Netanyhau responsabile di genocidio,
Netanyhau responsabile di genocidio, deportazione di massa, attacchi terroristici in Libano e Siria
Continua la strage di giornalisti e bambini. Gli USA varano una task force anti Houti: l’Italia vi partecipa con una fregata
Aumenta il consenso intorno alla Resistenza palestinese
Decine di civili innocenti, tra cui molti bambini, massacrati quotidianamente mentre la campagna sionista neonazista israeliana di genocidio, sostenuta da Stati Uniti ed Europa, contro la Striscia di Gaza ha superato il suo terzo mese. Le forze di occupazione israeliane continuano a portare avanti il loro olocausto a Gaza attraverso decine di attacchi aerei, bombardamenti di artiglieria e cinture di fuoco, commettendo massacri contro civili e compiendo crimini orribili nelle aree di infiltrazione, in una situazione umanitaria catastrofica derivante dall’assedio e dallo sfollamento di oltre il 90% della popolazione. Esecuzioni sul campo, incursioni e saccheggi di case e strutture, assedio di migliaia di cittadini nelle loro case privati di cibo, acqua e servizi sanitari. Ci sono feriti e morti nelle case e nelle strade e le équipe mediche non possono recuperarli. Le forze di occupazione effettuano anche arresti casuali contro i cittadini, accompagnati da diffuse aggressioni. Mentre il bombardamento israeliano continua nel centro di Gaza, le famiglie palestinesi sono costrette ad abbandonare le proprie case e cercare rifugio nelle aree meridionali, nel tentativo di sfuggire all’aggressione in corso.
Siamo di fronte a un vero e proprio genocidio denunciato il 29 dicembre dal Sudafrica alla Corte Internazionale di giustizia. Questa Corte è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e regola le controversie tra Stati, non è da confondere con la Corte Penale Internazionale. Il Sudafrica nella denuncia rileva le violazioni del nuovo Hitler Netanyahu per quanto riguarda la "Convenzione sul genocidio" nei confronti del popolo palestinese: "Gli atti e le omissioni di Israele hanno carattere genocida, poiché sono commessi con l'intento specifico richiesto di distruggere i palestinesi a Gaza come parte del più ampio gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese. La condotta di Israele, attraverso i suoi organi statali, agenti statali e altre persone ed entità che agiscono su sue istruzioni o sotto la sua direzione, controllo o influenza in relazione ai palestinesi a Gaza, è in violazione dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio".
I numeri del genocidio
I nazisionisti israeliani non si fermano davanti a niente: una bambina palestinese di 4 anni è stata uccisa a Gerusalemme Est, e altri tre giornalisti sono morti nei raid che stanno spianando la Striscia di Gaza, una strage che il sindacato dei giornalisti palestinesi (Pjs) ha denunciato con queste parole: “Da 3 mesi i nostri colleghi e le loro famiglie a Gaza sono stati presi di mira. Finora sono stati uccisi oltre 100 giornalisti e operatori dei media palestinesi”.
Intanto al 7 gennaio è salito a 22.835 il numero dei morti a Gaza a causa delle operazioni israeliane. Lo ha reso noto il ministero della Sanità della Striscia, secondo cui si contano anche 58.416 feriti tra i palestinesi. Il ministero riferisce poi che nelle ultime 24 ore si sono registrati 12 "massacri" di famiglie palestinesi, con 113 "martiri" e 250 feriti. Tra le vittime, circa 10mila sarebbero minori. In precedenza il 23 dicembre un attacco aereo israeliano aveva ucciso 76 membri di una famiglia allargata a Gaza City. L'attacco "è stato tra i più sanguinosi della guerra tra Israele e Hamas", ha detto Mahmoud Bassal, portavoce del dipartimento della Protezione Civile di Gaza, sottolineando che tra i morti ci sono donne e bambini e Issam al-Mughrabi, impiegato del Programma di sviluppo Onu, sua moglie e i loro cinque figli. Il giorno dopo un altro attacco aereo israeliano ha fatto strage di civili e causato danni al campo rifugiati di Al-Maghazi nella parte centrale della Striscia di Gaza. Almeno 106 morti il bilancio delle vittime, mentre le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno avviato una ignobile "verifica" sull'attacco. L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dato