Pertini e Israele ?
Di questi tempi in cui solo a criticare l’enormità delle devastazioni e delle morti provocate da Israele a Gaza, se anche si sfugge alle manganellate, si corre quanto meno il rischio di essere accusati di antisemitismo, o di venire censurati come dimostra quello che è accaduto alla Rai per il festival di San Remo, è utile cercare in rete il discorso di fine anno di Sandro Pertini del 1983.
L’allora presidente della Repubblica iniziava il suo intervento condividendo l’angoscia per il fallimento delle trattative fra Stati uniti e Urss, ma senza denotare alcuna preferenza per l’una o l’altra superpotenza, bensì schierandosi al fianco del vasto movimento per la pace dei giovani di allora e a sostegno dell’idea di un disarmo controllato.
Il taglio alle spese militari – notava Pertini – avrebbe consentito di sfamare tanti bambini in Africa condannati dall’inedia.
Senza alcun timore di essere considerato antieuropeista, il Presidente criticava la decisione di tenere fuori Spagna e Portogallo dalla comunità europea seguendo, diceva, una «logica da mercanti».
Parlando con orgoglio del contingente italiano in Libano (a proposito: non era certo un pericoloso estremista), il presidente ricordava come anche il Washington Post avesse riconosciuto che il fatto che gli italiani non avessero subito le perdite di americani e francesi era dovuto alla loro rigorosa neutralità, alla cura per le popolazioni sofferenti e all’astensione dall’aggressione di qualsiasi parte in causa.
Non ci si crede ma a un certo punto Sandro Pertini, parlando di Sabra e Chatila, dice testualmente: «Il responsabile di quel massacro orrendo è ancora al governo in Israele e quasi va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando della società» (Sharon era Ministro della Difesa).
Sandro Pertini, discorso di fine anno, 1983
«Il responsabile del massacro orrendo (di Sabra e Chatila, ndr) è ancora al governo in Israele e quasi va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando della società»
Certo nessuno, all’epoca, si permise di dare dell’antisemita al partigiano Pertini, che seguiva gli stessi principi per i quali aveva lasciato la professione di avvocato per andare esule in Francia facendo l’operaio e il disoccupato e poi a rischiare la vita combattendo i nazisti.
Il presidente concludeva il suo saluto rammentando ai giovani che la libertà e la giustizia sociale andavano sempre coniugate.
Ecco, gli attuali leader dei due più grandi partiti dell’opposizione potrebbero fare argine davvero al governo postfascista soltanto se, anziché chiedere agli avversari dichiarazioni insincere di antifascismo, comprendessero come quest’ultimo non possa essere solo una veste retorica tanto priva di sostanza da poterlo immaginare sulle labbra di Meloni e La Russa.
E la sostanza non può che essere quella di una critica della politica estera della Nato, impresentabile quanto quella di Putin (non basta dire stop agli armamenti e invocare il negoziato, ma bisogna dire cosa sia necessario che la nostra parte possa concedere all’altra).
E la sostanza, ancora, non può che essere quella di un ritorno alle matrici sociali della Costituzione repubblicana (non basta dire «combattere le diseguaglianze» ma bisogna dire anche «con la redistribuzione» e spiegare come questa debba avvenire, uscendo da un modello di sviluppo tutto incentrato sul mercato).
Solo così si potrà almeno sperare di ricostituire, in Italia e in Europa, un blocco sociale popolare che possa contrapporsi agli interessi di pochi privilegiati, forti del potere biopolitico sulle masse garantito da mezzi mediatici mai stati così pervasivi: un populismo di mercato che si va tingendo sempre più di nero.
Da IL MANIFESTO
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