“Spettro del fascismo” o ritorno del fascismo?
La censura del monologo sul 25Aprile dello scrittore Antonio Scurati da parte del vertice meloniano della Rai, ormai trasformata in tutto e per tutto nella riedizione dell'Eiar mussoliniana, ha aperto una discussione tra gli intellettuali della “sinistra” borghese sull'esistenza di uno “spettro del fascismo” che aleggia sulla democrazia italiana e la minaccia di una “svolta illiberale” sul modello dell'Ungheria di Orban. E citano in particolare il fatto che Giorgia Meloni si rifiuti di condannare esplicitamente il fascismo e di dichiararsi antifascista, come la Costituzione su cui ha giurato le imporrebbe. Anche questo 25 Aprile, infatti, si è ben guardata dal farlo, limitandosi a dichiarare con la sua abituale faccia di bronzo che in questo giorno di 79 anni fa “la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia”: come se il fascismo fosse stato un malessere passeggero della felice democrazia italiana, uno spiacevole incidente della storia cominciato non si sa perché e finito non si sa come, ma comunque da mettere nel dimenticatoio.
Nel monologo soppresso dagli zelanti censori meloniani della Rai, Scurati aveva scritto che invece di ripudiare il suo passato neofascista Meloni cerca di riscrivere la storia, “senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista” e disconoscendo “il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola 'antifascismo' in occasione del 25 Aprile 2023)”: “Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”, concludeva lo scrittore. Che dopo aver letto il suo monologo in piazza Duomo a Milano alla grandiosa manifestazione nazionale antifascista, ha aggiunto: “Temo che oramai nemmeno questo 25 Aprile pronunci la parola antifascismo”.
Il giorno successivo, in un'intervista a La Repubblica , Scurati ha ripreso il tema della censura e degli attacchi da lui subiti da parte della premier neofascista e dei suoi sostenitori denunciando che in Italia “la svolta illiberale è già iniziata”, e in particolare con “il progetto di riforma costituzionale che prevederebbe l'elezione diretta del capo del governo”: “Ciò che mi preoccupa – sottolineava lo scrittore - è il peggioramento qualitativo della democrazia. È in atto oggi una sua lenta e progressiva erosione. E il processo non riguarda solo l’Italia ma l’Europa. Il modello dei postfascisti sono le democrazie autoritarie o illiberali come l’Ungheria”.
L'editoriale di Giannini e la lettera di 80 intellettuali per Canfora
A fargli prontamente eco su questi temi è stato l'ex direttore de La Repubblica Massimo Giannini, che in un lungo editoriale del 27 aprile dal titolo “La deriva ungherese”, più che lo “spettro del fascismo” evocato nel monologo di Scurati ne sposa la tesi della “svolta illiberale già cominciata” espressa nell'intervista al suo stesso giornale. Ci tiene anzi a sgombrare subito il terreno da un simile fantasma, premettendo subito che “qui nessuno teme che il disegno meloniano di oggi contempli il ritorno alla dittatura fascista”, e aggiungendo poi che “quello che dobbiamo temere, invece, sono le democrazie illiberali”, perché “i nemici delle liberaldemocrazie non marciano su Roma, ci arrivano vincendo le elezioni”.
Per Giannini, infatti, la dichiarazione antifascista è preclusa per Meloni pena la rottura con il suo passato di militante missina, ma lei non è fascista: “per dichiararsi antifascisti, bisogna esserlo. E Meloni, fino a prova contraria, non lo è. Semmai è 'a-fascista'”, sostiene incredibilmente il giornalista, e fingendo di non accorgersi della contraddizione aggiunge che “è anche questa la ragione per la quale ha bisogno di una riforma come il Premierato Forte, indispensabile per rifondare una nuova Costituzione nella quale la 'destra esclusa' di Almirante diventa 'madre costituente', senza mai aver chiuso i conti con i lasciti tragici di nonno Benito”. Cioè, a suo dire, la controriforma presidenzialista sarebbe per la premier neofascista solo una scappatoia per sdoganare come costituzionale la destra figlia del MSI di Almirante, e non un progetto ben più ambizioso e pericoloso quale il compimento del disegno della P2 di Gelli e di Berlusconi della trasformazione della repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, con l'elezione diretta del capo del governo che assume i pieni poteri come Mussolini, il parlamento e la magistratura esautorati e ridotti ad appendici agli ordini del governo e il presidente della Repubblica a una carica puramente decorativa. Non a caso la ducessa la chiama “la madre di tutte le riforme”. Ciononostante Giannini non ne rileva fino in fondo il grave pericolo dittatoriale e il progetto mussoliniano che essa contiene.
