Quando gli Alleati presero Cassino, seguirono 50 ore di stupri
Storia Quando gli Alleati presero Cassino, seguirono 50 ore di stupri
Il 18 maggio 1944 le truppe coloniali francesi, dopo aver preso Cassino, si macchiarono di un orrendo crimine di guerra: lo stupro di migliaia di donne.
Cassino bombardata - Seconda guerra mondiale
Cassino dopo i bombardamenti alleati e la furiosa battaglia contro i tedeschi, che durò da metà febbraio al 19 maggio 1944.
Nella primavera del 1944, durante l'avanzata degli Alleati, in Ciociaria le truppe coloniali francesi si macchiarono di un orrendo crimine di guerra: gli stupri di migliaia di donne italiane. Le cifre di quel dramma nell'articolo "50 ore bestiali" di Gigi Di Fiore, tratto dagli archivi di Focus Storia.
TERRORE ALLEATO. Aspettavano i liberatori, la fine della guerra dopo quattro mesi di paura per quei cannoni minacciosi sul vicino fronte di Cassino. Aspettavano una speranza e invece arrivò il terrore. Nel maggio del 1944 la Ciociaria visse il dramma delle migliaia di donne violentate dai soldati delle truppe coloniali francesi. I militari del Cef (Corpo di spedizione francese), guidati dal generale Alphonse Juin, un algerino di 55 anni, tozzo e grasso, dai modi bruschi.
ESERCITO RAFFAZZONATO. A corto di uomini, prevedendo l'intensificarsi dei combattimenti in Normandia come in Italia, gli Alleati avevano chiesto rinforzi ai francesi. E sul fronte italiano furono spediti i nordafricani, che così descrisse lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun: "Era gente abituata a vivere sulle montagne. Pastori, piccoli agricoltori, gente misera. I francesi li rastrellarono, li caricarono sui camion, con un'azione violenta di sopraffazione, e li portarono a migliaia di chilometri da casa a compiere altre violenze. Le loro azioni brutali vanno inquadrate in questo contesto".
MULTIETNICI. Cassino era la madre di tutte le battaglie, in quei mesi. I combattimenti iniziarono nel gennaio del 1944 e si conclusero proprio a maggio. Vi furono impegnati, contro i tedeschi, militari di ben quindici nazioni diverse, ricordati nei cimiteri attorno a Cassino. E c'erano anche loro, i goumiers, storpiatura in francese del termine arabo qum ("squadrone, banda"). Venivano soprattutto dal Marocco, ma c'erano anche tunisini, senegalesi e algerini. E tra le quattro diverse etnie non correva sempre buon sangue.
UNIFORMI PITTORESCHE. Vestivano in maniera particolare, con uniformi pittoresche, che incutevano paura: i djellaba, l'abito nazionale, una tunica di lana grezza a righe grigie dal colore variabile tra bianco, nero e marrone. I colori tradizionali delle montagne dei Chleuh. Poi, come copricapo, un cappuccio ampio, il koub, resistente alla pioggia perché confezionato con pelo di capra. Sul capo, un turbante. Da solo o sotto un elmetto. Ai piedi, dei sandali: i nails. Abituati alla vita dura di montagna nel freddo e nella mancanza di cibo, quelle truppe vennero utilizzate come carne da macello per gli assalti più sanguinosi. E loro risposero come sapevano.
KAMIKAZE. I goumiers consideravano la guerra una dimostrazione di coraggio, sgozzavano spesso i nemici catturati, si gettavano contro le linee tedesche all'arma bianca, senza paura di morire.
Preferivano un coltello largo, lungo e affilato, chiamato koumia. Molti goumiers morirono nei combattimenti. I sopravvissuti, una volta sfondata la linea nazifascista, proseguirono la loro marcia verso i Monti Aurunci e si scatenarono contro i civili italiani. Senza distinzioni.
LA GUERRA IN CASA. Li consideravano prede di guerra, quasi nemici, aizzati anche dai discorsi dei loro comandanti francesi che covavano profondi risentimenti per gli italiani dopo la "pugnalata alle spalle" decisa da Mussolini nel 1940, quando era entrato in guerra al fianco della Germania. Nell'intera Ciociaria, dopo le bombe, la fuga e la fame, arrivarono gli stupri. Negli archivi comunali, nel Museo virtuale sulla Battaglia di Cassino, nelle testimonianze raccolte dalla ricercatrice Gabriella Gribaudi e da altri, sono riuniti i racconti fatti negli anni da quelle donne.
In vita, ne restano poche. Sono i loro figli e nipoti a ricordarle ogni anno. La memoria collettiva in quei luoghi, così, ha capovolto il ricordo della guerra, tramandando il mito del "tedesco buono". Ha scritto Daria Frezza, storica dell'Università di Siena: «L'idea era che i tedeschi avevano rispettato le donne, a differenza dei marocchini, definiti bestie. È una ferita non ancora rimarginata nella memoria collettiva».
CARTA BIANCA. In molte testimonianze si dice che per 50 ore il generale Juin concesse "carta bianca" ai suoi uomini, come ricompensa per l'eroismo dimostrato a Cassino. Erano state le truppe coloniali, al prezzo di 5.241 caduti (alcune fonti dicono 6.039), a sfondare per prime il fronte tedesco. In quelle 50 ore, i goumiers divennero, come riportano le testimonianze tramandate, "li diavuli", i diavoli. A Lenola (Latina), gli stupri accertati furono 282: donne tra gli 11 e gli 80 anni. Le truppe coloniali non risparmiarono gli uomini: in 18 furono violentati. Raffaele Albani, un testimone, raccontò: "I tedeschi in partenza dissero che sarebbero arrivati i negri e di nascondere le donne. I miei parenti si meravigliarono, perché aspettavano gli americani".