notizia di testimonianze "strazianti" raccolte dalle sue équipe nell'ospedale della Striscia dove si trovano le vittime del bombardamento. Il 29 dicembre almeno 20 i morti in seguito a un attacco delle forze armate israeliane contro un edificio residenziale nei pressi all'ospedale Kuwait, nel sud di Gaza. Lo riferiva l'emittente Al Jazeera. Il 31 dicembre almeno 15 palestinesi sono rimasti uccisi in un attacco aereo israeliano che ha preso di mira una residenza appartenente alla famiglia di Abu Shamala nella zona di Zawaida, nel centro della Striscia di Gaza. Lo ha riferito l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando fonti locali. Gli aerei da guerra hanno anche bombardato un altro edificio di quattro piani nel quartiere di Zaytoun, nel sud-est di Gaza, provocando dozzine di vittime. L'esercito israeliano ha condotto martellanti attacchi aerei e bombardamenti di artiglieria in tutte le regioni della Striscia di Gaza, provocando morti e feriti tra i palestinesi. Il 2 gennaio secondo l'agenzia di stampa palestinese Wafa, 15 civili palestinesi sono stati uccisi e diversi altri feriti in un bombardamento israeliano che ha colpito una casa a Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Sempre secondo la Wafa, altre vittime si sono registrate nel campo profughi di Nuseirat e nel centro della città di Khan Yunis. Il 4 gennaio il network Al Jazeera ha riferito che nella notte "ci sono stati costanti bombardamenti vicino alla zona di evacuazione di al-Mawasi, dove l'esercito israeliano ha dato istruzioni alle persone di rifugiarsi" e "una casa vicino a quell'area è stata distrutta. Le due famiglie che vi si rifugiavano sono state uccise, per un totale di 14 persone. La vittima più giovane aveva cinque anni e la maggioranza aveva meno di 10 anni".
In un episodio separato riportato dall'agenzia palestinese Wafa, 6 persone sono morte in un attacco aereo su terreni agricoli che ospitavano gli sfollati a ovest di Khan Yunis.
Decine di civili sono stati uccisi e altri sono rimasti feriti in attacchi israeliani contro abitazioni civili nel centro-sud della Striscia di Gaza: lo riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa. Civili sono stati uccisi in un attacco aereo nella zona di Khirbat al-Adas, nella città di Rafah, nel sud di Gaza. I jet israeliani, secondo l'agenzia, hanno inoltre attaccato aree residenziali nella provincia centrale della Striscia, uccidendo e ferendo decine di persone. La Mezzaluna rossa palestinese (Prcs), intanto, ha comunicato che le forze israeliane hanno continuato nella notte a bombardare con l'artiglieria abitazioni e siti nella zona dell'ospedale Al-Amal e del quartier generale della Prcs a Khan Yunis, nel sud della Striscia.
La pratica sionista della deportazione di massa
Il giorno di Natale, con un editoriale sul Wall Street Journal, il nuovo Hitler Benjamin Netanyahu ha reso note le sue condizioni per porre fine allo sterminio dei Palestinesi a Gaza. Sono soltanto tre: Hamas deve essere distrutta, Gaza va smilitarizzata e la società palestinese deve essere deradicalizzata. Per la prima, è già noto che Israele non pone limiti di tempo né geografici, quindi la guerra contro Hamas può continuare per mesi e anche per anni. Può inoltre essere combattuta ovunque Israele sostenga ci siano “terroristi” di Hamas o loro sostenitori, dunque a Ramallah come in Libano, in Siria, nel Mar Rosso o altrove. Per la seconda condizione, con “smilitarizzata” Netanyahu intende affermare la necessità di una presenza militare israeliana permanente, non solo a Gaza ma anche al valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto. Sarebbe giustificata dalla prevenzione del contrabbando di armi, cosa che nessun Paese al mondo è mai stato in grado di fare, ma questo non importa. Con la terza condizione, Netanyahu pensa a una società palestinese “deradicalizzata”, con un programma di “rieducazione” volto a far sì che i palestinesi imparino ad accettare e ad amare i loro colonizzatori. La popolazione di Gaza, che per i boia di Tel Aviv si ostina a non accettare quelle “proposte di pace”, ha dunque due alternative: morire oppure andarsene nella penisola egiziana del Sinai con una “emigrazione volontaria”.