Non se ne rendono conto neanche gli 80 intellettuali, principalmente francesi e italiani, dell'appello “Per l'Italia, per l'Europa, difendiamo la libertà di pensiero”, firmato in difesa del professor Luciano Canfora, trascinato in giudizio da Meloni per aver detto due anni fa, non in maniera apodittica ma a conclusione di un ragionamento articolato e del tutto coerente, che lei è “neonazista nell'animo” (anche se già che c'era poteva dire neofascista, e sarebbe stato più appropriato). Anch'essi come Scurati deplorano che la premier e i suoi accoliti non condannino il fascismo e che “tutti, sistematicamente, rifiutano di dirsi antifascisti”. E anch'essi come Giannini e Scurati credono che l'essenza del disegno meloniano consista nell'“intenzione di far evolvere l’Italia verso il modello illiberale di Polonia e Ungheria”.
Inutile e ridicolo chiedere a Meloni di dichiararsi antifascista
A nessuno di tutti questi intellettuali, che continuano a chiedere a Giorgia Meloni che si dichiari finalmente antifascista, viene in mente che lei non lo fa semplicemente perché è fascista fino al midollo, e lo è per formazione politica e culturale, per convinzione ideologica e per progetto politico. Ma anche se lo facesse non cambierebbe nulla, sarebbe solo un cambiamento della facciata con cui si presenta, non del contenuto neofascista che incarna e che è determinata a portare avanti. Non è, come dice Giannini, che si è inventato appositamente la tesi ridicola della Meloni “a-fascista”, che lei non può dichiararsi antifascista solo per opportunismo, in quanto perderebbe voti e sostegno da parte dei nostalgici del duce, ma è esattamente il contrario: sarebbe solo per opportunismo se lei si dichiarasse antifascista, ove ciò dovesse un giorno rispondere ad un suo calcolo tattico. Così come ha già fatto per esempio condannando la “vergogna” delle leggi razziali del 1938 solo per ingraziarsi la comunità ebraica e accreditarsi oggi come la più fidata paladina del nazisionismo di Israele.
Per cui continuare a chiederle di dichiararsi antifascista non solo è un esercizio inutile e retorico, ma anche ridicolo. Su questo aspetto è più onesto e coerente Tomaso Montanari, che alla domanda del conduttore di “100 Minuti”, Corrado Formigli, se dichiararsi antifascista “sarebbe un passaggio importante per Giorgia Meloni”, ha così risposto: “Si, ma forse è inutile che continuiamo a chiederglielo. Come fai a dire 'sono antifascista' se hai la fiamma della bara di Mussolini sul simbolo? Vogliamo che ci prenda in giro? Non ce lo dice perché non è antifascista”.
Anche se subito dopo, per opporsi al progetto presidenzialista meloniano il professore si rifugia nella proposta illusoria dell'“attuazione della Costituzione”, non vedendo la contraddizione col fatto che anche la premier neofascista ha giurato sulla Costituzione, come ha sottolineato nel suo discorso di insediamento davanti alle Camere, aggiungendo anche di incarnare col suo partito “senza alcuna ambiguità i valori della democrazia liberale”. E del resto è proprio sfruttando le regole di questa Costituzione, già fatta ormai a brandelli e stravolta a destra dalla seconda repubblica e dal regime capitalista neofascista, che Meloni si propone di attuare il suo nero progetto presidenzialista.
