FIGLI DI UN TELEFONO CON FILO

FIGLI DI UN TELEFONO CON FILO Sono nata negli anni '70, quando in casa c'era il telefono grigio con la rotella. Sono cresciuta con gli scherzi dei campanelli in notturna, con le dediche alla radio, con la scusa di andare a buttare la spazzatura per telefonare al fidanzatino dalla cabina telefonica. Ho atteso il sabato per 6 giorni per rivedere il tipo che avevo incontrato in disco. Ho avuto la fortuna di attendere anche una settimana per lo sviluppo di una foto e, ad oggi, ho ancora dubbi sulla consegna di qualche mia lettera d'amore. Mia madre non aveva bisogno di sapere dove fossi quando andavo a scuola, perché non potevo che essere in classe. Quando uscivo la sera, mio padre mi chiedeva se avessi i soldi e non se avessi preso il telefono. Noi, ragazzi negli anni ’80, siamo fuori tempo in questa società nella quale le distanze non esistono più, dove qualsiasi cosa è tutto e subito, dove sai sempre come e dove rintracciare una persona, dove i rapporti non hanno più attese. Viviamo in una società in cui l'aver lasciato lo smartphone a casa ci rende la vita impossibile. La ricerca continua della presenza del cellulare nella borsa, l’aprire e chiudere lo schermo, il controllare in continuazione Messenger, Whatsapp, Instagram, Facebook. Svegliarsi durante la notte e non poter fare a meno di collassarci gli occhi con la luce dello schermo. La sola idea di non poter essere rintracciabili, di non poter rintracciare, ci fa sentire invisibili. Per esistere bisogna essere taggati nelle foto, nei luoghi. Dobbiamo essere online per capire chi è online e non sentirci soli. PER AVERE UNA VITA DOBBIAMO PUBBLICARE UNA VITA. Ma nel nostro stomaco siamo ancora quegli adolescenti che se qualcuno non risponde ... pensano che in casa non ci sia nessuno . Sandra Comparoni
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