Anche un altro editoriale dello stesso giorno, di Joel Roskin, geologo e geografo all’Università Bar-Ilan, apparso sul Jerusalem Post, punta verso la pulizia etnica dei palestinesi di Gaza. Nessuna novità visto che il ministero israeliano dell’Intelligence ritiene che il trasferimento forzato sia l’opzione preferita, e che lo scorso novembre il parlamentare del Likud Danny Danon ha promosso la violazione del diritto internazionale a “imperativo morale” per i Paesi occidentali. L’editoriale di Roskin gronda odio, arroganza e ricatto, e ignora completamente la realtà politica di Gaza, incluso il rifiuto della comunità internazionale di accettare i risultati elettorali del 2006 e di avviare un dialogo con Hamas. L’Egitto, scrive Roskin, sarebbe “accolto dalla comunità internazionale quale salvatore della disperata situazione dei gazawi” se accettasse di essere complice dei piani israeliani di pulizia etnica. Roskin considera la Penisola del Sinai il luogo ideale per il “reinsediamento” dei palestinesi cacciati da Gaza dalla campagna di bombardamenti israeliani. Chiamare i trasferimenti forzati “sinceri programmi di reinserimento”, afferma Roskin, “L’obliterazione di Hamas in corso, che terrorizza i funzionari dell’Autorità Palestinese e molti abitanti di Gaza, potrebbe spianare la strada alla comparsa della soluzione del Sinai prospettata, se presentata in modo accorto e discreto che sia conforme alla mentalità mediorientale”.
Anche il ministro delle finanze di Tel Aviv Bezalel Smotrich, al vertice del partito ultranazionalista “Sionismo religioso”, riferendosi a Gaza, ha parlato di un ghetto in cui è necessario incoraggiare l'emigrazione. “Per evitare che Gaza resti un focolaio in cui due milioni di persone crescano nell'odio aspirando a distruggere Israele” Smotrich suggerisce che almeno il 90% della popolazione debba andarsene. “Se a Gaza ci saranno 100 o 200 mila arabi, e non più due milioni – ha detto – parlare del ‘giorno dopo’ sarà diverso”.
Attacchi terroristici contro il diritto internazionale
Un leader dei Guardiani della Rivoluzione iraniani è stato ucciso durante un attacco israeliano in Siria. L’attacco è avvenuto a Saydah Zaynab, vicino alla capitale Damasco. La vittima è il generale Razi Moussavi, uno dei consiglieri più esperti dei Guardiani. Era il coordinatore delle forze iraniane impegnate in Siria ed era uno stretto collaboratore di Qassem Soleimani, il capo della Forza al-Quds ucciso in un raid americano in Iraq nel 2020.
"Ai sensi del diritto internazionale e dello Statuto delle Nazioni Unite, nel momento opportuno che sarà ritenuto necessario, l'Iran si riserva il diritto legittimo di rispondere con decisione" a Israele per l'uccisione del generale delle Guardie della Rivoluzione Seyyed Razi Mousavi, in Siria. Lo ha affermato il 27 dicembre in una lettera al Segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, l'ambasciatore di Teheran presso le Nazioni Unite, Saeed Iravani, definendo "un atto terroristico" l'operazione che ha portato alla morte di Mousavi, "a causa di tre missili sparati dalle posizioni del regime israeliano sulle Alture del Golan occupate".
Un attacco terroristico che calpesta il diritto internazionale. Dalla Siria al Libano. L’uccisione dell’alto dirigente di Hamas, Saleh Al-Arouri, avvenuta il 2 gennaio a Beirut da un drone israeliano assieme a due comandanti delle Brigate al-Qassam e ad altre due persone è "una palese aggressione israeliana". Lo ha affermato il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nel corso di un discorso dove ha porto le sue condoglianze al capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e al popolo palestinese in occasione del discorso per l'anniversario della morte del capo dei pasdaran iraniani Soleimani, assassinato dagli USA nel 2020. "Per il martirio di al-Arouri e di alcuni dei suoi compagni porgo le mie condoglianze a Ismail Haniyeh, capo dell'ufficio politico di Hamas, ai membri del movimento di liberazione e all'eroica nazione della Palestina", ha scritto su X il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian. "Un'operazione terroristica cosi' codarda", prosegue il messaggio, "dimostra che il regime sionista non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi, dopo settimane di crimini di guerra, genocidio e distruzione a Gaza e in Cisgiordania, nonostante il sostegno diretto della Casa Bianca”. Amirabdollahian ha aggiunto che “la macchina terrorista di questo regime costituisce un serio allarme per la sicurezza di tutti i Paesi della regione".
