di Federico Rampini - corriere.it
Ottant'anni fa migliaia di giovani americani morirono in una guerra che non li minacciava. Oggi l'Europa rischia di essere lasciata sola: sentirebbe la mancanza degli Usa.
A che cosa serve l’America? Più di quattrocentomila americani morirono nella Seconda Guerra mondiale. Ventinovemila solo nell’operazione dello sbarco in Normandia, il D-Day di ottant’anni fa. La sconfitta dei nazifascismi fu possibile perché una generazione di giovani americani pagò un prezzo altissimo, fino a sacrificare la vita, in un conflitto europeo che non li minacciava direttamente (gli Stati Uniti avevano subito l’unico attacco nel Pacifico, dal Giappone). In Italia una vera democrazia, e il diritto di voto per le donne, arrivarono solo dopo la liberazione ad opera delle forze alleate. Il D-Day in Normandia era stato preceduto dagli sbarchi in Sicilia e ad Anzio.
Il ruolo dell’America non finì lì. La Comunità europea, nucleo originario dell’Unione, nacque con l’incoraggiamento di Washington e dopo che il Piano Marshall aveva finanziato la ricostruzione con i soldi dei contribuenti americani. Sconfitti Hitler e Mussolini, nella parte d’Europa sotto la protezione o l’egemonia Usa fiorirono i diritti umani e le libertà politiche. A Est l’Armata rossa di Stalin schiacciava rivolte popolari, soffocava i dissensi, imponeva dittature comuniste teleguidate da Mosca.
La differenza tra l’essere dall’una o dall’altra parte della «cortina di ferro» – cioè il confine tra i due blocchi nella Guerra fredda – fu ben visibile in Italia. Appartenere all’Alleanza atlantica non impedì che in Italia tantissimi elettori (a volte più di un terzo) votassero per il più grande partito comunista d’Occidente. Il partito socialista entrò nelle maggioranze di governo a partire dagli anni Sessanta, quello comunista alla fine degli anni Settanta. Il suo leader, Enrico Berlinguer, arrivò a dire in una famosa intervista al Corriere di sentirsi più sicuro dentro la Nato. Non c’erano libertà per le forze di opposizione a Berlino Est, Varsavia, Praga, Budapest, Bucarest.
Perciò non fummo sorpresi, dopo gli eventi del 1989-1991 (crollo del Muro di Berlino, dissoluzione dell’Unione sovietica), di fronte alla richiesta dei Paesi dell’Europa centro-orientale di entrare nell’Alleanza atlantica. Per loro il giorno della liberazione si era fatto attendere mezzo secolo di troppo.
Tutto ciò è stato dimenticato. Nelle nostre scuole forse si insegna altro. Da parte sua Putin riscrive la storia, con il teorema di un «accerchiamento» della Russia, rilanciato dai suoi sostenitori in Occidente. Il diritto di voto, le libertà tipiche delle nostre liberaldemocrazie e conculcate in tante altre parti del mondo, non sembrano più accendere passioni tra di noi. L’America, e con essa l’intero Occidente, viene considerata come l’impero del male, da una parte delle giovani generazioni.
Nel 2024 nessuno ci chiede di «morire per Kiev», come fu chiesto a tanti giovani americani nel 1944 di sacrificare la vita per liberare la Normandia, poi Parigi, l’Europa intera. Molte cose sono cambiate, anche all’interno degli Stati Uniti. I giovani che caddero sulle spiaggie dello sbarco durante il D-Day erano, in maggioranza, soldati di leva. Il servizio militare obbligatorio fu abolito in America dopo un’altra guerra, quella del Vietnam, un conflitto sbagliato, contestato, lacerante. Oggi gli Stati Uniti hanno, come quasi tutti i Paesi occidentali, un esercito di professionisti e volontari: con crescenti difficoltà di reclutamento, dentro una giovane generazione orgogliosa di essere «pacifista» (salvo quando fa il gesto della pistola per sostenere Hamas).
Questa America così insicura di sé spiega qual è stata la vera priorità di Biden dal febbraio 2022. Di fronte all’aggressione di Putin in Ucraina, il presidente americano non ha mai «aizzato» gli ucraini, non li ha affatto usati in una «guerra per procura». Prima propose a Zelensky di fuggire in esilio. Poi proclamò urbi et orbi i due principi fondamentali che avrebbero guidato l’azione di Washington: «Mai scarponi americani sul terreno, mai un confronto diretto con la Russia». Le armi all’Ucraina, quando arrivarono, erano sempre in ritardo, sempre in quantità e qualità inferiori, e vincolate da restrizioni pesanti. Putin ne ha tratto tutte le informazioni che gli servivano. Mentre strepitava slogan propagandistici contro l’America guerrafondaia, aveva preso le misure della estrema cautela di Biden. Quest’ultimo è il leader esausto di un’America stanca di guerre, sfibrata dall’autoflagellazione e dai continui processi a sé stessa.
Ben presto, forse anche a prescindere dal risultato dell’elezione americana del 5 novembre, l’Europa dovrà confrontarsi in modo serio con la domanda: a cosa serve l’America? A che cosa è servita davvero negli ultimi ottant’anni? Ne sentiremo la mancanza se e quando negli Stati Uniti prevarranno le tendenze isolazioniste, di destra e di sinistra. Forse un giorno nelle scuole sarà utile soffermarsi sul significato del D-Day in Normandia, affrontando la domanda seguente.
(continua su https://www.corriere.it/esteri/24_giugno_08/il-d-day-i-caduti-americani-e-noi-un-po-smemorati-95d0921d-e2f6-40c9-853e-8a8daf736xlk.shtml?refresh_ce)
L’Europa sarebbe stata liberata dai nazifascismi, se una generazione di americani ottant’anni fa avesse rifiutato la chiamata alle armi, e avesse scelto invece di sfilare in cortei pacifisti contro Hitler?