Quello che la resistenza palestinese dice alle masse popolari italiane
Ci sono avvenimenti che per la portata storica che hanno, indipendentemente dal luogo in cui accadono, parlano a tutti.
Ogni individuo recepisce il messaggio a seconda degli strumenti interpretativi che ha, ma in definitiva sono solo due i modi per recepire la realtà: quello della classe dominante, la borghesia imperialista, oppure quello delle masse popolari. Le pur numerose sfumature, i se, i ma, i distinguo, sono irrilevanti sul piano storico e poco rilevanti dal punto di vista politico.
La borghesia imperialista, benché in declino, è ancora la classe dominante di questa epoca e questo comporta che la sua concezione del mondo, e di conseguenza il modo con cui si interpreta la realtà, sia quella dominante. Ciò significa che anche le masse popolari ne sono influenzate.
Ci sono molti esempi di questo: gli operai che “parlano e ragionano come il padrone”, gli italiani poveri che incolpano gli immigrati anziché i capitalisti della propria povertà, gli elementi delle masse popolari che si illudono di poter godere del benessere, delle comodità e della sicurezza che i ricchi pretendono per loro e in nome di quella illusione parlano e pensano come la classe dominante e diventano promotori dei suoi interessi.
Nonostante tutto, ci sono avvenimenti che hanno un tale impatto sulla realtà da costringere tutti a schierarsi, a decidere il modo con cui leggerli e recepire il messaggio che portano con sé.
L’offensiva che la resistenza palestinese ha condotto contro lo Stato d’Israele il 7 ottobre è uno di questi.
La resistenza palestinese ha raggirato il più esteso e sviluppato sistema di controllo del mondo, ha eluso il più sofisticato servizio segreto del mondo, ha sbaragliato il secondo esercito più equipaggiato, armato e tecnologicamente avanzato del mondo e ha sferrato un colpo durissimo all’apparato militare sionista.
La borghesia imperialista ha recepito il messaggio in modo forte e chiaro: quali che siano le misure repressive e di controllo, per quanto brutale possa essere l’oppressione, le masse popolari non possono essere soffocate; per quanto il nemico sia forte, finché resta in piedi il sistema di dominio della classe dominante le masse popolari si ribellano e si ribelleranno.
I massacri che i sionisti stanno compiendo in Palestina, la barbara rappresaglia che avviene con il sostegno degli imperialisti Usa e le timide dissociazioni della Ue e dell’Onu, NON sono una dimostrazione della loro forza, sono invece una dimostrazione della loro debolezza, di paura, preoccupazione e sbandamento.
Ai sionisti non basterà “sconfiggere Hamas” né “radere al suolo la Striscia di Gaza” perché finché durerà la loro occupazione durerà anche la resistenza del popolo palestinese. Ecco perché la classe dominante è terrorizzata dal messaggio che il popolo palestinese ha inviato con il contrattacco del 7 ottobre.
Adesso la domanda è: il messaggio è stato recepito dalle masse popolari?
Di fronte a ogni avvenimento e situazione, la prima domanda da porsi è “a chi giova?”. L’influenza della concezione del mondo della classe dominante espone le masse popolari al rischio di scambiare i loro interessi con i suoi o, almeno, al rischio di farli combaciare (“siamo tutti sulla stessa barca”). In verità, gli interessi delle masse popolari e della borghesia imperialista sono inconciliabili e chi sostiene che “siamo tutti nella stessa barca” racconta favole o spaccia menzogne.
In tutto il mondo ci sono manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese e la causa della liberazione della Palestina, anche nei paesi in cui le autorità hanno tentato di vietarle (come in Francia e in Germania). Si può affermare che almeno una parte del messaggio è stata recepita: le classi popolari, tanto nei paesi imperialisti (in “Occidente”) quanto nei paesi oppressi, si sono identificate con la riscossa del popolo palestinese e manifestano solidarietà e vicinanza.
Ma la concezione del mondo e le “analisi” della borghesia imperialista sono dominanti nella società – sostenute da una martellante propaganda di regime – pertanto che il messaggio della resistenza palestinese venga recepito integralmente dalle masse popolari, forte e chiaro come lo ha recepito la borghesia imperialista, è uno dei compiti dei comunisti. Anche nel nostro paese.
