Pronto Soccorso a Lucca : L’odissea di un anziano raccontata dalla figlia.

da il TIRRENO LUCCA CRONACA L'anziano è rimasto per tre giorni su una barella, poi ha firmato per andarsene e terminare il calvario in pronto soccorso L’odissea di un anziano raccontata dalla figlia. L’uomo ha preferito andarsene pur di non restare un’altra notte: ennesimo capitolo nero del sistema sanitario regionale 27 luglio 2022 LUCCA. Alla fine ha preso il modulo per la dimissione volontaria, la penna appoggiata sul tavolo e ha firmato. Meglio uscire sorretto da due infermieri che arrendersi alla prospettiva di rimanere ancora una notte, la terza, su una barella in un corridoio del pronto soccorso dell’ospedale San Luca di Lucca. Protagonista della storia che si è snodata dalla mattinata di domenica alla serata di martedì un uomo di 80 anni, residente a Lucca. A raccontare quanto avvenuto è la figlia Tiziana: «Il 24 luglio, di mattina preso, mio padre è improvvisamente svenuto, riportando un trauma alla testa: abbiamo subito chiamato l’ambulanza che l’ha portato al pronto soccorso». È in quel momento che comincia una vicenda anche troppo comune, nella civile Toscana del 2022. Al signore viene assegnata un’urgenza di livello 3, «differibile». Che si trasforma, come racconta la figlia, in tre giorni «nel corridoi del pronto soccorso: prima gli esami di routine e la medicazione alla ferita in testa, poi in osservazione per due giorni, su una barella». Tiziana è chiara: il suo non vuole essere un attacco al personale sanitario. «Mio padre è stato assistito e curato. Ma le condizioni in cui medici, infermieri e operatori sociosanitari lavorano sono impossibili». A complicare il tutto le restrizioni in vigore da oltre due anni a causa del Covid: «Giustamente – prosegue Tiziana nel suo racconto al Tirreno – noi familiari non abbiamo potuto entrare. Questo vuol dire che abbiamo avuto sue notizie solo da lui, per telefono. Dopo due giorni e due notti insonni e dopo esami vari ancora non si sapeva niente. Ci ha raccontato che è come essere al fronte: entrano pazienti in continuazione, non ci sono più posti letto, mancano le barelle. Lui è già stato fortunato ad averne una: chi chi in preda al dolore e alla paura è costretto su una poltrona o su una sedia per ore. Medici e infermieri sono ridotti all’osso, non si fermano mai, si affannano, cercano di seguire tutti ma non riescono: la situazione è ormai al collasso e a farne le spese sono i pazienti sofferenti e i dipendenti che non possono lavorare in tali condizioni». Il pronto soccorso di Lucca, come molti altri, deve fare i conti con una carenza ormai cronica di personale, a partire dai medici, rimasti in 12, più due rinforzi dal 118. Ma i numeri dei ricoveri di queste difficoltà se ne fregano e non guardano in faccia a nessuno: a giugno, tra caldo e Covid, 164 al giorno di media, con punte di 200. Alla fine il padre di Tiziana ha preso la decisione di firmare e venirsene via, anche se indebolito dai tre giorni in barella. «Ma gli altri che sono ancora dentro al pronto soccorso – si chiede la donna – che fine faranno? E i medici e gli infermieri? Osannati giustamente da tutti come eroi e poi lasciati soli a lavorare sotto organico, in condizioni non adeguate a garantire un servizio essenziale, unico filtro per chi arriva e pone la propria vita nelle loro mani. Mi appello perché vengano difesi i diritti del malato, ma anche i diritti di chi deve essere messo in condizione di lavorare in maniera adeguata. Ringrazio lo staff del pronto soccorso a nome di mio padre, ringrazio coloro che ogni giorno fanno da parafulmine per un’intera azienda sanitaria, con coraggio e tenacia. E ho nel cuore chi è rimasto lì a lottare».


foto di archivio
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