografici”: tutte norme considerate dall’ art. 1, comma 5 della stessa legge, come “norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica nonché principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione”.Il concetto di bacino idrografico, istituito dalla legge 183/1989, veniva ripreso dalla legge 36/1994, che si occupava della organizzazione dei servizi idrici, perché stabiliva, all’art. 8, comma 1,che i servizi idrici dovevano appunto essere “organizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati secondo i seguenti criteri: rispetto dell’ unità del bacino idrografico o del sub bacino o dei bacini idrografici contigui”.

Le disposizioni contenute nelle due leggi citate avevano una vigenza generale; ma anche successivamente, quando l’art. 117 della Costituzione è stato modificato, il 3 gennaio 2001, e l’assetto del territorio è divenuto “legislazione concorrente”, le disposizioni in esse contenute sono divenute “principi fondamentali” dello Stato, vincolanti per la legislazione della Regione. C’è di più: per quanto riguarda il punto che maggiormente ci interessa, quello della organizzazione dei servizi idrici integrati, il Codice dell’ambiente, all’art. 147, ha stabilito che “ i bacini idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della legge 5 gennaio 1994,n.36.

Va aggiunto, in conclusione, che l’indirizzo costituzionale della politica di tutela delle acque, attuata secondo il criterio del rispetto della realtà del bacini idrografici, è rimasto un principio costituzionale fondamentale, osservato anche dopo la nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione. Perfino la L.28/12/2015, n.221, con la quale Matteo Renzi ha introdotto in Italia il modello tedesco dei distretti idrografici ( ma in Germania hanno incidenza maggiore le alluvioni, che i fenomeni di rischi sismici e di frane, oltre che di eccessivo consumo di suolo, che in Italia giustificavano la misura più ridotta dei bacini idrografici, rispetto ai distretti ), li indica e contrassegna , all’art.64, proprio in funzione dei bacini idrografici, citando, nel distretto idrografico dell’Appennino settentrionale, come suo componente, il Serchio, che viene qualificato, appunto, come “bacino pilota ai sensi della legge 18 maggio 1989, n.183” ( interessante é anche la prescrizione dell’articolo 11, comma 3, di mantenere, per il Serchio, la “ sede operativa esistente al fine di garantire il necessario presidio e la pianificazione del territorio”).

3). Il bacino idrografico del Serchio. Rchiamando gli accenni finora fatti, buisogna ricordare che la legge 183/1989 sulla difesa del suolo e dell’acqua aveva istituito, all’art. 30, un bacino sperimentale, gestito da 5 ministri ( ambiente, lavori pubblici, agricoltura, beni culturali, protezione civile), affiancati pariteticamente da funzionari regionali, e che era stato scelto per le particolari condizioni di dissesto idrologico ,di rischio sismico e di inquinamento delle acque, nel quale, allora, si potevano applicare, per la redazione del Piano di bacino. non solo le nuove normativa introdotte dalla L.183/1989, ma anche le normative recepite al riguardo dalle direttive comunitarie.

Va aggiunto che il Ministro dei lavori pubblici , con Decreto del 10/07/1989, aveva individuato il bacino pilota sperimentale nel bacino del Serchio, e la legge7 agosto 1990, n.253, poi, lo aveva poi trasformato in un bacino di rilievo nazionale; sancendo, al comma 2, che fossero a lui applicabili “per tutta la durata della sperimentazione, le disposizioni in materia di funzioni, di organi e di interventi relativi ai bacini di cui all’art.12 della medesima legge” 183/1989”, cioè ai bacini di rilievo nazionale. Una tale prescrizione è di una importanza straordinaria, perché innesca, anche per il bacino del Serchio,la disciplina prevista dalla legislazione nazionale, precisamente dalla legge 5 gennaio 1994 ( la c.d. “legge Galli”), che stabilisce, all’ art.8 comma 6, che nei bacini di rilevo nazionale, come è appunto il bacino del Serchio, le Regioni, alle quali, secondo la legge Galli, spetta provvedere a delimitare gli ambiti territoriali ottimali, “provvedono, appunto, alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali dopo aver sottoposto il progetto alla delimitazione dell’Autorità di bacino”: il che vuol dire che il Bacino del Serchio, dopo una verifica, per quanto riguarda la sua delimitazione,- cosa fatta, di cui sono testimone, effettuata dai 5 ministri e dai 5 funzionari regionali, previsti dall’art. 30 della legge 183/1989, che ne costituivano l’Autorità di bacino, avrebbero dovuto dichiarare il bacino del Serchio “ambito territoriale ottimale”, permettendone ai 42 comuni che ne facevano parte ( 31 della Lucchesia, 5 del Pistoiese, 4 del Pisano), di curarne l’organizzazione.