Aumenta il consenso intorno alla Resistenza palestinese
Un importante comunicato della Resistenza palestinese unita contro l'aggressore sionista israeliano fino alla vittoria è stato congiuntamente sottoscritto a Beirut il 28 dicembre dalle organizzazioni di Hamas, PFLP, PIJ, DFLP e PFLP-GC (Il testo integrale è pubblicato a parte). Qualche giorno prima in una dichiarazione ufficiale Hamas ribadisce che Israele ha perso contro i palestinesi e Netanyahu deve andarsene. Nonostante la guerra genocida e i crimini di guerra commessi dal regime di Netanyahu, la resistenza continuerà a neutralizzare i soldati invasori (Anche questa dichiarazione è pubblicata integralmente a parte).
Intanto dal mondo arabo e islamico continua il supporto all’eroica Resistenza palestinese. "Nel caso di qualunque tipo di aggressione contro l'Iran da parte del regime sionista, l'Iran raderà al suolo Tel Aviv". Lo ha affermato il 27 dicembre Iraj Masjedi, il principale consigliere del comandante delle forze Qods delle Guardie della rivoluzione iraniana, Esmail Qaani. "L'Iran sostiene la resistenza e i palestinesi oppressi ma le forze della resistenza non hanno bisogno dell'assistenza dell'Iran durante la loro guerra contro Israele a Gaza perché sono in grado di sconfiggere il regime da sole", ha aggiunto, citato dalla tv di Stato. L'Iran ha ripetutamente dichiarato di essere pronto a rispondere a qualunque attacco da parte di Israele. Le forze di terra dell'esercito di Teheran hanno annunciato che posizioneranno cinque unità missilistiche in località sensibili all'interno del Paese per combattere qualunque aggressione.
"Quello che fa Netanyahu non è da meno rispetto a quello che ha fatto Hitler". Lo ha detto lo stesso giorno il presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante una cerimonia ad Ankara, trasmessa dalla tv di Stato Trt, contestando gli attacchi di Israele contro la Striscia di Gaza. "Oggi la Germania continua a pagare il prezzo di Hitler, per questo motivo non alzano la loro voce", ha aggiunto il leader turco. Durante il suo discorso, Erdogan ha anche criticato le "università in Occidente", dove "c'è stata una caccia alle streghe contro coloro che hanno criticato Israele". Che ha poi aggiunto: “Hanno radunato i prigionieri nello stadio come fossero in campi di concentramento nazisti. Che differenza c'è? Nessuna”.
"Il sostegno alla resistenza all'interno della popolazione palestinese è aumentato, così come nella regione. Hamas gode del più alto livello di sostegno della sua storia tra la popolazione palestinese, e questo è un risultato significativo". Lo ha detto il 3 gennaio il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un passaggio del suo discorso in Tv. Intanto il 25 dicembre è riapparso Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza. Nel suo primo messaggio dal 7 ottobre ha detto che il gruppo islamista non si arrenderà. "È una battaglia feroce, violenta e senza precedenti contro Israele", ha detto Sinwar, che secondo Israele opera nei tunnel sotterranei nell'area di Khan Younis, dove ora si concentra gran parte dei combattimenti. "Le Brigate Al Qassam (braccio armato di Hamas) distruggeranno l'esercito di occupazione, sono sul punto di schiacciarlo e non si sottometteranno alle condizioni dell'occupazione". Sinwar è il numero due di Hamas, ma si comporta come leader de facto, visto che controlla le operazioni politiche e militari all'interno della Striscia. Il capo dell'ufficio politico del movimento, Ismail Haniyeh, vive invece in esilio in Qatar. Il leader di Hamas ha anche sostenuto che le Brigate Al Qassam hanno attaccato circa 5mila soldati israeliani, "un terzo di loro ucciso, un altro terzo gravemente ferito e l'ultimo terzo reso permanentemente incapace", oltre a distruggere 750 veicoli militari. Non per niente Israele sta pagando "un prezzo molto alto per la guerra" , come ha dichiarato il 26 dicembre il nuovo Hitler Netanyahu, dopo la morte negli ultimi due giorni di 14 soldati nei combattimenti contro Hamas nella Striscia di Gaza. "Stiamo pagando un prezzo molto alto per la guerra, ma non abbiamo altra scelta che continuare a combattere", ha dichiarato Netanyahu, citato dai media locali.