LA FIERA DELL'ORRORE. A Castro dei Volsci (Frosinone), il parroco don Quirino Angeloni scrisse un promemoria, elencando la successione degli orrori a partire dal 27 maggio del 1944: "Una maestra di 45 anni dovette sottostare per un'intera notte a un plotone di marocchini, alla presenza del marito che fu legato". Sempre a Castro dei Volsci, i goumiers uccisero 42 persone tra uomini e donne. A Sant'Elia Fiumerapido la storia di Assunta, ragazzina di 13 anni stuprata e picchiata da 13 militari, viene ricordata ogni anno.
COMPLICITÀ. Gli ufficiali francesi, che avrebbero dovuto garantire la legalità e tenere a freno i soldati, chiusero gli occhi.
Per timore, convenienza o complicità. Inutili furono le segnalazioni ai comandi. Del resto, le giovani più delle anziane provavano vergogna a parlare. Soltanto nella seduta notturna del 7 aprile 1952, la deputata comunista Maria Maddalena Rossi denunciò in parlamento il dramma di quelle donne. Azzardò una cifra: 60mila violentate e 17.368 richieste di risarcimento. E disse: "Perduta la possibilità di avere una famiglia, di avere dei figli; perfino il lavoro è precluso a queste giovani e la povertà nel loro caso è ancora più tragica, perché il benessere economico, il lavoro potrebbero almeno aiutarle in parte ad uscire da questo terribile isolamento in cui le ha gettate la disgrazia".
NESSUNA PIETÀ. Se tentavano di difendere le loro donne, gli uomini venivano uccisi. La notte più tragica fu vissuta a Esperia: 900 violentate. Tra loro, Laura Spiriti, di 14 anni, che contrasse la sifilide. Sul territorio del paese i soldati si scatenarono. Il parroco, don Alberto Terilli, cercò di fermare i goumiers. Fu legato e violentato. Morì due anni dopo, il 17 agosto 1946, per le conseguenze degli abusi. A Esperia fu distrutto anche il 90 per cento delle case.
Raccontò Maria De Angelis, una contadina che allora aveva 17 anni: "Non sapevamo che questi marocchini pigliavano le femmine. Noi sentivamo alluccà (gridare, ndr), ma non sapevamo che cos'era". Con il buio aumentava il terrore. A gruppi, i soldati bussavano alle porte. Se non veniva aperto, sparavano e urlavano. Il sindaco di Esperia, Giovanni Moretti, scrisse l'11 ottobre del 1947: "Le truppe marocchine rimasero da occupanti in paese per dieci giorni. L'intera popolazione fu depredata e spogliata di tutto. Qualcuno cercò di trovare conforto e aiuto dagli ufficiali francesi che rispondevano evasivamente e a volte negativamente".. Il generale Juin aveva aizzato i suoi uomini, alla vigilia della battaglia decisiva. Li incoraggiò, li motivò, probabilmente stuzzicò sentimenti e desideri. Ma il documento di cui parlano alcune testimoni, quella "carta bianca" concessa ai soldati, alibi per stupri e violenze, non si è mai trovato. Il testo, più volte riprodotto, direbbe: "Oltre quei monti degli Aurunci, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c'è una terra larga larga e ricca di donne, di vino, di case… Se voi riuscirete a passare oltre la linea senza lasciare vivo un nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete, sarà a vostro piacimento e volontà per 50 ore".
INSABBIAMENTO. Di fatto, nessun ufficiale riuscì a frenare la violenza dei soldati. Molte, ma i dati esatti mancano anche per la ritrosia delle donne a farsi visitare, si ammalarono di sifilide e blenorragia. In tante cercarono di dimenticare, senza un riconoscimento dell'abuso subìto, un risarcimento. La ragion di Stato impedì di porre la questione nelle trattative di pace. L'Italia doveva conquistare consensi negli organismi internazionali, farsi perdonare il peccato originale della guerra a fianco di Hitler. E si scelse il silenzio. Quando l'Osservatore romano provò a denunciare le violenze, fu zittito dagli Alleati. Ma papa Pio XII non volle ricevere a Roma il generale De Gaulle. Per protesta, si mormorò, contro quelle violenze.
PRESA DI POSIZIONE UFFICIALE. Nel 2004, celebrando i 60 anni dalla battaglia di Cassino, l'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, assegnò una medaglia d'oro e dodici d'argento al valor civile ad altrettanti comuni della provincia di Frosinone. E parlò esplicitamente di quelle violenze nel suo discorso a Cassino: «Nessuno potrà mai perdonare le violenze inflitte alle donne, ai bimbi, agli anziani di Esperia e di tanti altri paesi». In realtà, la lunga battaglia legale delle donne, tra pudori da superare, ritrosie, diffidenze dei loro compaesani, fu perdente. Molte non parlarono, tennero nascoste malattie veneree e figli indesiderati
Nell'immediato Dopoguerra ci furono raccolte di fondi per aiutarle. Poi fu stabilito che, come risarcimento una tantum, il governo italiano dovesse anticipare le somme, ricavandole dai 30 miliardi di lire di riparazione di guerra dovuti alla Francia. All'inizio, arrivarono 30mila domande. Fu poi previsto un indennizzo individuale di 150mila lire, ma le donne dovevano dichiarare al pretore che non avrebbero accampato pretese su eventuali pensioni successive, come vittime civili di guerra. Molte, per avere quei soldi – pochi, maledetti e subito – firmarono. Ma gli stupri non erano ancora riconosciuti come crimini di guerra. Lo fece l'Onu, e soltanto nel 2008. Per le donne ciociare, una beffa della Storia.
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