L'impronta di Mussolini sulla politica del governo Meloni
Per gli stessi motivi è riduttivo e ipocrita parlare di “spettro del fascismo” e “svolta illiberale”, quando il fascismo è già qui, è tornato al governo nel 2022 completando la nuova marcia su Roma elettorale e parlamentare iniziata nel 1946 dal MSI del fucilatore di partigiani Giorgio Almirante per restaurare il fascismo; progetto che Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia, suoi diretti eredi e continuatori, stanno completando in alleanza con la Lega razzista di Salvini e Forza Italia degli eredi del piduista Berlusconi.
Il fascismo di oggi non si ripresenta necessariamente con le forme di ieri, ma con gli stessi contenuti ideologici, politici , economici e sociali. Dopo un anno di questo governo sono più che abbastanza le prove – per chi vuol vederle – che il fascismo mussoliniano è tornato al potere in Italia. Certo non con le forme esteriori e la violenza aperta con cui conquistò il potere nel 1922, ma con forme e metodi più adatti al XXI secolo, e cioè nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali di Giorgia Meloni. Ma la sua ideologia, le sue ambizioni, la sua politica interna ed estera e l'arroganza con cui le porta avanti e le impone al Paese sono esattamente le stesse di Mussolini: basta vedere la sua politica razzista e xenofoba contro i migranti e la cura poliziesca del manganello che applica agli studenti, ai lavoratori e a chiunque osi contestarla nelle scuole e nelle piazze (manca solo l'olio di ricino); la sottomissione della magistratura e l'occupazione militare della Rai, in parallelo con l'assalto all'egemonia culturale nel Paese e il silenziamento di ogni voce non servile (di cui Scurati come tanti altri hanno già fatto le spese); l'esaltazione della triade mussoliniana “dio, patria e famiglia”, col ritorno al ruolo domestico e procreativo delle donne, e la normalizzazione gentiliana, classista e meritocratica della scuola; il corporativismo in campo economico e sociale, che premia le classi più abbienti e gli evasori fiscali e affonda ancor di più poveri, i disoccupati e gli emarginati, mentre esautora i sindacati che non sono direttamente al servizio del governo; il nazionalismo e il militarismo patriottardi, che spingono il ritorno alla politica espansionista ed egemonica di Mussolini nel Mediterraneo, nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa, di cui la missione imperialista nel Mar Rosso e il Piano Mattei neocolonialista per l'Africa sono solo gli ultimi esempi. Senza contare il premierato di stampo piduista e spiccatamente mussoliniano di cui abbiamo già parlato.
Per non ripetere i tragici sbagli del 1922
Anche la stessa scelta della premier neofascista di mettere solo il nome “Giorgia” nel simbolo elettorale è una mossa tipicamente mussoliniana, equivalente a dire “vota Benito”. Com'è possibile allora che gli intellettuali della “sinistra” borghese non vedano in tutto questo gli evidenti segni del ritorno del fascismo al governo? Come ha spiegato il Segretario generale del PMLI, Giovanni Scuderi nel messaggio di ringraziamento alla delegazione nazionale del Partito alla manifestazione del 25 Aprile a Milano: “É evidente che la “sinistra” borghese, in tutte le sue ramificazioni, non può dire che l'attuale governo è la riedizione del governo di Mussolini perché allora sarebbe costretta a mobilitare le masse per abbatterlo con la violenza antifascista della piazza ”.
Il nostro auspicio è che essi prendano rapidamente e fino in fondo coscienza di questa contraddizione e si decidano a battersi insieme al PMLI in favore della costruzione di un vasto fronte unito antifascista per cacciare il governo neofascista Meloni con la lotta di piazza. Altrimenti la loro fine sarà quella dei loro predecessori liberali e riformisti di un secolo fa, che assistettero impotenti e rassegnati all'ascesa di Mussolini, lasciando sole le masse a battersi eroicamente ma senza speranza contro la marea montante del fascismo.
8 maggio 2024
Pmli.it
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