Lo Stato islamico rivendica l'attentato a Mosca
Ma Putin pretestuosamente incolpa l'Ucraina. Travaglio gli dà ragione. La Casa
Bianca: “L'Isis è un comune nemico terroristico che deve essere sconfitto ovunque”
KIEV: “L' UCRAINA NON HA ASSOLUTAMENTE NULLA A CHE VEDERE CON
QUESTO ATTENTATO”
Un commando di almeno 4 uomini faceva irruzione la sera del 22 marzo nella sala
concerti Crocus City Hall di Mosca, piena di giovani in attesa dell'esibizione di una rock
band molto famosa nel paese, sparava a raffica e lanciava bombe che appiccavano anche
un incendio. Il bilancio provvisorio dell'attentato terroristico è al momento in cui scriviamo
di almeno 133 morti e quasi 200 feriti. La caccia agli assalitori da parte delle forze di
polizia russe portava alla cattura di alcuni fuggitivi nella località di Bryansk a 150 chilometri
dal confine ucraino. Dalle prime notizie della cattura diffuse dai servizi del Cremlino gli
arrestati risultavano di nazionalità tagika e dichiaravano di essere stati ingaggiati per una
cifra equivalente a 5mila euro a testa da un ignoto predicatore che li avrebbe reclutati via
Telegram.
L'attentato a Mosca era quasi immediatamente rivendicato dallo Stato islamico, o meglio
dal gruppo conosciuto anche come Wilayat Khorasan, Isis-K o Iskp nelle sigle in inglese,
dove il nome Khorasan si traduce in “La terra del sole” ed è riferito a una regione storica
fra l’Iran, l’Afghanistan, il Pakistan e altri paesi dell'Asia centrale. La componente afghana
affiliata all'IS è nata una decina di anni fa in contrapposizione ai Talebani, impegnati nella
resistenza contro l'occupazione imperialista dell'Afghanistan. Nel comunicato diffuso
attraverso Amaq Agency, e da successivi video postati in rete, si affermava che
“combattenti dello Stato Islamico hanno attaccato un grande raduno di cristiani nella città
di Krasnogorsk, alla periferia della capitale russa, Mosca, uccidendo e ferendone centinaia
e causando grande distruzione nel luogo prima che tornassero sani e salvi alle loro basi”,
"l'attacco è stato condotto da quattro combattenti armati di mitra, pistola, coltelli e bombe
incendiarie ed è stato preceduto da un'intensa operazione di sorveglianza del luogo”.
Di recente l'Isis-K ha rivendicato l'attacco terrorista del 3 gennaio a Kerman, in Iran,
quando due attentatori suicidi uccidevano 95 persone in mezzo a una folla riunita per la
celebrazione del quarto anniversario dell’assassinio del generale Qassem Suleimani a
opera dell'imperialismo americano, e dell'uccisione di un fedele il 28 gennaio in una chiesa
cattolica di Istanbul.
Il 7 marzo i servizi di sicurezza russi, preavvisati da quelli americani, avevano ucciso due
militanti kazaki dell'Isis-K in un villaggio della regione di Kaluga, poco a Sud di Mosca,
mentre sembra stessero pianificando un attentato contro una sinagoga. Lo stesso giorno
l’ambasciata americana e quella britannica annunciavano la possibilità di attentati a
Mosca, anche in sale da concerti e invitavano i connazionali a stare alla larga da questi
avvenimenti. Un preavviso nato da intercettazioni, sostengono fonti dei servizi, che Putin
aveva liquidato come una "provocazione" per "intimidire e destabilizzare la società russa".
A fatto avvenuto e con tanto di rivendicazione, il nuovo zar Putin incolpava
pretestuosamente l'Ucraina e rilanciava la versione dei servizi di sicurezza russi, Fsb,
indicando che gli autori dell’attacco erano stati arrestati mentre "si dirigevano verso
l’Ucraina dov’era stata preparata una finestra per consentire loro di attraversare il confine.