La legge regionale 28/12/2011, n. 69, alla quale tutti oggi guardano e sulla cui base discutono, viola pesantemente la legge nazionale; basta pensare che, contrariamente a tutta la legislazione nazionale ed europea, si rifiuta persino di usare la parola “bacino idrografico”, che contrassegna ogni buona politica di difesa dell’acqua e del suolo; e ritorna con arroganza al passato stabilendo, contro la legge nazionale, contrariamente appunto a tutta la legislazione nazionale ed europea, di usare una la parola, affermando, all’art. 2, che l’ambito territoriale ottimale è costituito dall’ intera circoscrizione territoriale regionale”.

Un abuso, che io, se fossi il Sindaco, combatterei fino in fondo, spinto, come merita, dalla difesa dell’acqua di Lucca; mai naturalmente chiedendo e mai accettando di essere messo a forza in Gaia, perché tutto questo equivarrebbe ad un condono di una violazione; ma, dopo aver convinto benevolmente il Presidente Giani a rettificare una legge regionale chiaramente illegittima e ingiusta per il bacino del Serchio, resisterei duramente in Tribunale contro l’eventuale decisione illegittima, chiedendo un giudizio incidentale di verifica costituzionale. Tutto ciò adeguatamente preparato e sostenuto da giuristi esperti e capaci ( tipo Morbidelli), di pasta diversa da quelli finora forniti all’Amministrazione

3). Scelte attuali di necessità. Naturalmente, nel frattempo, difenderei la situazione esistente, dando applicazione alle proposte fatte dallo Studio Associato Caniparoli, a cui si è rivolto il Sindaco, che mi sembrano entrambe valide; sia quella che fa capo alla previsione dell’art. 147, comma 2, che autorizza la proroga delle gestioni esistenti quando ricorrono quattro caratteristiche, ben indicate, che, anche a mio avviso, sono tutte presenti, soprattutto se commisurate, come io penso, a differenza dallo Studio Caniparoli, non su l’acqua che bagna le sponde della città, ma a quella dell’intero bacino idrografico, di cui tratta sempre la legislazione di riferimento: acqua, in particolare, tutte pregiate perché utilizzate per l’approvvigionamento idropotabile di Pisa e di Livorno, a differenza di quelle dell’Arno. E’ vero, poi, che la domanda di proroga del Comune doveva essere presentata all’Ente di governo dell’ambito, entro l’ 1/07/2022, cosa che non è avvenuta; ma, non avendo, l’Ente competente, assunto ancora nessuna decisione al riguardo, nel tempo per lui prefissato, e non per caso, ma perché l’Ente di governo d’ambito è stato abolito de una legge, rimane possibile, come ritiene anche lo Studio Associato Caniparoli, che la domanda di proroga possa essere di nuova formulata, sempre che la Regione non dimostri, anche in questo caso, una eccessiva chiusura e ostilità.

La seconda proposta formulata dallo Studio Associato Caniparoli, quella di ricorrere all’utilizzo di una “società in house” , cioè una società pienamente dipendente dall’Amministrazione comunale, come già realizzata a Napoli, mi sembra però preferibile, viste le recenti difficoltà da parte del socio privato, che si è rifiutato di fornire all’Amministrazione, per assurdi motivi di riservatezza il contratto del 2019 che regola la fornitura di acqua a Pisa e Livorno. E tenuto conto che noi una società in house l’abbiamo già, precisamente Lucca Holding, che in breve tempo potremmo attrezzare adeguatamente per gestire dal 1° gennaio 2026, per Lucca, i servizi idrici integrati, a norma della legge “Galli”. Ci conforta anche il fatto che il Parlamento , di recente, ha varato il Decreto legisl. del 31/03/2023, n.36, ( pp.1-2) , con il quale, all’rt.7 comma 2, togliendo ogni vincolo, ha assicurato che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture”. Se così fosse, come io ritengo, il Comune di Lucca potrebbe utilizzare la forma richieste della società in house per gestire direttamente i servizi idrici integrati, previsti dalla legge “Galli”.

Lucca, 24 luglio 2024

Prof. Piero Angelini

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