L’Italia non è la Palestina occupata militarmente da quasi ottant’anni, le masse popolari italiane non subiscono l’apartheid, non hanno l’acqua e la corrente razionata, non vivono sotto le bombe o in balia dell’iniziativa dei coloni e dell’esercito. Tuttavia, il contrattacco della resistenza palestinese è un messaggio anche per le masse popolari italiane.
Dice che gli imperialisti sono giganti dai piedi di argilla, che resistere è possibile, che contrattaccare è possibile, infliggere colpi fatali al nemico è possibile, anche di fronte a una schiacciante disparità di forze.
Dice che nel confidare nella buona volontà, nelle buone intenzioni e nelle promesse della classe dominante c’è tutto da perdere e nulla da guadagnare.
Dice, infine, che solo le masse popolari organizzate possono mettere fine al corso disastroso delle cose.
Ci sono numerose possibilità di riportare il messaggio alle condizioni specifiche e particolari del nostro paese. Ne scegliamo una: sperare nel meno peggio e aspettare che le cose passino apre le porte al peggio.
Se il popolo palestinese avesse aspettato e sperato nell’azione dell’Onu, dopo che i sionisti hanno violato settanta risoluzioni, non avrebbe scongiurato i bombardamenti, le deportazioni, l’embargo. Sarebbe continuato tutto, solo in modo più “diluito”, sotto gli occhi semi chiusi (o compiacenti) della Comunità Internazionale.
Ecco come la resistenza palestinese parla agli operai e ai lavoratori italiani. Aspettiamo un’altra strage sul lavoro come la Thyssen nel 2007 o la strage di Brandizzo dello scorso agosto? Aspettiamo che chiudano altre aziende e che altre migliaia di famiglie siano minacciate dalla povertà, mentre i padroni fanno affari?
Ecco come la resistenza palestinese parla agli studenti. Aspettiamo che muoiano altri ragazzi e ragazze per l’alternanza scuola lavoro o sotto il crollo di un soffitto?
Ecco come parla alle popolazioni che hanno subito gli effetti di un terremoto o di un’alluvione: aspettiamo un altro cataclisma o un’altra alluvione per avanzare con la ricostruzione, i risarcimenti, la messa in sicurezza del territorio e il sostegno alle famiglie?
Ecco perché la resistenza palestinese parla a tutte le masse popolari: aspettiamo che la Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, dei sionisti e degli imperialisti europei trascini il mondo in un’altra guerra mondiale? Aspettiamo che siano chiusi gli ospedali pubblici e che le cure siano definitivamente una merce accessibile solo a chi può pagare? Aspettiamo che la crisi ambientale renda invivibili parti del pianeta e del paese e renda la vita incompatibile con le condizioni climatiche?
Aspettare che tutto passi è il modo più efficace affinché tutto degeneri.
Togliamo subito il sorrisetto sciocco dal viso di chi vuole deliberatamente fraintendere il messaggio: le masse popolari italiane non devono sorvolare con il parapendio Montecitorio o il Quirinale o sparare razzi sull’Agenzia delle Entrate!
Quello di cui stiamo parlando è capire bene il messaggio di riscossa che ha mandato il popolo palestinese: bisogna organizzarsi!
All’oppressione, allo sfruttamento, alla speculazione, al saccheggio e alla rapina che la classe dominante conduce senza ritegno o remora, le masse popolari possono rispondere solo con l’organizzazione e la mobilitazione, solo dandosi i mezzi per rovesciare la classe dominante, le sue autorità e le sue istituzioni e diventare loro la classe dirigente del paese e della società.
Chiunque sostiene che “il nemico è troppo forte” non ha capito a fondo il messaggio che la resistenza palestinese ha mandato alle masse popolari del mondo – anche a quelle italiane. Oppure si presta a fare da megafono alla propaganda disfattista della borghesia imperialista. Perché non esiste classe dominante abbastanza debole da essere vinta e non esistono masse popolari abbastanza forti da vincere se neppure ci si organizza per iniziare a combattere.
Carc. It
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