Comunismo all'italiana

Di Anita Likmeta Perché ho scritto “Le favole del comunismo”, e perché questo titolo fa arrabbiare tanti italiani così tanto. Potrei partire da questo. Dallo spiegare a me stessa, prima di tutto, perché questo libro abbia generato una ventata di odio così potente nei miei confronti, nei confronti cioè di una che, di “comunismo”, ne sa qualcosa davvero, avendolo sperimentato sulla propria pelle, a differenza di coloro che, qui in Italia, lo hanno studiato sui libri o immaginato nelle loro camerette. Persone sicuramente animate da buone intenzioni. Le stesse intenzioni però, che, come si dice, lastricano la strada per l’inferno. In questo dibattito che ho suscitato mio malgrado ho potuto così conoscere una delle categorie più diffuse in questo paese, ovvero quella dei comunisti immaginari. Persone che stanno tutto il giorno attaccate ai prodotti del turbocapitalismo, come gli smartphone, i social media e le piattaforme varie, e che, dall’alto di questa macroscopica contraddizione, vogliono insegnare a me cosa devo pensare di qualcosa che ho conosciuto da vicino, e quanto sia marcio e cattivo quell’Occidente nel quale tuttavia sguazzano e prosperano come pesci nel mare. Persone, generalmente, troppo giovani anche per ricordare quella cosa molto seria che si chiamava Pci e che, in Italia almeno, non ebbe mai esitazione a schierarsi dalla parte della libertà ogni volta che si trattò di scegliere fra la violenza e la sopraffazione e la libera dialettica delle rappresentanze politiche secondo le regole delle democrazie occidentali. Troppo giovani, o semplicemente smemorate. D’altra parte, questi nuovi rivoluzionari da tastiera hanno fatto università nelle quali marxisti altrettanto immaginari proclamano ideali di purezza e giudizi trancianti proprio mentre le loro azioni e la loro vita riflettono tutt’altra attitudine, quella di una combriccola autoindulgente e fondamentalmente chiusa ed esclusiva. Uno dei tratti distintivi di quel gruppo baronale da cui hanno imparato tutto, del resto, è proprio il nepotismo autoreferenziale, un male endemico del sistema universitario italiano. Contrari alla meritocrazia, molti intellettuali di sinistra producono saggi e discorsi per demonizzarla, come se il riconoscimento del merito fosse una resa incondizionata al “mercato cattivo”. In realtà, è evidente che la loro difesa di una società apparentemente egualitaria svela il tentativo di creare una rete di utili connessioni personali, quando non semplicemente parentali, che garantiscano il mantenimento del potere e delle risorse in mano a chi già le detiene. ..............continua a leggere su https://www.linkiesta.it/2024/07/le-favole-del-comunismo-anita-likmeta/
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