Dal canto suo l’Egitto ha proposto un piano in tre fasi per arrivare alla fine del conflitto. La prima fase prevede una tregua di due settimane con il rilascio di 40 israeliani e la liberazione di 120 palestinesi detenuti nelle carceri dello Stato sionista. La seconda fase servirebbe alla creazione di un governo tecnico che abbia potere sia nella Striscia di Gaza sia in Cisgiordania. Quindi si passerebbe a negoziare una pace duratura. Il 20 dicembre è arrivata la risposta di Hamas, interessato alla fine della guerra e non a una pausa dei combattimenti che possa "fare il gioco" di Israele, ovvero che consenta il rilascio degli ostaggi e poi la ripresa dei combattimenti. Lo ha dichiarato ad al-Jazeera un esponente del suo ufficio politico, Ghazi Hamad, precisando che "la priorità" dei colloqui in corso è la fine delle ostilità.
"La nostra visione è molto chiara: vogliamo fermare l'aggressione", ha detto. "Ciò che sta accadendo sul terreno è una grande catastrofe", ha aggiunto Hamad, sottolineando la "distruzione e le uccisioni di massa" causate dagli attacchi israeliani a Gaza. Non è quindi nell'interesse di Hamas, né dei palestinesi quello di raggiungere "brevi pause" nei combattimenti. "Israele prenderà la carta degli ostaggi e poi inizierà una nuova ondata di uccisioni di massa e massacri contro il nostro popolo. Non giocheremo a questo gioco", ha affermato.
"Lo scopo è quello di rivolgersi al mondo esterno come popolo palestinese, non come una o due fazioni. Stiamo cercando una posizione palestinese unificata". Lo ha detto il 22 dicembre il funzionario di Hamas Husam Badran, parlando ad Al Jazeera. Badran ha aggiunto che Hamas ritiene che in questo "momento terribile" debba essere creato un meccanismo per ripristinare l'unità palestinese e creare una posizione politica uniforme su cui i palestinesi nei territori occupati possano successivamente votare. Una ricerca di unità importante quella della Resistenza palestinese che ha portato alla dichiarazione congiunta del 28 dicembre, frutto dell’incontro a Beirut tra il Movimento di Resistenza Islamica – Hamas, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Movimento del Jihad islamico palestinese, Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando Generale, che pubblichiamo integralmente a parte.
Una task force anti houthi
Il 1° gennaio i ribelli houthi dello Yemen hanno minacciato ritorsioni contro qualsiasi Paese che ritengano impegnato in un "comportamento americano pericoloso" sul Mar Rosso. L'avvertimento è arrivato dopo che la Marina statunitense aveva affondato il giorno prima tre imbarcazioni houthi uccidendo i loro equipaggi, in risposta al fuoco dei miliziani. In un comunicato ripreso dai media USA, gli houthi hanno affermato che continueranno a tentare di impedire alle navi israeliane e di altro tipo di attraversare il Mar Rosso "in segno di solidarietà e sostegno al popolo palestinese". "Le forze armate yemenite rinnovano il loro consiglio a tutti i paesi di non lasciarsi coinvolgere nei piani americani volti a innescare il conflitto nel Mar Rosso", si legge nella dichiarazione. "Non esiteremo ad affrontare qualsiasi aggressione contro il nostro Paese e il nostro popolo", viene aggiunto.
Il 5 gennaio il leader Mohammed Ali al-Houthi ha detto in un’intervista alla Bbc che le navi dei Paesi che partecipano alla coalizione USA nel Mar Rosso saranno prese di mira e la loro sicurezza non sarà garantita, mentre una folla enorme è scesa in strada nella capitale Sanaa e in altre città dello Yemen per celebrare i guerriglieri houthi uccisi nell’attacco USA e dimostrare solidarietà ai palestinesi della Striscia di Gaza. Lo riferisce il sito di al Jazeera, secondo cui Al Masirah TV (il canale televisivo statale gestito dagli Houthi) ha affermato che due milioni di yemeniti hanno partecipato alla marcia intitolata "Il sangue del popolo libero sulla strada della vittoria". Le riprese in diretta da piazza Al-Sabeen a Sanaa hanno mostrato una gran folla di manifestanti, molti dei quali portavano bandiere palestinesi, scrive ancora al Jazeera che inoltre pubblica una foto in cui si può vedere una piazza con un impressionante affollamento di persone. A Sanaa, funzionari Houthi hanno preso la parola e detto che gli yemeniti sono pronti a combattere gli Stati Uniti.