Soltanto l’intervento delle forze di sicurezza ha impedito che il piano di fuga andasse in
porto". D'altra parte, rincarava la dose il nuovo zar del Cremlino, "negli ultimi anni l’Ucraina
ha condotto attività terroristiche sistematiche nei confronti dei nostri cittadini" e quindi
prometteva che "tutti gli autori, gli organizzatori e i clienti di questo crimine subiranno una
punizione giusta e inevitabile. Chiunque siano, chiunque li guidi", lasciandosi tutte le piste
aperte ma tenendo intanto la mira puntata sull'Ucraina.
La strada era quella aperta dal vice presidente del Consiglio nazionale di sicurezza Dmitry
Medvedev che in prima battuta aveva minacciato che "se fosse accertato che dietro ci
sono terroristi del regime di Kiev dovranno essere tutti trovati e uccisi senza pietà.
Compresi i leader dello Stato che ha commesso tali atrocità". E gli organi di informazione
russi rimpolpavano l'accusa con una sequela di dichiarazioni contro l'Ucraina.
Per nascondere i reiterati crimini compiuti dall'imperialismo russo ai danni delle
popolazioni e regioni islamiche in Afghanistan come in Cecenia, in Siria come in
Tagikistan, e, inoltre, per continuare a giustificare la sua criminale guerra di aggressione
all'Ucraina, Putin lasciava aperta la pista ucraina ma non trovava adepti, salvo Travaglio
che a TVLoft sulla Nove non dimenticava di attaccare l'Ucraina affermando che riguardo
all'attentato di Mosca "di certo c’è solo che Putin non se l’è fatto da solo come dice Kiev:
per lui è uno sfregio politico”. E la rivendicazione dell'IS? Non soddisfatto, il putiniano
direttore de Il Fatto, pubblicava sul suo quotidiano per due giorni di seguito titoli di scatola
che sembrano usciti direttamente dalle stanze del Cremlino.
“L'Ucraina non ha assolutamente nulla a che vedere con questo attentato”, mettevano
subito in chiaro da Kiev e lo ribadiva più volte Mykhailo Podolyak, consigliere del
presidente Zelensky, che in una intervista a La Repubblica denunciava anzi la strategia di
Putin di strumentalizzare l’attentato per rilanciare l'aggressione. "Prima di tutto vuole
distogliere l’attenzione dalle recenti azioni massicce contro il nostro Paese. Il 22 marzo,
voglio ricordarlo a tutti, ha fatto lanciare missili sulla centrale idroelettrica Dniprohes a
Zaprizhzhia. Una diga. L’ennesimo atto criminale davanti agli occhi del mondo. E poi, è
chiaro che insistere sulla cosiddetta 'pista ucraina' gli serve per spiegare ai suoi cittadini
perché d’ora in avanti parlerà esplicitamente di guerra e non più di operazione militare
speciale. Il cambio di retorica, anticipato dalle dichiarazioni del suo portavoce Dmitrij
Peskov, si è reso necessario per giustificare la nuova e più vasta mobilitazione nonché la
crescente militarizzazione dell’economia russa", sosteneva Podolyak.
La posizione dell'imperialismo americano era riassunta nel messaggio che la portavoce
della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, inviava al Cremlino con le condoglianze al popolo
russo, ma non a Putin, una condanna dell’attacco tenuta ben distinta dalla questione
ucraina; il canovaccio era seguito dagli altri paesi imperialisti dell'Ovest. “L’Isis è un
comune nemico terroristico che deve essere sconfitto ovunque”, era il cuore del
messaggio che ricordava tra l'altro l'allarme lanciato anzitempo dalla Cia e inviato ai servizi
di tutti i paesi imperialisti, Russia compresa, che avevano combattuto l'IS in nome di una
collaborazione ancora attiva che la Casa Bianca sottolineava quasi a invocare una nuova
comune crociata contro il "terrorismo". E così, agitando lo spettro del terrorismo islamico,
rilanciava la Santa alleanza tra gli imperialismi dell'Ovest e dell'Est contro tutti i movimenti
di liberazione antimperialisti che si oppongono alla loro politica fatta di guerre di
aggressione, occupazioni militari, bombardamenti e saccheggi di ogni tipo. 26.03.2024
(Articolo de “Il Bolscevico”, organo del PMLI, n. 13/2024 e pubblicato sul sito www.pmli.it)