Gli attacchi dei ribelli yemeniti filo-iraniani Houthi nel Mar Rosso sono "senza precedenti" e costituiscono una "minaccia" al commercio internazionale. Lo aveva affermato a metà dicembre il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, secondo quanto riferito dal portavoce Pat Ryder. Dopo la tappa in Israele, Austin si è spostato in Bahrein dove ha incontrato il re Hamad bin Isa Al Khalifa e il premier Salman bin Hamad. Il capo del Pentagono ha annunciato una missione marittima internazionale contro gli Houthi alla quale finora Manama è l'unico Paese arabo ad aver aderito. Solo il Bahrein, tra gli Stati del Medio Oriente, si è unito alla task force internazionale guidata dagli Stati Uniti per contrastare gli attacchi degli Houthi yemeniti nello stretto di Bab Al Mandeb, che collega Mar Rosso e golfo di Aden. Il gruppo sciita ha sferrato ripetuti lanci di razzi in risposta all'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Della task foce nata per iniziativa statunitense fanno parte, oltre a USA e Bahrein, Gran Bretagna, Canada, Italia, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Norvegia e Seychelles. La flotta agirà sotto il comando e la direzione della Combined Task Force 153 (CTF-153), nata lo scorso aprile da un'iniziativa della Casa Bianca per garantire la sicurezza del Mar Rosso e che comprende 39 Paesi.
Il 28 dicembre Hezbollah ha definito "coalizione del male" l'alleanza marittima occidentale guidata dagli USA "creata per proteggere gli interessi di Israele nel Mar Rosso" e i traffici internazionali tra Mediterraneo e Oceano Indiano citando anche l'Italia tra i partecipanti. Ad una folla di seguaci in Libano, il numero due del partito, lo shaykh Naim Qassem, ha detto: "È necessario fare fronte comune contro la coalizione del male rappresentata da America, Israele, Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania con la coalizione del bene delle forze della resistenza anti-israeliana in Palestina, Libano, Iran, Yemen e Iraq". "La formazione di una coalizione a guida statunitense per proteggere le navi nel Mar Rosso” dagli attacchi dei ribelli yemeniti Houti "non risolverà la crisi", secondo il ministro degli Esteri dell'Iran, Hossein Amirabdollahian, per il quale l'unico modo per fermare questo conflitto è la "cessazione dell'appoggio USA al regime criminale sionista e la fine dell'uccisione di palestinesi e dell'assedio di Gaza da parte di quel regime". Il capo della diplomazia di Teheran ha inoltre descritto come "senza fondamento" l'accusa al suo Paese di essere dietro agli attacchi degli stessi Houthi. "L'Iran non si affida a forze per procura nella regione e i gruppi di resistenza sono veri gruppi, che proteggono la regione. La decisione di attaccare è stata presa solamente dagli yemeniti, che sono ben equipaggiati di missili e droni", ha aggiunto Amirabdollahian il 26 dicembre, citato dall'agenzia Irna.
Gli Stati Uniti hanno altresì annunciato una tornata di sanzioni contro i canali di finanziamento dei ribelli Houti dello Yemen, dopo che con gli attacchi a diverse navi nel Mar Rosso hanno minacciato la “regolarità dei trasporti e dei commerci”. Le sanzioni prendono di mira diverse persone ed entità nello Yemen e in Turchia coinvolte nel finanziamento delle attività terroristiche: tre uffici di cambio e il presidente dell'associazione dei commercianti di valuta dello Yemen, Nabil Ali Ahmed al-Hadha, accusato di aver permesso il trasferimento di denaro dall'Iran verso gli Houti. Le società fungono da "intermediari nel trasferimento di fondi da e verso lo Yemen e hanno ricevuto milioni di dollari dalle Guardie della Rivoluzione" passando per la Turchia, si legge in un comunicato stampa del Dipartimento del Tesoro americano.
"Le decisioni di oggi sottolineano il nostro impegno a limitare i flussi illeciti di fondi verso gli Houti, che continuano a compiere pericolosi attacchi al commercio internazionale e rischiano di destabilizzare ulteriormente la regione", ha affermato il sottosegretario agli Affari esteri del Ministero del Tesoro responsabile del terrorismo e dell'intelligence finanziaria, Brian Nelson. In una dichiarazione separata, il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha assicurato che "gli Stati Uniti continueranno a combattere il sostegno finanziario illecito iraniano agli Houti". "Chiediamo alla comunità internazionale di prendere una posizione chiara contro le attività destabilizzanti degli Houti e dei loro sostenitori iraniani", ha aggiunto Miller. Le sanzioni prevedono in particolare il congelamento dei beni delle persone e degli enti presi di mira e il divieto per qualsiasi azienda o cittadino americano di commerciare con loro.
PMLI.IT
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